Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30394 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30394 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19757/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
CASSA RURALE ALTO GARDA – BANCA DI CREDITO RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TRENTO n. 107/2020 depositata il 27/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’appello di Trento ha confermato la sentenza resa dal Tribunale di Rovereto nel giudizio promosso dalla società RAGIONE_SOCIALE, nonché dai soci NOME e NOME COGNOME, contro la Cassa Rurale Alto Garda BCC chiedendo che venisse pronunciata la nullità dei contratti di mutuo sottoscritti dalle parti tra il 2006 e il 2015 per pratiche bancarie scorrette (usura dei tassi, abusiva concessione del credito, violazione del divieto del patto commissorio, violazione degli articoli 1337, 1366, 1375 c.c.) con conseguente ordine di cancellazione di varie ipoteche nonché la condanna al risarcimento del danno; gli attori formulavano, altresì, ulteriori domande volte alla declaratoria di nullità di alcuni contratti di vendita di obbligazioni per violazione delle norme del T.U.F., illegittimità del recesso e revoca delle facilitazioni bancarie, inadempimento, nullità delle fideiussioni rilasciate dagli attori quali soci.
La banca convenuta si costituiva chiedendo il rigetto delle domande ed, in via riconvenzionale, la condanna degli attori al pagamento di somme a vario titolo. All’esito dell’istruttoria il Tribunale – condannata la convenuta al pagamento della somma pari al contributo unificato per mancata partecipazione senza giustificato motivo alla procedura di mediazione – rigettava tutte le domande attoree e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava la società ed i fideiussori in solido al pagamento di 32.474,30 € in relazione al mutuo chirografario (c.d. IV mutuo), di euro 143.639,84 per il mutuo ipotecario (c.d. III
mutuo), e la sola società al pagamento di euro 433,19 per lo scoperto di conto corrente.
2.- A fronte del gravame con cui la società e i soci fideiussori riproponevano tutte le originarie domande, la Corte d’appello, ha respinto tutti i motivi d’appello e confermato la sentenza di primo grado osservando:
che il motivo d’appello relativo alla erronea qualificazione dei contratti di mutuo quali contratti di mutuo di scopo era inammissibile poiché fondata su un obiter dictum e non sull’effettivo ragionamento decisorio del giudice di primo grado, concentrato sulle fattispecie dell’usura in concreto, della concessione abusiva del credito, e del patto commissorio, dedotte dagli attori-appellanti ad integrazione della pratica bancaria scorretta;
che il motivo d’appello relativo alla ritenuta insussistenza di un’usura in concreto era genericamente fondato sul mero richiamo ai documenti di causa effettuato, peraltro, attraverso i soli numeri che contrassegnavano la loro produzione, laddove, invece, sarebbe stata necessaria un’individuazione specifica e chiara di quelle parti degli stessi da cui desumere ciò che, invece, il Tribunale aveva ritenuto – in tesi degli appellanti – erroneamente insussistente; e che continuava a difettare la prova di ciò che il Tribunale aveva ritenuto essenziale per poter effettuare il necessario raffronto tra i tassi applicati e il tasso medio praticato dalla banca per operazioni similari a quelle poste in essere con gli attori, dovendosi condividere l’articolata motivazione con cui la sentenza di primo grado poneva l’accento sulla necessità di un chiaro ed univoco riscontro dei due concomitanti elementi atti a integrare la figura di un’usura in concreto, e cioè, non solo la situazione di difficoltà economica in cui versa colui che promette determinati interessi (esclusivo tema del motivo d’appello), ma anche la sproporzione degli interessi convenuti e lo squilibrio contrattuale a vantaggio di
una sola delle parti – apprezzato in base al superamento del tasso medio praticato per azioni similari – incidente sul sinallagma negoziale;
c) quanto alla concessione abusiva del credito – configurante un inadempimento contrattuale con cui la banca cagiona un pregiudizio dato dall’espansione e dall’aggravamento della situazione debitoria – che quanto narrato dagli appellanti non forniva alcun riscontro probatorio dell’assunto, mancando una censura motivata idonea a « smantellare la puntigliosa motivazione di cui alla sentenza impugnata, laddove si pongono in evidenza i quattro mutui via via nel tempo accesi e poi anche estinti, con progressiva riduzione dell’ammontare dei ratei di rimborso mensili »; non essendo contestato che l’esposizione debitoria iniziale al 2006 per 800.000,00 € si fosse ridotta nel 2015 (quindi non con un rientro «immediato») a soli 165.000,00 €, né che si fossero, altresì, ridotte le garanzie che hanno alla fine interessato beni di minor valore rispetto a quelli iniziali, né, ancora, che con il II mutuo siano stati estinti debiti per complessivi 333.584,00 € con rate di 2.100,00 € a fronte di quelle di 3.600,00 € prima sostenute per il leasing e il I mutuo BTP; né, infine, che con il III mutuo sia stato estinto il II (con riduzione della rata mensile al minor importo di 850,00 €), e che il VI muto abbia estinto il I: « tutti i movimenti e riduzioni ben elencate in sentenza in alcun modo contraddetti con idonee prove documentali contrarie le quali attestano esattamente il contrario di quanto sostenuto e cioè la mancanza di prova di un concreto pregiudizio economico partito dai debitori ovvero di un’espansione della situazione debitoria» ;
quanto al patto commissorio, che nessuna prova era stata fornita della lamentata induzione alla vendita, mentre alcune circostanze deponevano in senso opposto alla tesi propugnata dagli appellanti: « in particolare la constatazione dell’accreditamento sul conto corrente intestato agli attori delle somme ricavate dalle
vendite degli immobili, somme poi effettivamente utilizzate grazie all’indispensabile svincolo delle ipoteche sui beni oggetto di vendita – per rientrare da esposizioni verso la banca, ma con il risultato finale di una notevole riduzione del debito originario, quindi a tutto vantaggio dei debitori »;
quanto all’errata interpretazione delle prove in merito al conflitto di interessi della banca, che il motivo era infondato, perché gli appellanti non esplicitavano i mezzi istruttori che sarebbero stati utili allo scopo, e, in ogni caso, i documenti MIFID risultavano predisposti e portati a conoscenza dei clienti in ottemperanza alle norme del regolamento RAGIONE_SOCIALE, né erano state illustrate evidenze documentali atte a dimostrare l’inattendibilità delle risposte fornite dagli attori, tanto più ove si fossero considerati i numerosi investimenti degli stessi (anche con altri istituti di credito) per somme assai importanti, in presenza di un consistente patrimonio immobiliare e da parte di soggetti non certo inesperti nel settore finanziario in quanto direttamente coinvolti nella compagine sociale di RAGIONE_SOCIALE;
quanto ai motivi relativi all’illegittimità del recesso della banca dai contratti di mutuo, alla revoca delle facilitazioni bancarie e all’eccezione di inadempimento, che si trattava di motivi da esaminare congiuntamente partendo tutti dal presupposto della ricorrenza sia dell’usura in concreto che della concessione abusiva del credito, oltre che dell’accertamento del principio di buona fede da parte della banca: presupposti da ritenersi insussistenti per le ragioni con cui erano stati respinti le censure sulle statuizioni appena esaminate, con conseguente assorbimento della valutazione dei motivi predetti, come già ritenuto dal Tribunale;
quanto alla domanda di nullità delle fideiussioni ex art. 1956 c.c., che anche detto motivo era da ritenersi assorbito in quanto fondato sul ritenuto aggravamento delle condizioni economiche ad
opera della banca e sull’induzione al credito, ovvero tutti aspetti già ritenuti infondati;
che, infine, quanto alla regolazione delle spese di lite, che: (i) la condanna pronunciata dal Tribunale a carico della banca per il pagamento del doppio del contributo unificato era una sanzione prevista ex lege e non poteva essere considerata una soccombenza della banca stessa, onde la soccombenza degli attori era stata correttamente ritenuta integrale (anche per l’accoglimento della domanda riconvenzionale); (ii) quanto alla questione dello scaglione da applicare alla fattispecie individuato -in tesierroneamente tramite sommatoria tra l’importo della domanda principale e quella riconvenzionale con l’incremento del 30% per l’assoluta infondatezza delle domande attoree – il richiamo degli appellanti all’art. 5 comma 3 D.M. era inappropriato, che la giurisprudenza sul divieto di cumulo tra domanda principale e riconvenzionale era calibrata sulla normativa previgente, e che, alla luce dell’ art. 5 comma 1 D.M. 2014 è consentito, in ogni caso, aver riguardo al valore effettivo della controversia anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti, dunque – nella fattispecie – al preminente interesse delle parti attrici ad ottenere ristoro dell’ingente somma indicata per effetto di una serie di plurime articolate domande, eccezioni e rilievi di nullità che erano stati tutti respinti.
3.- Avverso detta sentenza RAGIONE_SOCIALE nonché i soci NOME COGNOME e NOME hanno proposto ricorso affidandolo a dieci motivi, cui la Cassa Rurale Alto Garda BCC ha resistito con controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 113 e 324 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n 4 c.p.c. per aver la Corte d’appello ritenuto una statuizione della sentenza di primo grado mero obiter
dictum, ed aver dichiarato, quindi, l’inammissibilità del relativo motivo di appello con conseguente parziale omissione di pronuncia. In sintesi i ricorrenti lamentano che la Corte abbia errato nel ritenere che nella sentenza di prime cure l’accenno al mutuo di scopo avesse costituito mero obiter dictum irrilevante, svolgendo così un’esegesi del tutto impropria del motivo: invero il Tribunale avrebbe in effetti qualificato i contratti oggetto di controversia come mutui di scopo e posto detta qualificazione alla base della sua decisione, sicché il motivo di impugnazione era perfettamente ammissibile; inoltre avrebbe errato nell’affermare l’inammissibilità del motivo anche in ragione della mancata illustrazione specifica delle singole norme indicate come violate nell’intestazione del motivo, poiché, in ragione del principio iura novit curia, le norme codicistiche invocate non necessitavano di particolare illustrazione in quanto portatrici di principi fondamentali di diritto sostanziale e processuale.
2.- Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360 comma 1 n. 5 c.p.c. l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in quanto la Corte avrebbe omesso completamente di pronunciarsi sulla natura dei mutui in contestazione qualificati dal Tribunale come mutui di scopo, al contrario di quanto sostenuto dagli appellanti.
3.I due motivi evidentemente connessi possono essere esaminati congiuntamente essendo entrambi inammissibili sotto diversi profili.
3.1Va premesso che la Corte d’appello – rilevando che tutto il primo motivo d’appello era dedicato all’errore interpretativo compiuto dal giudice di prime cure nella qualificazione dei mutui oggetto di causa quali mutui di scopo – ha osservato che detto motivo era inammissibile perché la motivazione del Tribunale, laddove affrontava la domanda di declaratoria di nullità dei due mutui rimasti in vita (quello chirografario e quello ipotecario), non
si fondava su detta qualificazione, essendo l’accenno al mutuo di scopo, svolto in premessa, un mero obiter dictum del tutto irrilevante, perché il ragionamento decisorio di primo grado si era concentrato sul rigetto della prospettazione attorea relativa alla sussistenza di « usura in concreto », « concessione abusiva del credito » e « patto commissorio », pratiche illegittime su cui la Corte stessa svolge, del resto, ampia motivazione onde escluderne la sussistenza.
3.2Ciò precisato, va rilevato -anche a prescindere dall’incomprensibile e non illustrata pretesa violazione dell’art. 2909 c.c. in tema di giudicato – che il vizio di omessa pronuncia (primo mezzo) in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, è impropriamente invocato, dal momento che la parte ricorrente non si duole di un’omissione di pronuncia, bensì del merito della decisione sul motivo formulato, essendo pacifico secondo la giurisprudenza di legittimità che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, mentre l’omesso esame di un argomento difensivo spiegato da una delle parti si colloca non già dal versante dell’osservanza dell’articolo 112 c.p.c., bensì da quello del rispetto dell’obbligo motivazionale: qui altrettanto impropriamente invocato con il secondo mezzo poiché, alla stregua del novellato art. 360, primo comma n. 5 c.p.c. – nella versione ratione temporis applicabile – esso va circoscritto all’omesso esame di un « fatto storico » decisivo, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); onde la parte ricorrente che lo invochi deve indicare – nel rigoroso rispetto
delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso. (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), il che qui non è, rilievo di inammissibilità ulteriore rispetto a quello, pur assorbente, che nella fattispecie si tratta di aspetti oggetto di una c,d. doppia conforme, ex art. 360 comma 4 c.p.c.
Perciò nessuno dei vizi di legittimità invocati ricorre nel caso in esame né la motivazione è assente o meramente apparente, o si avvale di argomenti manifestamente illogici o contraddittori, avendo la sentenza impugnata ampiamente esaminato i fatti controversi; sicché le critiche articolate dalla difesa della parte ricorrente sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano, in realtà, verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti dedotti e delle prove prodotte a corredo degli stessi ( ex multis, Cass. n. 10029/2021; Cass. n. 4172/2021; Cass. n. 8444/2020; Cass. n. 6692/2020; Cass. n. 11176/2017).
4.Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 644 comma 3 c.p., 124 e 124 bis del d.lgs. 385/1993, 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per avere la Corte ritenuto insussistente l’usura in concreto; secondo la ricorrente il giudice di secondo grado avrebbe omesso completamente di esaminare la documentazione prodotta che avrebbe consentito di comprovare i presupposti della dedotta fattispecie di usura in concreto. In particolare la ricorrente deduce che gli argomenti utilizzati dalla Corte sarebbero insufficienti, non dando conto né del come né del perché i documenti offerti fossero
inidonei a far emergere una grave situazione di decozione personale e societaria, ritenendo erroneamente che dagli stessi emergesse, invece, « una situazione finanziaria sotto controllo caratterizzata da adempimenti e non da difficoltà economica » come afferma la Corte nella sentenza.
5.- Il quarto motivo denuncia violazione falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1375, 1366 c.c., 10, 124 e 124 bis del d.lgs. 385/1993, 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per avere ritenuto la Corte insussistente l’abuso del credito, in quanto né il giudice di primo grado né quello di secondo grado avrebbero tenuto conto delle risultanze probatorie offerte a dimostrazione del fatto che l’esposizione di debitoria era di gran lunga superiore e asimmetrica rispetto a una normale capacità di rientro conseguente a una liquidità frutto dell’attività societaria e dell’attività lavorativa dei soci, per cui sarebbe inconsistente l’argomento della Corte trentina secondo cui « in ogni caso e soprattutto manca una censura motivata e ragionata atta a smantellare la puntigliosa motivazione di cui alla sentenza impugnata laddove si pongono in evidenza il quattro mutui via nel tempo accesi e poi anche estinti con progressiva riduzione dell’ammontare dei ratei di rimborso mensile (…) movimenti e riduzioni ben elencate in sentenza in alcun modo contraddetti con idonee prove documentali contrarie le quali attestano esattamente il contrario di quanto sostenuto cioè la mancanza di prova di un concreto pregiudizio economico patito dai debitori ovvero di una espansione della situazione debitoria ».
6.- Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2744 c.c. e 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per avere ritenuto la Corte insussistente « la violazione (indiretta) del patto commissorio », in particolare per aver affermato che « tutto il ragionamento viene impostato su una figura di patto commissorio ‘indiretto ‘ della quale non si evince traccia
nella giurisprudenza nei termini enucleati », riguardando i precedenti invocati «ben altra fattispecie precisamente l’ipotesi di vendita con patto di riscatto a favore della banca », in assenza peraltro di alcuna prova tangibile « quanto alla lamentata ‘induzione ‘ alla vendita, mentre alcune asserzioni depongono in senso opposto alla tesi propugnata, in particolare la constatazione dell’accreditamento sul conto corrente intestato agli attori delle somme ricavate dalle vendite: somme poi effettivamente utilizzate – grazie all’indispensabile svincolo delle ipoteche sui beni oggetto di vendita – per rientrare da esposizioni, ma col risultato finale di una notevole riduzione del debito originario e quindi a tutto vantaggio del debitori ».
Reputa parte ricorrente che il ragionamento argomentativo della Corte territoriale sia sbagliato (senza, peraltro, indicare in alcun modo sotto che profilo esso sarebbe contrario alla legge) poiché l’esame delle risultanze probatorie avrebbe dovuto condurre ad un esame del contesto della complessiva operazione contrattuale, guardando, non al momento in cui era stato posto in essere il trasferimento del bene, ma al reale intento perseguito dalle parti e al fatto che, anche se l’immobile non era entrato nella disponibilità proprietaria diretta della banca, vi era entrato il suo controvalore.
7.- Detti motivi, in quanto invocano tutti una violazione di legge con riguardo alle motivate statuizioni della Corte che escludono, usura in concreto, abuso del credito e « violazione (indiretta) » del divieto di patto commissorio, possono essere esaminati insieme presentando analoghi aspetti di evidente inammissibilità, in quanto, sotto l’apparente deduzione di violazione di legge la ricorrente non pone affatto in discussione il significato e la portata applicativa delle disposizioni richiamate – la cui pretesa violazione, invero, neppure viene illustrata, in violazione del principio di specificità del ricorso di all’art. 366 comma 1 n. 4 c.p.c. – bensì contesta la concreta applicazione fattane dal giudice di merito in
ragione delle risultanze istruttorie, pur essendo ben noto che dalla violazione o falsa applicazione di norme di diritto va tenuta nettamente distinta la denuncia dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, ricognizione che si colloca al di fuori dell’ambito dell’interpretazione e applicazione della norma di legge: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi -violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta -è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n.8315; Cass. 16 luglio 2010, n. 16698; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass., Sez. Un., 5 maggio 2006, n. 10313). Sicché ciò che in effetti i ricorrenti contestano è la ricognizione in concreto effettuata dalla Corte di merito delle risultanze di causa, pretendendone un riesame precluso in sede di legittimità.
7.1.- Del resto in tutti e tre i motivi è denunciata la violazione dell’articolo 116 c.p.c., sebbene sia altrettanto noto che la doglianza circa la violazione di detta norma è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo « prudente apprezzamento », pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento: e, nel caso in esame, nulla di tutto ciò si rinviene nella censura, la quale altro non fa che rimettere in
discussione il governo del materiale probatorio operato dal giudice di merito (per tutte Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867).
7.2 – A maggior ragione è inammissibile la dedotta violazione dell’articolo 115 c.p.c., per la quale occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (per tutte Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867), degradando in tal caso il motivo di gravame ad una inammissibile censura del convincimento raggiunto nel merito dal giudice.
8.Il sesto motivo di ricorso denuncia violazione falsa applicazione degli artt. 21 e 23 del d.lgs n. 58/2998 T.U.F., 39 e 40 del Regolamento RAGIONE_SOCIALE n. 20307/2018 e 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere ritenuto la Corte insussistente la violazione della normativa finanziaria nella vendita di obbligazioni da parte della banca; in particolare la parte ricorrente – per quel che si comprende dal motivo, fortemente difforme dal paradigma della chiarezza e sinteticità la cui osservanza è imposta dall’articolo 355, n. 4, c.p.c. – lamenta che la Corte d’appello di Trento avrebbe erroneamente ritenuto rispettata la normativa di cui all’invocato regolamento RAGIONE_SOCIALE, e disatteso infondatamente il motivo di censura vertente sulla critica all’obbligata stipula dei contratti di investimento imposta dall’ente creditizio agli odierni ricorrenti, senza che questi ne fossero perfettamente consapevoli e adeguatamente informati; lamenta altresì che la documentazione prodotta in relazione a tali
contestazioni non sia stata ritenuta probante in maniera completamente apodittica dalla Corte d’appello di Trento, laddove essa ha affermato che i documenti MIFID risultano predisposti e portati a conoscenza dei clienti in ottemperanza alle norme del regolamento RAGIONE_SOCIALE; contesta, inoltre, l’argomentazione con cui la Corte territoriale avrebbe ritenuto i ricorrenti dotati di preparazione ed esperienza idonee a qualificarli come esperti del settore finanziario, ed escluso il conflitto di interessi con riguardo alle varie operazioni di vendita, finanziamento, acquisto di obbligazioni proprie, asseritamente imposte dalla banca agli odierni ricorrenti, a garanzia dei propri crediti, in funzione, poi, della vendita per incameramento del ricavato.
9.- Il settimo motivo denuncia violazione falsa applicazione degli artt. 2358 c.c. e 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. e insufficiente e carente motivazione, per avere ritenuto la Corte di merito insussistente la nullità dei contratti di acquisto delle obbligazioni bancarie da parte dei ricorrenti; in particolare la parte ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia ritenuto che il motivo dedotto con riguardo alla predetta nullità fosse generico privo di riscontri di qualsiasi tipo.
10.L’ottavo motivo denuncia violazione falsa applicazione degli artt. 1460, 1175, 1176, 1366, 1375 c.c. e 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. e insufficiente e carente motivazione per avere ritenuto la Corte insussistente l’opponibilità dell’eccezione di inadempimento.
11.- Il nono motivo denuncia violazione falsa applicazione degli artt. 1956 c.c. e 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. e insufficiente e carente la motivazione per avere ritenuto la Corte insussistente la nullità dei contratti di fideiussione.
12.- Detti motivi sesto, settimo, ottavo e nono, possono essere trattati congiuntamente presentando analoghe ragioni di evidente inammissibilità, in quanto, benché tutti invochino – con riguardo
alle motivate statuizioni della Corte sopra illustrate – la violazione e falsa applicazione di specifiche disposizioni di legge, risulta del tutto assente l’illustrazione specifica della censura svolta, laddove è principio consolidato che la deduzione di siffatto vizio non può limitarsi ad indicare le disposizioni trasgredite, ma consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione ( ex aliis : Cass. n. 16698/2010; Cass. n. 7394/2010)
12.1- Nella specie è evidente che la parte ricorrente in tutti i predetti motivi lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà, non denuncia un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) bensì un vizio-motivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma n. 5 cod. proc. civ., che – nella versione ratione temporis applicabile – lo circoscrive all’omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), oppure in un’anomalia motivazionale che si traduce in una violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, anomalia che si esaurisce nella « mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico », nella « motivazione apparente », nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili » e nella
« motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile », esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di « sufficienza » della motivazione (v. Cass. Sez. Un n. 8053/14). Sicché a maggior ragione i motivi in parola sono inammissibili in quanto prospettano « un vizio di insufficiente e carente motivazione» essendo stata siffatta censura – come detto – esclusa dal paradigma dei vizi tipici che possono essere posti a base del giudizio di cassazione.
13.- Il decimo motivo denuncia violazione falsa applicazione degli artt. 5 comma 3 D.M. n. 55/2014 anche in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c. e insufficiente e carente motivazione per avere la Corte « calcolato una soccombenza su di un valore pari alla somma della domanda principale e riconvenzionale e per aver disposto un incremento del 30%».
13.1 -I ricorrenti ripropongono gli stessi motivi già respinti dalla Corte d’appello con la motivazione sopra ricordata, senza tuttavia confrontarsi con la (diversa) ratio decidendi in ragione della quale la Corte stessa ha confermato la liquidazione delle spese effettuata dal giudice di primo grado che ignorano del tutto. Quanto allo scaglione da applicare nella specie la Corte territoriale ha utilizzato non solo gli argomenti che nel motivo vengono censurati (la non pertinenza del richiamo all’art. 5 comma 3 DM 55/14, ed il fatto che la giurisprudenza di legittimità richiamata fosse calibrata sulla norma previgente), bensì osserva che, se l’art. 5 comma 1 DM cit. stabilisce che nei giudizi per il pagamento di somme si ha riguardo alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata, esso consente « in ogni caso » di aver riguardo al valore effettivo della controversia « anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti », e conclude – con una motivazione del tutto autonoma rispetto alla sentenza di primo gradoche nella fattispecie « non può trascurarsi il preminente interesse delle parti attrici a ottenere il ristoro della ingente somma indicata in sentenza quale frutto dell’avvocato accoglimento di una serie plurima ed
articolata di contestazioni eccezioni e rilievi anche di nullità o inefficacia delle varie operazioni poste in essere nel corso degli anni per cui il criterio adottato pare congruo ed appropriato proprio con riferimento agli interessi eseguiti per seguiti dalle parti ».
A questa ratio decidendi parte ricorrente non muove alcuna censura, sicché va ribadito il consolidato principio per cui « ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza. » (Cass. n. 18641 del 27/07/2017).
13.2Reputano poi i ricorrenti -quanto al contestato incremento del 30% – da un lato, che sarebbe irrilevante il rilievo che il giudice di primo grado abbia considerato i valori medi tabellari, dall’altro che la possibilità di aumento fino all’80% sarebbe ammessa in presenza di requisiti a cui non farebbe alcun riferimento né il giudice di primo né quello di secondo grado. Anche tale doglianza è inammissibile per analoghe ragioni, in quanto la Corte d’appello sul punto – a fronte del fatto che gli appellanti avevano lamentato l’illegittimità dell’aumento per il fatto che non fosse stato considerato il comportamento della controparte ai sensi dell’art.116 c.p.c. – si è limitato ad osservare che l’art. 4 comma 8 D.M. citato prevede detta possibilità d’aumento quando le difese della parte vittoriosa sono risultate manifestamente fondate, ratio legis che la sentenza di primo grado aveva rispettato sostanzialmente anche se aveva fatto riferimento « all’evidente infondatezza delle domande spiegate dagli attori »; le ulteriori osservazioni sulla congruità dell’aumento così come le censure che vi muovono gli appellanti – non valgono a rimuovere la
sufficienza di detta ratio decidendi a sorreggere la decisione adottata in mancanza di alcuna censura specifica di legittimità.
14.- Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE nonché dai soci NOME COGNOME e NOME COGNOME; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di la Cassa Rurale Alto Garda Banca di Credito Cooperativo liquidate nell’importo di euro 7.200,00 cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13.11.2024.