Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21646 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21646 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 6990/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente –
nonché
NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente –
NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1531/2022 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 14/09/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME citarono in giudizio NOME COGNOME, chiedendo che fosse dichiarata la sussistenza di una servitù di passaggio in favore del proprio fondo e a carico del fondo della convenuta, tramite una scalinata, attraverso la quale si giungeva al mare; servitù che era stata costituita per contratto da NOME COGNOME sul fondo allora di sua proprietà. NOME COGNOME, intervenuta volontariamente aderì alla posizione degli attori e, a sua volta, chiese accertarsi in proprio favore la proprietà della scalinata e l’inesistenza di diritti da parte della convenuta.
1.1. Il Tribunale rigettò le domande degli attori e dell’intervenuta.
NOME COGNOME e NOME COGNOME, con separati atti, impugnarono la sentenza di primo grado e NOME COGNOME resistette.
2.1. Riunite le cause, la Corte d’appello di Palermo, accolta l’impugnazione del COGNOME, dichiarò costui titolare della servitù di passaggio costituita con atto pubblico dell’1/7/1975 e rigettò l’impugnazione dell’COGNOME. Regolò il capo delle spese condannando la COGNOME al rimborso in favore del COGNOME e l’COGNOME al rimborso in favore della COGNOME di entrambi i gradi.
2.2. La difformità d’epilogo consiglia, sin d’ora, di riprendere, sia pure in sintesi, e per quel che ancora qui rileva, le ragioni salienti poste a fondamento della decisione di secondo grado:
il COGNOME sosteneva di essere titolare del diritto di servitù di passaggio attraverso la scalinata, la cui appartenenza in proprietà alla COGNOME contestava; quest’ultima sosteneva di essere esclusiva proprietaria del manufatto, libero da servitù;
-l’esame dell’atto pubblico del 1975, attraverso il quale il COGNOME aveva acquistato una villetta, costituente parte divisa di un complesso residenziale composto da cinque villette, non supportava l’asserto dell’appellante, secondo il quale quella scalinata delimitava il confine condominiale e non era in proprietà della COGNOME; dovendosi, per contro, affermare che l’opera a cui si faceva riferimento nell’atto al fine indicato dall’appellante era altra (la gradinata in condominio che collegava il complesso con la strada provinciale); quindi, la scalinata di cui si discuteva doveva considerarsi trasferita alla COGNOME;
tuttavia, essa scala, al contrario di quel che sosteneva la COGNOME, era gravata, per titolo, dalla servitù di passaggio pedonale;
aveva errato il Tribunale a giudicare affetto da nullità parziale il contratto di compravendita per mancanza dell’oggetto, in quanto il percorso, pur dopo una sua parziale demolizione (per la parte che era tracimata sul suolo demaniale) non aveva consumato il diritto reale per impossibilità sopravvenuta, stante che le servitù volontarie non vengono meno per il cessare dell’ ‘utilitas’ e, comunque, il passaggio era tutt’ora utile;
-superfluo l’esperimento di c.t.u. e di prove testimoniali tenuto conto di quanto sopra.
NOME COGNOME proponeva ricorso sulla base di quattro motivi, avversati da NOME COGNOME con controricorso.
NOME COGNOME controricorreva, aderendo alla posizione della ricorrente. Del pari NOME COGNOME, avente causa a titolo particolare da NOME COGNOME, con ‘atto d’intervento’.
Il Consigliere delegato della Sezione propose definirsi il ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
NOME COGNOME, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, ha chiesto decidersi il ricorso.
Il processo è stato fissato per l’adunanza camerale del 5 giugno 2024. L’COGNOME e la COGNOME hanno depositato memorie.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché degli artt. 1372, 2699 e 2700 cod. civ.
In sintesi, la ricorrente addebita alla sentenza di avere preso a base della propria decisione un contratto riguardante altre parti (COGNOME/COGNOME), risalente al 1975, invece che il contratto pertinente, risalente al 1977, e il punto sarebbe rimasto irrilevante ove la Corte d’appello <>.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia <> , violazione dell’art. 1362 segg. <>.
In stretto collegamento con la prima censura l’COGNOME ulteriormente precisa che la Corte locale aveva erroneamente
ritenuto che <>.
La necessità di ricercare il significato di ciò che le parti hanno negozialmente voluto, viene soggiunto, non può giungere fino al punto di pervertire il senso letterale delle espressioni usate: laddove si indica che un immobile confina con un altro non può che significare che quest’ultimo deve considerarsi estraneo al negozio e utile solo a segnare il confine.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia <> , con violazione dell’art. 132, co. 1, n. 4, cod. proc. civ.
La Corte di Palermo non aveva compreso che l’oggetto del contendere <>. Il sillogismo della Corte era incoerente e non comprensibile, giungendo al paradosso di <>, in contrasto con le evidenze probatorie.
Con il quarto motivo, denunciante violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., la ricorrente si duole del fatto di essere stata condannata a pagare con integralità le spese di primo e secondo grado, nonostante che il Tribunale, in violazione del principio del contraddittorio, avesse dichiarato la nullità parziale del contratto.
Preliminarmente deve stigmatizzarsi il contenuto largamente improprio dell’istanza con la quale la ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso. Con essa, infatti, la COGNOME non si è limitato, come avrebbe dovuto ai sensi dell’art. 380 bis, co. 2, cod. proc. civ., a chiedere la decisione, ma si è spesa in apprezzamenti giuridici, come si trattasse d’una integrazione del ricorso o, comunque, d’una memoria atipica, che precede la
fissazione della trattazione della causa, invece che seguirla, con deposito nel termine perentorio di cui all’art. 380 bis 1 cpc. Di un tale contenuto, pertanto, non deve tenersi conto (Sez. 2, n. 8303, 27/03/2024, Rv. 670576 -01).
Il complesso censorio costituito dai primi tre motivi non supera lo scrutinio d’ammissibilità per il concorrere d’una pluralità di ragioni.
12.1. La critica pecca di aspecificità, per difetto di autosufficienza, non essendo stato riprodotto, né puntualmente allegato l’evocato atto del 1977, che, pertanto, questa Corte non è in grado d’apprezzare.
12.2. In linea generale, la denuncia di violazione di legge, non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, S.U. n. 25573, 12/11/2020).
12.3. Come noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 6758/2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767/2023, in motivazione).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Qui non ricorre alcuna delle ipotesi sopra richiamate essendo ripercorribile il costrutto motivazionale, ben al disopra del ‘minimo costituzionale’, nel mentre le osservazioni della ricorrente si traducono, piuttosto chiaramente, nell’impropria pretesa di una rivalutazione di merito.
12.4. L’omesso esame di risultanze istruttorie non rientra nel paradigma di cui all’art. 360 cod. proc. civ. e costituisce un inammissibile ‘novum’ contemplato dal ricorso.
Il ricorso per cassazione deve essere articolato in specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad uno dei cinque motivi di impugnazione previsti dall’art. 360, comma 1 c.p.c., sicché, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di uno dei predetti motivi, è indispensabile che le censure individuino con chiarezza i vizi prospettati, tra quelli inquadrabili nella tassativa griglia normativa (S.U. n. 32415, 08/11/2021, Rv. 662880 -01).
12.5. In punto di violazione o falsa applicazione delle norme sull’ermeneutica negoziale la vicenda resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come più volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualità, il canone ermeneutico violato correlato al materiale probatorio acquisito; in quanto, <> (Sez. 2, n. 18587, 29/10/2012; si veda anche, per la ricchezza di richiami, Sez. 6-3, n. 2988, 7/2/2013). Nonostante gli sforzi profusi dalla ricorrente, il richiamo alle norme regolanti l’interpretazione del negozio risulta privo di specifica critica della decisione nel senso sopra enunciato. Manca, in definitiva, un’apprezzabile, in quanto puntuale e specificamente connessa alla norma asseritamente disattesa, critica del ragionamento della Corte locale, rimandando, piuttosto, a un improprio apprezzamento di merito.
13. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
L’unico limite che incontra il giudice del merito nello statuire sul riparto delle spese è costituito dal principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (cfr., ex multis, Cass. n. 8421/2017, 24502/2017).
In disparte è appena il caso di soggiungere che neppure risponde al vero che la sentenza di primo grado sia stata sovvertita da quella d’appello: il ‘decisum’ è rimasto immutato, avendo la Corte locale provveduto solo a modificare la motivazione del Tribunale.
14. Di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, comma 2, cod. proc. civ., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis cod. proc. civ. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.
15. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso, conforme alla proposta di definizione anticipata, consegue, ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vigente art. 96, co. 3 e 4, cod. proc. civ., la condanna della ricorrente NOME COGNOME al pagamento in favore della controparte e della cassa delle ammende, delle somme, stimate congrue, di cui in dispositivo (cfr. S.U. n. 27195/2023).
La ricorrente, in solido con NOME COGNOME e NOME COGNOME (gli ultimi due, formalmente controricorrenti, sono, tuttavia, accomunati alla posizione della prima per averne sostenuto la tesi in contrasto con la controricorrente NOME COGNOME), in ragione dell’epilogo vanno condannati al pagamento delle spese, liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore NOME COGNOME.
16. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente NOME COGNOME, in solido con i controricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME, al pagamento, in favore della controricorrente NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge; condanna, altresì, NOME COGNOME al pagamento dell’ulteriore somma di € 3.500,00 in favore di NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 96, co. 3, cod. proc. civ.; nonché della somma di € 3.000,00, ai sensi dell’art. 96, co. 4, cod. proc. civ., in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il giorno 5 giugno 2024.