Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2838 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2838 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/01/2024
Oggetto: inammissibilità per estraneità del ricorso alla ratio decidendi della sentenza impugnata
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 33186/19 proposto da:
-) COGNOME NOME , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
-) COGNOME NOME, quale rappresentante di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza del Tribunale di Pescara 21 marzo 2019 n. 479; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 novembre 2023 dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
Nel 2017 NOME COGNOME, dichiarando di agire sia in proprio che quale mandatario con rappresentanza di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, ottenne dal Giudice di Pescara un decreto ingiuntivo nei confronti di NOME COGNOME per l’importo di euro 2.007,98.
A fondamento del ricorso monitorio dedusse che tale importo era dovuto dall’intimato a titolo di ‘ canoni livellari’ su vari terreni a lui concessi in enfiteusi (così il ricorso).
NOME COGNOME propose opposizione al decreto, che fu rigettato con sentenza n. 765/18.
La sentenza fu appellata da NOME COGNOME.
Con sentenza 23.3.2019 n. 479 il Tribunale di Pescara rigettò il gravame.
Il Tribunale ritenne che:
-) l’eccezione di nullità della procura conferita da NOME COGNOME era infondata perché l’appellante ‘ non aveva chiarito in che cosa consisterebbe ‘ la suddetta nullità;
-) il credito azionato non era prescritto.
La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione da NOME COGNOME con ricorso fondato su quattro motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
La parte resistente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo il ricorrente prospetta, formalmente, il vizio di difetto di motivazione della sentenza nonché violazione dell’articolo 2704 c.c..
L’illustrazione del motivo esordisce affermando che la sentenza impugnata è erronea per non aver considerato che ‘ il ricorso per ingiunzione era sprovvisto di valido mandato ad litem ‘ , per poi illustrare varie e frammiste censure.
1.1. Con una prima censura il ricorrente sostiene che NOME COGNOME, allorché depositò il ricorso per decreto ingiuntivo, era privo del potere di rappresentare i suoi mandatari (pp. 8-11).
1.1.1. Con una seconda censura il ricorrente sostiene che NOME COGNOME, quand’anche avesse avuto il suddetto potere rappresentativo, non ha mai dimostrato che gli fosse stato conferito prima del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo (p. 12).
1.1.2. Con una terza censura il ricorrente sostiene che, ove mai la sentenza impugnata si volesse interpretare nel senso che NOME COGNOME non avesse validamente impugnato la statuizione con cui il giudice di pace lo aveva ritenuto privo titolare del potere di rappresentare gli eredi COGNOME, essa sarebbe comunque erronea, perché tale statuizione era stata analiticamente impugnata (p. 12-17).
1.2. Tutte le suddette censure sono inammissibili e comunque infondate, per plurime ragioni.
In primo luogo esse sono inammissibili ex art. 366 n. 6 c.p.c., perché lamentano l’erroneità del giudizio di validità di un atto negoziale (il mandato conferito ad NOME COGNOME) del quale il ricorso non trascrive né riassume il contenuto.
In secondo luogo, la prima e la seconda delle suddette censure sono inammissibili per estraneità alla ratio decidendi , sotto due aspetti.
Il primo è che il Tribunale ha ritenuto che NOME COGNOME col proprio gravame intese dolersi, ma in modo generico, non del mandato sostanziale conferito dagli eredi COGNOME ad NOME COGNOME, ma del mandato difensivo conferito da quest’ultimo al proprio difensore .
Si legge infatti nella sentenza: ‘ l’appellante non ha chiarito in che cosa consisterebbe la nullità della procura conferita all’epoca dall’odierno appellato al difensore con il ricorso per decreto ingiuntivo ‘.
Né rileva se il Tribunale, così giudicando, abbia bene o male interpretato l’atto di gravame: quand’anche avesse errato, infatti, tale errore si doveva rimuovere con un motivo di ricorso ad hoc , mai proposto.
In sostanza, mentre il Tribunale ha ritenuto impugnato con l’atto d’appello il giudizio di validità del mandato difensivo , il ricorrente discorre di un giudizio (mai formulato dal Tribunale) di validità del mandato sostanziale ad amministrare i beni ereditari.
Sotto altro profilo, il Tribunale ha rigettato il gravame sul presupposto della sua genericità, senza entrare nel merito dell’esistenza in capo ad NOME COGNOME di poteri rappresentativi: con la conseguenza che le doglianze concernenti l’esistenza di tale potere rappresentativo (la prima e la seconda
delle tre censure sopra riassunte) non si correlano alla motivazione della sentenza impugnata.
1.3. Infine, il motivo è manifestamente infondato anche nel merito, se del merito si potesse discorrere.
Infatti, quand’anche il decreto ingiuntivo fosse stato adottato in carenza dei presupposti di legge, il giudice dell’ opposizione avrebbe comunque dovuto decidere nel merito del rapporto giuridico dedotto in giudizio. E nel merito del rapporto dedotto in giudizio NOME COGNOME aveva dimostrato la titolarità del potere di rappresentare i coeredi depositando un atto pubblico. Né rileva che l’atto pubblico fu sottoscritto successivamente al ricorso per decreto ingiuntivo: con quell’atto, infatti, i coered i ratificarono per facta concludentia l’operato di NOME COGNOME, con i noti effetti di cui all’art. 1399 c.c..
Col secondo motivo il ricorrente prospetta il vizio di violazione dell’articolo 633 c.p.c.. Al di là di tale inappropriato riferimento formale, nell ‘ illustrazione del motivo è contenuta una tesi così riassumibile:
-) i canoni livellari oggetto del decreto ingiuntivo erano dovuti in relazione a beni pervenuti agli eredi COGNOME a titolo ereditario;
-) poiché NOME COGNOME non aveva mai dimostrato di avere compiuto la denuncia di successione, da un lato lui e le persone da lui rappresentate non potevano ritenersi ‘ eredi ‘ , e dall’altro la mancanza di quella denuncia ‘ rendeva improponibile la domanda ‘ , e ‘ assumeva rilievo finanche in sede penale ‘ .
2.1. Ad evidenziare la manifesta inconsistenza di questo motivo basterà ricordare che:
-) la denuncia di successione è un adempimento fiscale, irrilevante ai fini civili;
-) la proposizione di una domanda giudiziale con la quale si chiede il pagamento dei frutti prodotti da beni caduti in successione costituisce di per sé una accettazione tacita dell’eredità;
-) la pretesa di pagamento dei frutti civili prodotti dai beni ereditari non è soggetta a condizioni di procedibilità o proponibilità;
-) il rapporto obbligatorio tra concedente ed enfiteuta è un rapporto di diritto civile, del tutto scisso ed avulso dal rapporto di diritto tributario esistente tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria.
Col terzo motivo il ricorrente sostiene che il giudice d’appello avrebbe ‘ pretermesso di rilevare che il computo dei canoni è stato esperito in contraddizione rispetto al contenuto della circolare dell’agenzia del territorio 29.104 dell’11 maggio 2011 ‘ .
3.1. La censura è, nello stesso tempo:
-) inammissibile, per totale mancanza di illustrazione circa il preteso errore commesso dal tribunale e il calcolo alternativo che si assume sarebbe stato corretto;
-) inammissibile, per estraneità alla ratio decidendi . Il Tribunale, infatti, ha rigettato il relativo motivo di gravame sul presupposto che con esso era stata introdotta una questione nuova, e tale statuizione non viene impugnata dal ricorrente.
Col quarto motivo il ricorrente prospetta il ‘ vizio procedurale per mancato completamento della fase prodromica di negoziazione assistita ad onere della controparte ‘ .
Nell ‘ illustrazione del motivo si sostiene, a quanto è dato comprendere, che durante lo svolgimento della negoziazione assistita, dopo che NOME COGNOME accettò l’invito a negoziare, NOME COGNOME non diede seguito all’accordo di negoziazione.
4.1. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
In primo luogo è inammissibile perché il ricorrente non chiarisce qual frutto intenda trarre da tale censura (improcedibilità del giudizio? Inammissibilità della domanda? Regressione al giudizio di primo grado?). La censura è
dunque formulata in violazione dell’onere di specificità richiesto dall’articolo 366, n. 4, c.p.c..
In secondo luogo il motivo è infondato, in quanto nei giudizi in cui la legge prescrive, quale condizione di procedibilità, il previo esperimento della procedura di negoziazione assistita, la condizione di procedibilità è soddisfatta quando la procedura abbia avuto inizio, a nulla rilevando che nel corso di essa una delle parti, re melius perpensa , decida di non addivenire ad alcun accordo: anche il rifiuto di transigere, infatti, costituisce espressione dell’autonomia negoziale.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
P.q.m.
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) condanna NOME COGNOME alla rifusione in favore di NOME COGNOME, nella qualità di cui in epigrafe, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 2.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della