Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31851 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31851 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28833/2022 R.G. proposto da NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
– ricorrente principale – contro
– controricorrente e ricorrente incidentale e contro
Istituto Nazionale della Previdenza Sociale -INPS , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso
l ‘ Avvocatura Centrale dell ‘ Istituto, per mandato agli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
– resistente – avverso la sentenza n. 2350/2022 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 24.5.2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22.10.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente, già dirigente medico presso l’RAGIONE_SOCIALE Roma 2, convenne in giudizio l’ ex datrice di lavoro e l’INPS per chiedere l ‘accertamento del proprio diritto all’inserimento nella base per il calcolo del trattamento di fine servizio (TFS) di alcune voci retributive godute al momento del passaggio in quiescenza o , comunque, all’esatto conteggio del dovuto in base agli stessi parametri utilizzati dalle pubbliche amministrazioni per la liquidazione di quel trattamento finale; con condanna delle convenute al pagamento delle differenze dovute rispetto a quanto spontaneamente versato in suo favore.
Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, preso atto della parziale rinuncia intervenuta in corso di causa, accoglieva per il resto la domanda del lavoratore, riconoscendo il suo diritto all’inserimento nella base di calcolo del TFS della indennità di capo dipartimento e anche a un maggior importo derivante dal ricalcolo del dovuto sulla base degli stessi dati comunicati all’I.N.P.S. dalla datrice di lavoro .
La sentenza di primo grado venne impugnata sia dall’I.N.RAGIONE_SOCIALE. che dall’ A.U.S.L. Roma 2, con due ricorsi contro i quali si difese il lavoratore e che vennero riuniti in un unico processo.
La Corte d’Appello di Roma accolse i riuniti gravami e, per l’effetto, respinse integralmente la domanda del lavoratore, che
venne anche condannato alla restituzione di quanto ricevuto in esecuzione della sentenza di primo grado e alla rifusione delle spese processuali di entrambi i gradi e in favore di entrambi gli appellanti.
Contro la sentenza della Corte territoriale il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
L’Azienda sanitaria si è difesa con controricorso contenente anche un motivo di ricorso incidentale.
L’INPS non ha svolto difese, essendosi limitato a depositare una procura alle liti.
Il ricorso è trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia «nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell ‘art. 112 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), omessa pronuncia di giudicato, vizio di ultrapetizione».
Il motivo si concentra unicamente sulla parte della sentenza d’appello che ha riformato la decisione di primo grado anche laddove quest’ultima aveva condannato i convenuti a pagare l’importo di € 8.210,21 quale differenza dovuta in base all’esatto calcolo del TFS secondo i parametri utilizzati dalle stesse pubbliche amministrazioni e, quindi, a prescindere dalla pretesa di modificare la base di calcolo inserendovi altre voci retributive (pretesa sulla quale non ritorna il ricorrente in questa sede).
Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello sarebbe caduta nel vizio di ultrapetizione modificando un capo della sentenza di primo grado che si assume non essere stato impugnato dall’I.N.P.S. e dall’A.U.S.L. e , quindi, sotto altro profilo,
omettendo di rilevare il pur eccepito giudicato interno formatosi in parte qua .
1.1. Il motivo è inammissibile, per mancanza della necessaria specificità nella descrizione del contenuto degli atti d’appello delle controparti, che, invece, sarebbe stata necessaria per sostenere la tesi secondo cui quel capo della sentenza non sarebbe stato impugnato (art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.).
L’illustrazione del motivo di ricorso si diffonde sul contenuto degli atti introduttivi di primo grado e della memoria di costituzione in appello del lavoratore, mentre si limita ad una fugace ed apodittica affermazione di mancanza di specifiche censure nei «rispettivi atti di appello», sia di RAGIONE_SOCIALE che di RAGIONE_SOCIALE; il che non è sufficiente per consentire alla Corte di Cassazione di verificare la sussistenza del denunciato vizio di ultrapetizione rispetto ai limiti della cognizione definiti dall’effetto devolutivo dei due gravami (v., da ultimo, Cass. n. 21346/2024, sulla perdurante necessità -anche alla luce della sentenza CEDU del 28.10.2021 -della « trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza »).
Non si può peraltro fare a meno di osservare che proprio in quello stesso fugace richiamo al contenuto degli atti d’appello si legge che entrambi gli appellanti avrebbero «concluso per la
integrale riforma della sentenza di primo grado», il che è evidentemente in contrasto con la tesi del passaggio in giudicato di un capo della sentenza di cui veniva chiesta la «integrale riforma». Una cosa è, infatti, la mancanza di «censure», intese come critiche argomentate alla decisione impugnata, altra cosa è l ‘ impugnazione parziale, intesa come acquiescenza implicita nei confronti di un capo autonomo di quella decisione solo parzialmente impugnata (art. 329, comma 2, c.p.c.; v. Cass. n. 33/2008 per l’affermazione del principio secondo cui, « per ave rsi acquiescenza parziale per effetto dell’impugnazione parziale …, è necessario che dal contesto dell ‘ atto di impugnazione si deduca in modo non equivoco la volontà dell ‘ appellante di sottoporre solo in parte la decisione all ‘ esame d ‘ appello »).
Il secondo motivo del ricorso principale denuncia «violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92, comma 2, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per violazione del principio di causalità».
2.1. Il motivo è inammissibile, in quanto privo di autonomo contenuto e meramente ancillare rispetto al precedente motivo, posto che il preteso vizio nella statuizione in ordine alle spese processuali viene esplicitamente prospettato come derivante dal (supposto) errato accoglimento integrale degli appelli contro la sentenza di primo grado. Poiché tale esito del giudizio di merito non è stato efficacemente censurato con il primo motivo , viene dunque meno anche l’ipotesi di un errore nella decisione sulle spese, che è basata semplicemente sul principio della soccombenza.
Il terzo motivo riguarda anch’esso la decisione sulle spese ed è così rubricato: «violazione e falsa applicazione
dell’art. 91 c.p.c., in combinato disposto con gli artt. 4, comma 2, e 5 d.m. n. 55/2014, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 e n. 5, c.p.c., in ordine all’erronea modalità di liquidazione delle spese di lite».
Il ricorrente si lamenta che la Corte territoriale l’abbia condannato alla rifusione delle spese di lite, liquidandole, per entrambi i gradi di merito, con riguardo al valore originario della lite (€ 62.988,48), senza tenere conto della parziale rinuncia alla domanda intervenuta durante il processo di primo grado.
3.1. Anche questo motivo è inammissibile, perché il ricorrente non denuncia che la liquidazione delle spese sia risultata eccedente rispetto ai limiti massimi fissati nei parametri forensi riferiti al valore residuo della causa. E la liquidazione delle spese che rimane entro i minimi e i massimi dei parametri sopra indicati (d.m. n. 55 del 2014) non è censurabile in sede di legittimità (Cass. nn. 6110/2021; 4782/2020).
A ciò si aggiunga, per completezza di motivazione, che la rinuncia alla domanda in corso di causa comporta di per sé l’obbligo del rinunciante alla rifusione delle spese di lite (art. 306, comma 4, c.p.c.), sicché la riduzione del valore della causa derivante dalla rinuncia avrebbe potuto influenzare, a tutto concedere, soltanto la liquidazione delle spese per il grado d’appello .
L’Azienda Unità Sanitaria Locale Roma 2 ha proposto ricorso incidentale rubricato come «violazione e falsa applicazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione alla carenza di legittimazione passiva».
4.1. Il ricorso è tempestivo e non è condizionato all’accoglimento del ricorso principale , cosicché deve essere
esaminato, ancorché per rilevarne la palese inammissibilità, nei termini in cui è formulato.
La «carenza di legittimazione passiva» non è un fatto , bensì un giudizio in diritto , il che di per sé esclude che possa ravvisarsi, con riferimento ad essa, un vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio , di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
Si aggiunga che la Corte d’Appello, avendo integralmente rigettato la domanda del lavoratore, non aveva alcun bisogno di soffermarsi sull’eccezione di difetto di legittimazione passiva dell’Azienda sanitaria , che nulla poteva aggiungere (né togliere) al dispositivo di rigetto. A tale considerazione si associa anche la constatazione del difetto di interesse dell’ARAGIONE_SOCIALE Roma 2 a proporre il ricorso incidentale (incondizionato), difetto che rappresenta un ulteriore profilo di inammissibilità.
5. In ragione della reciproca soccombenza, le spese legali per il presente giudizio di legittimità vengono compensate tra ricorrente principale e ricorrente incidentale, mentre non occorre provvedere sulle spese nei confronti dell’IRAGIONE_SOCIALE, non avendo esso svolto difese, ma essendosi limitato a depositare una procura alle liti in favore di due difensori del suo ufficio legale.
6. Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, sussistono -a carico sia del ricorrente principale che della ricorrente incidentale -i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte: dichiara inammissibile il ricorso principale;
dichiara inammissibile il ricorso incidentale;
compensa le spese del giudizio di legittimità;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della