Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5464 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 5464 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3089/2023 R.G. proposto da :
NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME unitamente agli avvocati COGNOME COGNOME
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 908/2022 pubblicata il 16/08/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Catanzaro, con la sentenza n.908/2022 pubblicata il 16/08/2022, ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME nella controversia con l’I.RAGIONE_SOCIALE
La controversia ha per oggetto l’accertamento della illegittimità di due sanzioni disciplinari conservative, irrogate nel gennaio 2013 e nel settembre 2015; l’accertamento della illegittimità, della natura vessatoria, mobbizzante e/o demansionante e/o dequalificate dell’assegnazione all’URP della sede provinciale di Crotone ed il risarcimento dei danni.
Il Tribunale di Crotone accoglieva solo in parte le domande proposte dalla COGNOME, ritenendo: la legittimità della sanzione disciplinare irrogata nel gennaio 2013; la illegittimità di quella irrogata nel settembre 2015; infondata la domanda di accertamento del mobbing; solo in parte fondata la domanda di risarcimento del danno da demansionamento, ritenendo la illegittimità della condotta datoriale (privazione mansioni categoria C) a far tempo dal 14/03/2013 con la condanna al pagamento di euro 14.820,00 a titolo di danno patrimoniale ed euro 34.656,136 a titolo di danno non patrimoniale.
La corte territoriale ha esaminato in modo puntuale le censure sollevate dalla COGNOME, ritenendole infondate in fatto o inconferenti.
Per la cassazione della sentenza ricorre la COGNOME con ricorso illustrato da memoria . L’Istituto previdenziale resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente lamenta «violazione art.360 c.p.c. n.3 e 5 (…) per le seguenti violazioni: a) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti collettivi; b) motivazione apparente» (pag.37 ricorso).
Il motivo è inammissibile, per una pluralità di ragioni concorrenti.
Ai sensi dell’art.366 comma primo n.4) cod. proc. civ. come novellato dal d.lgs. n.149/2022 -il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, «la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano».
La disposizione è applicabile, ex art.35 comma 5 d.lgs. n.149/2022 (come succ. modd.), al procedimento in esame perché il ricorso per cassazione è stato notificato il 06/02/2023.
Il ricorso viola la disposizione sopra citata perché non specifica in modo chiaro e sintetico i motivi di critica vincolata, ma si risolve in una lunga chiosa alla sentenza della corte territoriale ed alla sentenza del giudice di prime cure, frammiste di doglianze e considerazioni giuridiche che non integrano però i requisiti minimi del motivo come divisato dal codice di rito.
La ricorrente richiama i documenti già prodotti, critica l’apprezzamento dei fatti compiuto dalla corte territoriale, al quale giustappone il proprio, lamenta in alcuni punti il difetto di motivazione o la motivazione apparente, in un coacervo inestricabile che appare del tutto difforme dal tipo previsto dall’art.366 cod. proc. civ.
Con riferimento poi alla pretesa violazione di norme di diritto giova rilevare che solo nella parte iniziale dello scritto viene in qualche modo prospettata la violazione degli artt.168 e 169 cod. proc. civ., nonché degli artt. da 72 a 77 disp. att. cod. proc. civ. (pag. 38 ricorso), senza però confrontarsi con la ratio decidendi
della corte territoriale, che in parte qua ha correttamente applicato le disposizioni del codice di rito relative all’omesso deposito, nel grado di appello, dei fascicoli di parte relativi al procedimento di primo grado (§16 della motivazione); e senza esplicitare il motivo della doglianza, sostanzialmente limitato al mero elenco delle norme che si assumono violate.
Il resto del ricorso si risolve poi in una critica continua e frammentata alla motivazione della sentenza della corte territoriale, a volte ritenuta apparente, a volte del tutto carente.
È appena il caso di rilevare che la riformulazione dell’art. 360, n. 5), cod. proc. civ., disposta con l’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è deducibile esclusivamente l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, «deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. cod. civ., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n.8.053).
Nel caso in esame la motivazione della corte territoriale è puntuale ed articolata con specifico riferimento a ciascuno dei motivi di appello.
11. Per questi motivi deve dichiararsi la inammissibilità del ricorso. La ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 2.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro