Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25903 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25903 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 14099/2024 r.g. proposto da:
NOME ed NOME, entrambi elettivamente domiciliati in Pescara, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende , unitamente all’Avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al ricorso.
–
ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Pescara, al INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al controricorso.
-controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata dalla sua procuratrice speciale RAGIONE_SOCIALE
-intimata –
avverso la sentenza, n. cron. 501/2024, della CORTE DI APPELLO DI L’AQUILA depositata in data 16/04/2024; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 17/09/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con decreto n. 1287/18 del 30 agosto 2018 e successivo provvedimento di integrazione del 6 settembre 2018, il Tribunale di Pescara ingiunse alla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE), nonché ai suoi fideiussori NOME COGNOME e NOME COGNOME, di pagare, in favore della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. la complessiva somma di € 611.482,87, oltre gli interessi e le spese del procedimento monitorio, per le seguenti causali: a ) € 281.482,87 , per saldo del rapporto di conto corrente n. 76876; b ) € 330.000,00 , derivante dall’escussione del credito di firma da parte della Yamaha Motor Italia s.p.a., in virtù della fideiussione dell’importo di € 330.000,00 rilasciata dalla Banca MPS a garanzia delle forniture eseguite in favore della RAGIONE_SOCIALE.l.
Con citazione notificata il 17 ottobre 2018, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, il COGNOME e la NOME proposero opposizione, ex art. 645 cod. proc. civ., avverso il suddetto decreto, contestando la legittimità del rapporto di conto corrente sotto diversi profili e chiedendo la revoca del provvedimento monitorio, con condanna della banca al risarcimento dei danni per illegittima segnalazione in Centrale Rischi ed al pagamento delle spese di lite.
Si costituì in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, quale procuratrice della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., che rimarcò la manifesta inammissibilità ed infondatezza delle spiegate domande,
Disposta una c.t.u. contabile volta alla verifica della legittimità delle condizioni economiche pattuite nell’ambito del rapporto di c/c n. 76876, nelle more, con atto depositato il 26 febbraio 2021, si costituì, ai sensi dell’art. 111 cod. proc. civ., la AMCO s.p.a., divenuta titolare dei crediti vantati dalla Banca
MPS per effetto dell’atto di scissione parziale per Notar NOME COGNOME del 25 novembre 2020.
Esaurita l’istruttoria, con sentenza del 17 marzo 2022, n. 298, il Tribunale di Pescara così dispose: « A ccoglie in parte l’opposizione e , per l’effetto , revoca in ogni parte il decreto nr. 1287/18 del 30.08.2018 e successivo provvedimento di integrazione del 6.09.2018; in parziale accoglimento della iniziale richiesta, condanna società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , in persona del legale rappresentante pro tempore , anche in proprio, Sig. COGNOME NOME COGNOME nonché la Sig.ra NOME COGNOME al pagamento, in favore di parte opposta e di RAGIONE_SOCIALE , intervenuta nella qualità, in solido, della complessiva somma di euro 537.153,53, oltre accessori come da iniziale richiesta monitoria; dichiara compensate per 4/5 le spese di lite e condanna per il residuo gli opponenti ; pone le spese di CTU su parti opponenti in solido nella misura del 80%, ed in parti uguali nei rapporti interni, e su parte opposta per il residuo 40% » .
3. Il gravame promosso esclusivamente da NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso questa decisione fu respinto dall’adita Corte di appello di L’Aquila, con sentenza del 16 aprile 2024, n. 501 pronunciata nel contraddittorio con la RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE e nella contumacia di RAGIONE_SOCIALE quale procuratrice speciale di Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.
Per quanto qui ancora di interesse, quella Corte ritenne infondati: i ) il primo motivo di appello -con cui era stato lamentato il difetto di legittimazione dell’appellata per l’asserita carenza di prova della cessione del credito, effetto di una scissione parziale ai sensi dell’art. 2506 c od. civ. del 25 novembre 2020, giusta atto per Notaio dott. NOME COGNOME di Siena, rep. 39399, racc. 20019, iscritto nel registro delle imprese di Arezzo-Siena con protocollo n. 34100/2020 del 3 settembre 2020 per BMPS e nel Registro delle Imprese di Napoli con protocollo n. 134351/2020 in data 2 settembre 2020, per RAGIONE_SOCIALE. Secondo gli appellanti non sarebbe stato sufficiente il solo avviso di pubblicazione della cessione sulla Gazzetta Ufficiale per ritenere assolto l’onere probatorio circa il trasferimento del credito oggetto di causa -fornendo ampia giustificazione del proprio convincimento sul punto ( cfr.,
amplius , pag. 8-10 della sentenza impugnata); ii ) il quarto motivo di appello -relativo all’asserita nullità, annullabilità e/o inefficacia delle fideiussioni prestate -esaustivamente argomentandone le ragioni ( cfr. amplius , pag. 15 e ss. della medesima sentenza).
Per la cassazione di questa sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso affidandosi a due motivi, entrambi recanti plurime censure. Ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE, mentre è rimasta solo intimata Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. in persona della sua procuratrice speciale RAGIONE_SOCIALE
Il 3/4 dicembre 2024, il consigliere delegato ha depositato una proposta di definizione anticipata del giudizio ex art. 380bis cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Con istanza del 27 dicembre 2024, il COGNOME e la COGNOME hanno chiesto la decisione del loro ricorso. Sono state depositate memorie ex art. 380bis .1 cod. proc civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) « Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c. e all’art. 115 c.p.c. , per aver la Corte distrettuale omesso di ‘pronunciare su tutta la domanda’ proposta con il ‘primo motivo di appello’ ed eccedendo ‘i limiti di essa’ e, comunque, con il non porre ‘a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti’ , con conseguente ‘violazione o falsa applicazione di norme di diritto’ di cui agli artt. 2506bis e 2501ter cod. civ. e all’art. 111 c.p.c. in relazione e “violazione’ dell’art. 81 c.p.c. da accertarsi e ‘verifica(re), anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo».
II) « Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c. e all’art. 115 c.p.c. per aver la Corte distrettuale omesso di ‘pronunciare su tutta la domanda’ proposta con il ‘quar t o motivo di appello’ ed eccedendo ‘i limiti di essa’ e, comunque, con il non porre ‘a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti ‘ ».
Va rilevato, in primis , che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore:
« 1. Il ricorso è inammissibile, innanzitutto, nel suo complesso:
i) per difetto dei requisiti di chiarezza e sinteticità di cui all’articolo 366, numero 4, c.p.c., il quale, dopo l’entrata in vigore – antecedente al ricorso – del decreto legislativo 10 ottobre 2022, numero 149, richiede ‘la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano’, mentre, nel caso di specie, il ricorso è formulato mediante l’impiego, oltre che di una non comune prolissità, di una impostazione espositiva che, anche sul piano delle insolite caratteristiche grafiche largamente utilizzate, rende assolutamente ostico intendere ciò che con esattezza i ricorrenti abbiano inteso dire;
ii) giacché non consente di comprendere, se non altro con tranquillante sicurezza, quale delle plurime norme richiamate in rubrica il giudice d’appello avrebbe violato; in proposito, deve ricordarsi che, come si legge nella recente Cass. n. 26383 del 2024, «il requisito di cui all’art. 366, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., consiste in un’esposizione che deve garantire a questa Corte di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia, del fatto processuale e della chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. U., 28 novembre 2018, n. 30754, che richiama Cass. n. 21396 del 2018); la valutazione in termini d’inammissibilità del ricorso non esprime, naturalmente, un formalismo fine a sé stesso, bensì il richiamo al rispetto di una precisa previsione legislativa volta ad assicurare uno ” standard ” di redazione degli atti che, declinando la qualificata prestazione professionale svolta dalla difesa e presupposta dall’ordinamento, si traduce nel sottoporre al giudice nel modo più chiaro la vicenda processuale permettendo, in quel perimetro, l’apprezzamento delle ragioni della parte (Cass., Sez. U., n. 30754 del 2018, cit.). Si tratta, come appare evidente, di una ricaduta del principio di specificità del gravame, calato nel giudizio a critica vincolata qual è quello della presente sede di legittimità; la stessa giurisprudenza della Corte E.D.U.
28 ottobre 2021, ricorso n. 55064/11 e altri 2 – Succi e altri contro Italia – ha chiarito: a) che la ricostruita lettura del « principe d’autonomie du pourvoi en cassation », ovvero dell’art. 366, cod. proc. civ., e in questo caso del numero 3 del primo comma, «garantisce un utilizzo appropriato e più efficace delle risorse disponibili» dall’amministrazione della giustizia, quale conformata dalle norme nazionali e dal diritto vivente a fronte delle domande ad essa rivolte» (la Corte evoca in questo quadro le disposizioni contenute nell’art. 360-bis cod. proc. civ.); b) come «tale approccio sia attinente alla natura stessa del ricorso per cassazione che protegge, da una parte, l’interesse del ricorrente a che siano accolte le sue critiche contro la decisione impugnata e, dall’altra, l’interesse generale alla cassazione di una decisione che rischi di pregiudicare la corretta interpretazione del diritto» (§§ 78-79); c) che, in particolare, la Corte di legittimità, leggendo il ricorso nella sua globalità, deve allora poter «comprendere l’oggetto della controversia, così come il contenuto delle critiche che dovrebbero giustificare la cassazione della decisione impugnata» (§ 110); d) in applicazione del principio di specificità del ricorso per cassazione, ai fini del rispetto del requisito stabilito dall’art. 366, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., debbono essere precisate e riferite, con chiara sintesi idoneamente funzionale ad elidere dubbi di comprensione, le pretese quali svolte nelle fasi di merito, e le risposte date dai precedenti giudici, così da poter apprezzare la concludenza delle censure a quelle risposte, previa ragionata ovvero pertinente menzione sia degli atti dove verificare quanto così congruamente riportato, sia della loro univoca collocazione nell’incarto documentale come appropriatamente offerto all’esame della Suprema Corte».
1.1. Fermo quanto precede, i due formulati motivi di ricorso sono scrutinabili congiuntamente perché, comunque, tutti inficiati dalle medesime, plurime, ragioni di inammissibilità.
1.2. In primo luogo, perché prospettano, genericamente e cumulativamente, vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando ), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per Cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una
simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure (cfr., e plurimis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 26383 e 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878, 27505 e 4528 del 2023; Cass. nn. 35832 e 6866 del 2022). In altri termini, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (cfr. Cass. n. 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878 e 27505 del 2023; Cass. nn. 11222 e 2954 del 2018).
1.2.1. È sicuramente vero, peraltro, che, «In tema di ricorso per cassazione, l’inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c., può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati» (cfr., in termini, Cass. n. 39169 del 2021. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche Cass., SU, n. 9100 del 2015; Cass. n. 7009 del 2017; Cass. n. 26790 del 2018). Tanto, però, non si rinviene nei motivi di ricorso in esame, i quali, per come concretamente argomentati, non consentono di individuare, con chiarezza, le doglianze riconducibili agli invocati vizi, rispettivamente, motivazionali e di violazione di legge (anche processuale), in modo tale da consentirne un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare quella teoricamente proponibili, al fine di ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse.
1.3. Laddove, poi, i medesimi motivi invocano il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., essi, innanzi tutto, mostrano di non considerare che avuto riguardo alla regola di cui all’art. 348 -ter, ultimo comma, cod. proc. civ., abrogato dal d.lgs. n. 149 del 2022, a decorrere dal 28 febbraio 2023, ma qui applicabile ratione temporis (giusta l’art. 35 del menzionato d.lgs. e posto che il giudizio di appello venne instaurato dagli odierni ricorrenti con atto notificato il 4 aprile 2022, come emerge dalla pagina 4 del loro ricorso. Cfr. Cass. n. 11439 del 2018), la quale esclude la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dell’art. 360, comma 1, dello stesso codice, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (cd. ‘doppia conforme’), questa Corte ha da tempo chiarito che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella cd. ‘doppia conforme’ in facto (Cass. n. 7724 del 2002 ha precisato, inoltre, che « Ricorre l’ipotesi di ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 -ter , commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice»), sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. nn. 26255, 19371, 17021 e 5436 del 2024; Cass. nn. 35782, 26934 e 5947 del 2023; Cass. n. 20994 del 2019; Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 26860 del 2014): onere rimasto, invece, inadempiuto stando alle argomentazioni concretamente rinvenibili nelle doglianze de quibus .
1.3.1. In secondo luogo, va rimarcato che l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. -nel testo introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis ,
risultando impugnata una sentenza resa il 16 aprile 2024) -riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 26255, 19371, 17021, 6127 e 2607 del 2024; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022; Cass. nn. 4477 e 395 del 2021; Cass., SU, n. 16303 del 2018).
1.4. Quanto, poi, al vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., giova ricordare che lo stesso può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente perché, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro, ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua, pur corretta, interpretazione. Cfr., tra le più recenti, Cass. nn. 27328, 19423, 16448 e 5436 del 2024; Cass. n. 1015 del 2023; Cass. nn. 5490, 3246 e 596 del 2022; Cass. nn. 40495, 28462, 25343, 4226 e 395 del 2021). È opportuno evidenziare, inoltre, che questa Corte, ancora recentemente (cfr., pure nelle rispettive motivazioni, oltre alle pronunce appena citate, Cass. n. 35041 del 2022, Cass. n. 33961 del 2022 e Cass. n. 13408 del 2022), ha chiarito, tra l’altro, che: a) non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; b) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria
ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass. n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); c) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).
1.4.1. Nella specie, la corte distrettuale ha fornito ampia giustificazione del proprio convincimento circa l’avvenuto rigetto di tutte le censure innanzi ad essa prospettate dagli appellanti, dovendosi, quindi, escludere qualsivoglia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. In relazione a quest’ultima, peraltro, è doveroso rimarcare che, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto. Tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti, come in questo caso, il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (cfr. Cass. n. 4024 del 2024; Cass. n. 1863 del 2024; Cass. n. 1798 del 2024; Cass. n. 2151 del 2021; Cass. n. 24953 del 2020). Il giudice, infatti, non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. Ne consegue che: i) il vizio di omessa pronuncia -configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto -non ricorre laddove, seppure manchi una
specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (cfr. Cass. n. 1863 del 2024; Cass. n. 12652 del 2020); ii) la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronuncia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (cfr. Cass. n. 4024 del 2024; Cass. n. 1863 del 2024; Cass. n. 12131 del 2023; Cass. n. 24953 del 2020).
1.4.2. Pertanto, non resta che prendere atto dei relativi accertamenti, evidentemente fattuali, svolti dal giudice a quo , rispetto ai quali le argomentazioni delle censure in esame si rivelano sostanzialmente volte ad ottenerne un riesame, così dimenticando che: i) come si è già detto in precedenza, il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme assertivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 27328, 16448 e 15033 del 2024; Cass. nn. 13408, 10033 e 9014 del 2023; Cass. n. 31071 del 2022; Cass. nn. 28462 e 25343 del 2021; Cass. n. 16700 del 2020. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, «in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della
censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa»); ii) affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. 24434 del 2016). In altri termini, la valutazione degli elementi istruttori costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (cfr. Cass. n. 11176 del 2017, in motivazione). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 cod. proc. civ., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), peraltro, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti (cfr. Cass., SU, n. 20867 del 2020): il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati (cfr. Cass. n. 11176 del 2017); iii) il giudizio di legittimità, come si è già detto, non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490,
9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 16118, 19423 e 27328 del 2024) ».
Il Collegio reputa affatto condivisibile tali conclusioni, che, pertanto, ribadisce interamente, in quanto conformi anche alla successiva giurisprudenza di questa Corte pronunciatasi sui medesimi profili processuali rimarcati nella descritta proposta.
Rileva, inoltre, che, nella propria memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. del 20 agosto 2025, i ricorrenti hanno criticato quest’ultima esclusivamente laddove essa ha ritenuto che « Nella specie, la corte distrettuale ha fornito ampia giustificazione del proprio convincimento circa l’avvenuto rigetto di tutte le censure innanzi ad essa prospettate dagli appellanti », ma nulla hanno compiutamente e significativamente argomentato con riguardo alle ulteriori, plurime e, già da sole, decisive cause di inammissibilità di entrambi i motivi di ricorso ivi ampiamente descritte.
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, restando a loro carico, in via solidale, le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente.
4.1. Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ.
Vale rammentare, in proposito, che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. (pure novellato dal menzionato d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi
confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente ( cfr . Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. nn. 11346 e 16191 del 2024). Pertanto, non ravvisando il Collegio (stante la complessiva ‘tenuta’ del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) ragioni p er discostarsi dalla suddetta previsione legale ( cfr ., in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023), i ricorrenti suddetti, vanno condannati, in solido tra loro, nei confronti della costituitasi controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € ,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
4.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME e li condanna al pagamento, in solido tra loro, in favore della costituitasi controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna i medesimi ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento della somma di € 12.000,00 in favore della costituitasi controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza
dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del COGNOME e della Evangelista, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 17 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME