Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6649 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6649 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10067/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 2590/2019 depositata il 17/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
– Il Tribunale di Parma, con sentenza n. 76/2015, rigettò le domande proposte da COGNOME NOME nei confronti della Banca RAGIONE_SOCIALE s.p.a. oggi Banca Credit Agricole Italia s.p.a., di nullità per difetto di forma del contratto quadro relativo agli ordini di acquisto di azioni Sicav Julius Baer e di inadempimento della banca e le conseguenti domande risolutoria e risarcitoria.
– La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 17 settembre 2019, n. 2590, ha respinto l’impugnazione, ritenendo che il contratto quadro, pur trattandosi di mero collocamento, era stato comunque redatto per iscritto e sottoscritto dal COGNOME in data 2.11.2000, e che non emergeva nessun inadempimento informativo addebitabile alla banca, né gli ordini erano inadeguati al suo profilo, avendo peraltro l’investitore solo genericamente dedotto quali condotte inadempienti sarebbero state tenute dalla banca.
– Avverso questa sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME, sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso Banca Credit Agricole Italia RAGIONE_SOCIALE.a..
CONSIDERATO CHE
– Con il primo motivo del ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 23 tuf, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in quanto la Corte di appello avrebbe errato a non considerare che il requisito generale della forma scritta si applica anche al collocamento, in quanto l’operazione del COGNOME di
acquisto dei titoli Julius Baer doveva essere inquadrata nel collocamento disciplinato nella sezione III del Reg Consob 11522/98, e quindi la banca intermediaria era comunque tenuta al rispetto dell’art. 23 tuf che prescrive sotto pena di nullità la forma scritta del contratto generale di investimento; rileva, inoltre, il ricorrente che l’art. 23, comma 6, d.lgs. n. 58 del 1998 pone un’inversione dell’onere della prova in favore del cliente, spettando all’intermediario di provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta, gravando sulla banca l’onere di dimostrare, in particolare, di avere correttamente informato i clienti sulla natura, i rischi e le implicazioni della specifica operazione o del servizio.
Con il secondo motivo deduce violazione e la falsa applicazione dell’artt. 21 tuf e 28 Reg. Consob n. 11522/2018, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in quanto la Corte territoriale avrebbe errato a non riconoscere la responsabilità risarcitoria della banca, visto che nel caso di specie non vi è prova dell’assolvimento degli obblighi imposti dall’art. 28 citato, ossia la consegna del documento sui rischi generali dell’investimento e la rilevazione del profilo di rischio.
RITENUTO CHE
5. – È stata formulata proposta di definizione anticipata ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c. sulle considerazioni che: « il primo motivo è inammissibile, in quanto non censura la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha accertato l’esistenza in atti del contratto sottoscritto, onde esso non coglie nel segno e pone una questione priva di rilievo nella specie; – il secondo motivo è inammissibile, in quanto intende ripetere un giudizio sul fatto, una volta che la corte del merito ha negato l’esistenza in concreto di qualsiasi inadempimento della banca, all’esito degli accertamenti di fatto ad essa riservati ».
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
6. – Il ricorso è inammissibile.
6.1. – È manifestamente inammissibile il primo mezzo. Ha osservato la Corte territoriale, riferendosi alle doglianze relative alla nullità del contratto quadro per difetto di forma scritta: « nessuna contestazione muove dalle allegazioni della Banca che sia in primo che in secondo grado ha sempre sostenuto che il contratto quadro, sebbene a suo giudizio non fosse all’epoca necessario, era stato comunque redatto per iscritto e debitamente sottoscritto dal COGNOME in data 02.11.2000. La circostanza consente di respingere il motivo di gravame senza nemmeno esaminare se il contrattoquadro fosse necessario o meno in relazione al servizio prestato ». A fronte di tale motivazione in fatto il ricorso per cassazione replica, a pagina 13, assumendo che la « mancanza del master agreement risulta per tabulas , benché RAGIONE_SOCIALE abbia prodotto una lettera contratto per i servizi di negoziazione. La medesima non porta, infatti, data e non vi è alcuna prova che sia stata sottoscritta prima degli investimenti per cui è causa. E lo stesso dicasi per il contratto di deposito titoli a custodia e amministrazione, contratto che, comunque, non può essere confuso con quello previsto dall’art. 23 TUF. A quanto fin qui esposto deve aggiungersi che gli stessi non risultano firmati dal legale rappresentante dell’Istituto. Ora, è vero che per la sentenza 16 gennaio 2018 n. 898 delle Sezioni Unite non è necessaria la sottoscrizione dell’intermediario. Ciò, peraltro, purché il contratto sia redatto per iscritto e ne venga consegnata una copia l’investitore. Consegna, di cui nel caso nostro non vi è traccia ». Orbene, è agevole osservare che laddove il ricorrente assume che la mancanza del contratto quadro risulterebbe «per tabulas», non è dato comprendere a quali tabulae egli abbia inteso riferirsi: viceversa, ciò che risulta dalla censura è un’ipotetica erroneità della
decisione impugnata non già per un error in iudicando in iure , ma per avere il giudice di merito – secondo la prospettazione svolta erroneamente valutato il fatto, non avvedendosi dell’incertezza in ordine alla data e della mancata consegna di una copia del contratto quadro al cliente. Ma simili circostanze sortiscono per la prima volta nel ricorso per cassazione, giacché la sentenza impugnata non ne fa cenno, ed il ricorrente non spiega quando esse sarebbero state dedotte nel giudizio di merito.
Ed è cosa nota che, per giurisprudenza di legittimità assolutamente pacifica (cfr. nelle rispettive motivazioni, tra le più recenti, Cass. n. 5131 del 2023 e Cass. n. 25909 del 2021), qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il (motivo di) ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. Infatti, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio a quo, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (cfr. Cass. n. 32804 del 2019; Cass. n. 2038 del 2019; Cass. Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013; 7981/07; Cass. 16632/2010). In quest’ottica, la parte ricorrente ha l’onere – qui rimasto inadempiuto -di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado (cfr. Cass. n. 9765 del 2005; Cass. n. 12025 del 2000).
6.2. – Altrettanto manifestamente inammissibile è il secondo mezzo.
Sostiene il ricorrente nel ricorso che « non vi è traccia dell’assolvimento degli obblighi imposti dall’art. 28 » (pagina 15 del ricorso), nel disinteresse per quanto affermato nella sentenza impugnata, la quale aveva sottolineato (non « la generalità della doglianza », come asserisce il ricorrente a pagina 14 del ricorso, ma) « genericità della doglianza», che «non consente di ritenere che l’invocato inadempimento sia da considerarsi compiutamente allegato ». Insomma, la Corte territoriale ha osservato che l’inadempimento degli obblighi informativi non era neppure compiutamente allegato, ed il ricorso per cassazione, lungi dal dimostrare il contrario, si limita alla genericissima menzione dell’assenza di traccia dell’assolvimento di non meglio identificati obblighi imposti dalla norma richiamata.
7. – Il ricorso è dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza. Va fatta applicazione come in dispositivo dei commi terzo e quarto dell’articolo 96 c.p.c.. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
PER QUESTI MOTIVI
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso, in favore della parte controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 7.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, ed inoltre al pagamento, in favore della stessa parte controricorrente, della somma di € 7.000,00, nonché, in favore della cassa delle ammende, di quella di € 2.500,00, dando atto, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater , che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis .
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2024.