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Inammissibilità ricorso cassazione: limiti al riesame

Un imprenditore individuale, dichiarato fallito, ricorre in Cassazione. La Corte dichiara l’appello inammissibile, confermando il fallimento. La decisione chiarisce che la Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo le violazioni di legge. I motivi del ricorrente sono stati respinti in quanto miravano a una nuova valutazione delle prove, rendendo inevitabile l’inammissibilità del ricorso in cassazione.

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Inammissibilità ricorso cassazione: quando l’appello è un riesame dei fatti

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio cardine del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità non è un terzo grado di merito. Il caso in esame riguarda un imprenditore dichiarato fallito che ha visto il suo appello respinto a causa della manifesta inammissibilità del ricorso in cassazione. Questa pronuncia offre spunti preziosi per comprendere i limiti entro cui è possibile contestare una sentenza di fronte alla Suprema Corte.

Il caso: dalla dichiarazione di fallimento al ricorso

Un imprenditore individuale veniva dichiarato fallito dal Tribunale su istanza di un suo ex dipendente. L’imprenditore proponeva reclamo alla Corte d’Appello, sostenendo di non superare le soglie di fallibilità previste dalla legge e contestando lo stato di insolvenza. A suo dire, si trattava solo di una difficoltà finanziaria temporanea e non di un’incapacità strutturale di far fronte ai debiti.

La decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello rigettava il reclamo. I giudici confermavano la sussistenza dei requisiti per il fallimento, valorizzando un’ingente esposizione debitoria nei confronti dell’Erario, superiore a 500.000 euro, oltre al debito verso il lavoratore, accertato con un decreto ingiuntivo non opposto. Veniva inoltre respinta l’eccezione basata sulla normativa emergenziale Covid-19, poiché l’istanza di fallimento era stata depositata nel giugno 2022, ben oltre il termine di improcedibilità previsto dalla legge.

I motivi del ricorso e l’inammissibilità in Cassazione

Contro questa decisione, l’imprenditore si rivolgeva alla Corte di Cassazione, articolando sei diversi motivi di ricorso. Tuttavia, la Suprema Corte li ha dichiarati tutti inammissibili, evidenziando come il ricorso, nella sua interezza, mirasse a ottenere un risultato non consentito in sede di legittimità: un nuovo giudizio sui fatti.

Il divieto di riesame del merito

I primi tre motivi di ricorso contestavano la valutazione della Corte d’Appello riguardo al superamento delle soglie di fallibilità e alla sussistenza dello stato di insolvenza. La Cassazione ha prontamente rilevato che tali censure non denunciavano una violazione di legge, ma sollecitavano una diversa interpretazione delle prove e dei documenti già esaminati nei gradi di merito. Questo tipo di richiesta è precluso in Cassazione, il cui compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto, non ricostruire i fatti.

Motivi non pertinenti e la “ratio decidendi”

Anche gli altri motivi sono stati giudicati inammissibili. La doglianza sull’inapplicabilità della normativa Covid è stata respinta perché non si confrontava con la specifica ratio decidendi della Corte d’Appello, che aveva basato la sua decisione su un chiaro argomento temporale (ratione temporis). Allo stesso modo, le censure sulla mancata nomina di un perito (CTU) e sulla presunta applicabilità della “rottamazione quater” sono state ritenute inammissibili: la prima perché la CTU è uno strumento discrezionale del giudice, la seconda perché scollegata dal ragionamento logico-giuridico della sentenza impugnata.

Le motivazioni della Corte Suprema

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione di inammissibilità su principi consolidati. In primo luogo, ha sottolineato che i motivi di ricorso volti a contestare l’accertamento dei debiti e la valutazione dello stato di insolvenza si traducono in una richiesta di revisione del giudizio di fatto, attività riservata esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il ricorrente non può chiedere alla Cassazione di sostituire la propria valutazione a quella del giudice precedente, a meno che non dimostri un vizio logico o un errore di diritto palese.

In secondo luogo, la Corte ha spiegato che un motivo di ricorso è inammissibile quando non coglie la ratio decidendi, ovvero la vera ragione giuridica della decisione impugnata. Criticare aspetti marginali o non affrontare il nucleo del ragionamento del giudice inferiore rende il motivo inefficace. Infine, è stato ribadito che strumenti processuali come la CTU rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito e la loro mancata attivazione non costituisce, di per sé, un vizio della sentenza censurabile in Cassazione.

Conclusioni: le implicazioni della sentenza

L’ordinanza in commento è un’importante lezione sul corretto utilizzo del ricorso per cassazione. Essa ci ricorda che la Suprema Corte non è un “terzo giudice” dei fatti, ma un organo di controllo sulla legittimità delle decisioni. Chi intende impugnare una sentenza in Cassazione deve concentrarsi sull’individuazione di precise violazioni di norme di diritto o vizi procedurali, evitando di riproporre le stesse argomentazioni fattuali già respinte nei gradi precedenti. La conseguenza di un ricorso mal impostato, come in questo caso, è una declaratoria di inammissibilità e la condanna al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, aggravando la posizione del ricorrente.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti di una causa, come l’ammontare dei debiti?
No. La Corte di Cassazione si pronuncia solo su questioni di diritto (violazioni di legge o vizi procedurali). I motivi del ricorso che chiedono una nuova valutazione delle prove o dei fatti, come l’effettivo superamento delle soglie di debito, sono considerati inammissibili.

Perché il motivo relativo all’improcedibilità delle istanze di fallimento nel periodo Covid-19 è stato respinto?
È stato respinto perché la norma invocata si applicava solo ai ricorsi depositati tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020. Nel caso specifico, il ricorso per la dichiarazione di fallimento era stato depositato il 28 giugno 2022, quindi fuori dal periodo di applicazione della norma emergenziale (ratione temporis).

Il giudice è obbligato a disporre una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) se una parte la richiede?
No. La decisione di disporre una CTU è un potere discrezionale del giudice di merito. La sua mancata concessione non può essere motivo di ricorso in Cassazione, in quanto rientra nella valutazione del giudice e non costituisce una violazione di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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