Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7246 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7246 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6200/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Verona INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che l a rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 3085/2021 depositata il 22/12/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/11/2024
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La presente controversia, per quanto ancora d’interesse , trae origine dal decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Verona a favore della società RAGIONE_SOCIALE e nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE per il pagamento di € 136.981,42. Tale importo si riferisce al mancato adempimento da parte di RAGIONE_SOCIALE delle obbligazioni assunte mediante la sottoscrizione di due scritture private. Con tali accordi, RAGIONE_SOCIALE si era impegnata a estinguere una precedente esposizione debitoria nei confronti di RAGIONE_SOCIALE derivante da rapporti economici pregressi non integralmente definiti.
Con la sentenza n. 623/2020 il Tribunale di Verona ha rigettato l’opposizione confermando il decreto ingiuntivo opposto.
Con la sentenza n. 3085/2021 del 22.11.2021 la Corte d’Appello di Venezia ha confermato la sentenza impugnata.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società RAGIONE_SOCIALE propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi.
3.1. RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia , ‘ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, nonché degli artt. 1362, 1175, 1337, 1366, 1375 e 1218 c.c’.
Lamenta che la Corte di appello, nella sentenza impugnata, ha erroneamente valutato le risultanze processuali, e in particolare
omesso di considerare il comportamento tenuto dalle parti, segnatamente da MAN, dopo la sottoscrizione dell’accordo transattivo, da cui sarebbe emersa la comune intenzione di rinnovare i rapporti contrattuali.
Lamenta che Man è inadempiente, in quanto il termine di 10 giorni previsto in tale accordo doveva ritenersi essenziale, ‘dal momento che risultava inequivocabile la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con il decorso del termine medesimo’ (cfr. p. 15 ricorso).
Si duole che la corte territoriale abbia omesso di considerare che Man ha agito in palese violazione dei principi di affidamento, lealtà, correttezza e buona fede, avendo tenuto un contegno negligente, imprudente e imperito con conseguente responsabilità negoziale, anche da contatto sociale, ai sensi degli artt. 1173-1176 e 1218 c.c.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1435, 1438, 1444 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Lamenta che il giudice del gravame ha ritenuto non sussistere il suo vizio del consenso al momento della firma del piano di risanamento dei debiti dell’11 marzo 2015, avendo erroneamente limitato l’ esame alla volontaria esecuzione della scrittura laddove l’e -mail del 4.3.2015 e la prova orale, mai ammessa, dimostrano le pressioni esercitate da Man sulla sua libertà di autodeterminazione a sottoscrivere il suddetto piano.
Lamenta che la corte di merito ha ‘ erroneamente ritenuto che il caso in esame non fosse sussumibile nella fattispecie legale delineata dagli artt. 1435, 1438, 1444 c.c., così facendo malgoverno delle indicate disposizioni’, nonché ‘nell’aver escluso che l’esibizione della comunicazione email che rappresentava l’immediata escussione bancaria e la definitiva chiusura
contrattuale in caso di mancata sottoscrizione abbia viziato la volontà del sottoscrivente ‘ .
4.3. Con il terzo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 132, 345 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.
Lamenta che l’eccezione di mancata conclusione del contratto di rimessaggio e la domanda di accertamento dell’inadempimento di MAN all’obbligo di contrattazione previsto nella transazione sono state proposte con l’opposizione al decreto ingiuntivo e poi ribadite con la prima memoria ex art. 183 c.p.c. e in conclusionale, tanto che il giudice di prime cure si è pronunciato sulla questione riguardante il contratto di rimessaggio.
Detta questione è stata poi riproposta in appello, con conseguente erroneità della statuizione di inammissibilità del motivo per sua novità, ex art. 345, 2° comma, c.p.c.
4.4. Con il quarto motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 112, 115, 116, 183, 188, 191 e ss. e 356 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c. con riferimento all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.)
Si duole che la c orte d’appello abbia erroneamente respinto la reiterata istanza di ammissione dei mezzi istruttori sulla base di una ‘motivazione illogica e del tutto difforme allo svolgimento dei fatti e alle censure mosse’, oltre che assolutamente carente e inadeguata, laddove gli elementi dedotti nei capitoli di prova sono determinanti ai fini della corretta decisione.
Lamenta non essersi dalla corte di merito tenuto conto del materiale probatorio acquisito agli atti.
I primi due motivi di ricorso, che possono essere scrutinati insieme, stante la connessione, logica e giuridica, delle censure in essi esposte, sono inammissibili sotto diversi profili.
Va debitamente premesso che le doglianze ivi formulate, ruotando sostanzialmente intorno all’interpretazione del contenuto della
scrittura privata del 21 febbraio 2013 e, in particolare, a quanto concordato inter partes con l’art. 10 (primo motivo), non si conformano appieno al requisito di autosufficienza richiesto per il ricorso in cassazione dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.
In base a tale requisito, infatti, nel giudizio di legittimità è necessario esporre nel ricorso, in maniera succinta, ma esaustiva, il vizio di violazione di legge sostanziale o processuale per come inizialmente dedotto insieme all’atto processuale in cui esso è ictu oculi rinvenibile, in modo che il giudice di legittimità, leggendo il ricorso, sia messo nelle condizioni di valutare ex actis la rilevanza della questione in diritto sollevata, non essendo possibile sopperire a tali lacune con indagini integrative (cfr. da ultimo, ex multis , Cass. civ., Sez. I, Ord., 12 novembre 2024, n. 29162
Nel caso in esame, la ricorrente si è limitata a riprodurre, nel corpo dei primi due motivi, semplici stralci sia dell’art. 10 che della scrittura privata, omettendo quindi di riportarne il testo integrale (cfr. pp. 10-21 ricorso). Così facendo, è però incorsa in un vizio di forma e le censure proposte difettano di specificità, determinandone l’inammissibilità.
Inoltre, le censure articolate da parte ricorrente veicolano, di fatto, una quaestio ermeneutica relativa all’accordo transattivo del 2013 e al piano di rientro del 2015, quando invece, secondo costante insegnamento di legittimità, l’interpretazione del contratto, traducendosi in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, è un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione solo se le doglianze non si risolvono in una critica del risultato interpretativo in sé raggiunto da detto giudice, venendo meramente in evidenza la contrapposizione di una differente interpretazione (cfr. ex plurimis , Cass. civ., Sez. I, Ord., 13 novembre 2024, n. 29326; Cass. civ., Sez. I, Ord., 11 novembre 2024, n. 28961; Cass. civ., Sez. I, Ord., 11 giugno
2024, n. 16226; Cass. civ., Sez. III, Ord., 4 dicembre 2023, n. 33817).
Questo perché il ruolo dei giudici di legittimità è di verificare il rispetto dei ‘canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati’ (cfr. ex permultis , Cass. civ., Sez. III, Ord., 11 novembre 2024, n. 29039; Cass. civ., Sez. III, Ord., 17 ottobre 2024, n. 26994; Cass. civ., Sez. III, Ord., 10 ottobre 2024, n. 26495; Cass. civ., Sez. III, Ord., 31 gennaio 2024, n. 2887).
Sotto il profilo dell’inquadramento sistematico -formale del motivo, questo significa che il ricorrente che denuncia un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a un generico richiamo alle regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. che assume disattese ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., incombendo su di lui ‘l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato’ (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. II, Ord., 21 novembre 2024, n. 30025; Cass. civ., Sez. III, 13 novembre 2024, n. 29288; Cass. civ., Sez. III, Ord., 6 novembre 2024, n. 28573; Cass. civ., Sez. I, Ord., 25 settembre 2024, n. 25638; Cass. civ. Sez. I, Ord., 11 giugno 2024, n. 16183).
D’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice di merito al contratto, ‘non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito -alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito –
dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra’ (v. ancora da ultimo, Cass. n. 30025/2024 cit.; Cass. n. 29326/2024 cit.; ma anche Cass. civ., Sez. III, 13 novembre 2024, n. 29281).
Tra l’altro, la scelta da parte del giudice del merito del mezzo ermeneutico più idoneo all’accertamento della comune intenzione dei contraenti non è sindacabile in sede di legittimità qualora sia stato rispettato il principio del “gradualismo”, secondo il quale deve farsi ricorso (anche in caso di atti negoziali unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale ex art. 1324 c.c.) ai criteri interpretativi sussidiari, come l ‘interpretatio contra stipulatorem in presenza di modulo predisposto da uno dei contraenti ai sensi dell’art. 1370 c.c., solo quando risulti non appagante il ricorso ai criteri di cui agli artt. 1362 – 1365 c.c., ed il giudice fornisca compiuta ed articolata motivazione della ritenuta equivocità ed insufficienza del dato letterale (Cass. 12721/2007).
Nella fattispecie, le doglianze di COVI, come detto, si risolvono in una critica all’interpretazione del giudice del gravame (e prima di lui del Tribunale) all’art. 10 dell’accordo transattivo, sollecitando, innanzi a questo giudice di legittimità, sotto l’egida del vizio e falsa applicazione di legge, in realtà una valutazione alternativa del quadro probatorio acquisito al processo, al fine di sovvertire l’accertamento della quaestio facti compiuto dai giudici di merito, precluso però in sede di legittimità. Questo perché, nel ricorso, RAGIONE_SOCIALE si è limitata a elencare le regole legali di ermeneutica contrattuale asseritamente violate, sol menzionando i canoni che sarebbero stati disattesi, in relazione alla natura del termine dell’art. 10, senza indicare come la loro applicazione in concreto, da parte della Corte d’appello veneta, sia stata fondata su argomentazioni illogiche o insufficienti.
Per cui, le sue censure si risolvono in una sostanziale contrapposizione della sua lettura della clausola negoziale a quella
accolta nella decisione impugnata che, però, come detto, inerendo l’operazione di accertamento della volontà dei contraenti riservata al giudice di merito, le rende inammissibili in questa sede, essendo un simile esame estraneo alla natura e alla finalità del giudizio di legittimità (cfr. Cass. civ., Sez. III, Ord., 11 ottobre 2023, n. 28426; Cass. civ., Sez. VI-2, Ord., 9 marzo 2022, n. 7724).
Nel solco delle suddette indicazioni giurisprudenziali, è da riconoscere quindi che l’interpretazione dell’accordo del 21 febbraio 2013, fornita dalla Corte territoriale, è corretta, non divergendo dai criteri legali di ermeneutica contrattuale, dal momento che, seppur in modo succinto, ma non implausibile, logico e non contraddittorio, ha reso una motivazione rispettosa della soglia del c.d. ‘minimo costituzionale’ (v. Cass. civ., SS. UU., 7 aprile 2014, n. 8053; pronunce conformi, v. Cass. civ. Sez. V, 17 febbraio 2023, n. 5171; Cass. civ., Sez. I, Ord., 3 marzo 2022, n. 7090; Cass. civ., Sez. VI1, Ord., 1° marzo 2022, n. 6758) e valutato la clausola contrattuale de qua in modo favorevole all’appellata (v. pp. 8 -9 sentenza impugnata).
Quanto sopra, esime dall’analisi delle censure di parte ricorrente sul vizio del consenso, dal momento che le ragioni della decisione sono state rese chiaramente dalla Corte territoriale, seppur ancora una volta in modo stringato (cfr. p. 10 sentenza impugnata n. 3085/2021).
Infine, parimenti inammissibili sono le doglianze sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non rispondendo la loro articolazione ai paradigmi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.
Invero, questa Corte regolatrice ha più volte affermato che, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, giudicando quindi in contraddizione con la prescrizione della norma, ‘dichiarando di non doverla osservare, o
contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115′ (cfr. di recente, Cass. civ., Sez. lav., Ord., 21 novembre 2024, n. 30082; Cass. civ., Sez. III, Ord., 20 novembre 2024, n. 29890; Cass. civ., Sez. III, Ord., 18 ottobre 2024, n. 27112; Cass. civ., Sez. III, Ord., 20 settembre 2024, n. 25313; Cass. civ., Sez. I, Ord., 27 dicembre 2022, n. 37839 massimata).
Quanto poi alla dedotta violazione dell’art. 116 c.p.c., è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, il complesso delle risultanze probatorie, ‘non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento’ (v. tra le ultime Cass. n. 30082/2024 cit., Cass. civ., Sez. II, Ord., 19 novembre 2024, n. 29739; Cass. civ., Sez. III, Ord., 12 novembre 2024, n. 29198; Cass. civ., Sez. III, Ord., 5 novembre 2024, n. 28482; ma anche, Cass. civ., Sez. III, Ord., 15 luglio 2022, n. 22398 massimata).
Per tutte le ragioni sin qui esposte, la soluzione interpretativa prescelta dal giudice del gravame si sottrae al sindacato di questa Corte.
5.1. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per difetto del requisito di autosufficienza ex art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.
In linea generale, infatti, come già sopra evidenziato, tra i requisiti di forma per l’ammissibilità del ricorso in cassazione il ricorrente deve indicare espressamente gli atti processuali o i documenti su cui il ricorso si fonda, in modo da ‘specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile (cfr. Cass. civ., Sez. V, Ord., 16 ottobre 2024, n. 26869; Cass. civ., Sez. III, Ord., 23 agosto 2024, n. 23055; Cass. civ., Sez. I, Ord., 13 agosto 2024, n. 22818; Cass. civ., Sez. II, Ord., 5 marzo 2024, n. 5884; Cass. civ., Sez. I, Ord. 10 dicembre 2020, n. 28184 massimata).
Nel motivo in esame, la doglianza sulla dichiarazione di ‘novità’ rispetto all’eccezione di mancata conclusione del contratto di rimessaggio e alla domanda di accertamento dell’inadempimento di MAN all’obbligo di contrattazione, si fonda, in sostanza, su argomentazioni, anzi, domande che sarebbero state formulate negli atti dei due gradi di merito, di cui però la stessa ricorrente omette la riproduzione, sia diretta che indiretta.
Invero, non solo non trascrive le parti dove la relativa domanda sarebbe stata formulata -limitandosi, infatti, o a riportare brevi stralci dell’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo (non trascrivendo neanche integralmente la domanda riconvenzionale) e della memoria istruttoria ex art. 183 c.p.c., o ad asserire di averlo fatto come, ad esempio, per la comparsa conclusionale (v. pp. 2224 ricorso) -ma neppure precisa la corrispondente parte di tali atti né li localizza all’interno del fascicolo d’ufficio.
In conseguenza a tale rilievo, si evidenzia quindi che le censure della ricorrente non possono essere considerate determinanti per poter statuire la prospettata nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c., non risultando pertinente neanche il richiamo a un precedente di questa Corte (sentenza n. 1616/2021), peraltro anch’esso riportato solo come stralcio, a suo dire confermativo del ricorrere di detto vizio nella decisione impugnata ex art. 112 c.p.c.
Se è vero infatti che, in linea generale, l’omessa pronuncia su una domanda e/o eccezione di merito può integrare una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, è altrettanto vero -e lo stesso precedente, letto nel suo complesso motivazionale lo conferma, così come le successive pronunce di questa Corte regolatrice -che si può parlare di omissione su di un capo di domanda, ‘intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto’ (v. la risalente decisione Cass. civ., Sez. I, 13 giugno 1972, n. 1853, ma conforme alla giurisprudenza più recente, v. Cass. civ., Sez. III, Ord., 11 novembre 2024, n. 29076; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 3 ottobre 2024, n. 25970; Cass. civ., Sez. I, Ord., 17 settembre 2024, n. 25013; Cass. civ., Sez. V, Ord., 16 luglio 2024, n. 19636 Cass. civ., Sez. I, Ord., 29 febbraio 2024, n. 5362).
In buona sostanza, un conto sono le domande e le eccezioni, altro sono le argomentazioni a supporto di quanto richiesto o eccepito.
Sul punto, con specifico riferimento all’art. 112 c.p.c., la giurisprudenza di legittimità ha affermato che ‘il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione ( petitum e causa petendi ) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto ( petitum immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso ( petitum mediato) (v. Cass. civ., Sez. III, Ord., 25 luglio 2024, n. 20749; Cass. civ., Sez. V, Ord., 19 giugno 2024, n. 16850; Cass. civ. Sez. V, Ord., 7 giugno 2024, n. 16016; Cass. civ., Sez. II, Ord., 10 maggio 2024, n. 12814).
Su tali basi, osserva il collegio come, nella fattispecie de qua, mancando del tutto la concreta indicazione dei fatti e delle evidenze processuali in grado di condurre questa Corte a conclusioni diverse rispetto a quelle del secondo giudice, lo scrutinio del presente motivo comporterebbe un’indagine di merito non consentita in sede di legittimità (cfr. in termini, Cass. civ., Sez. I, Ord., 5 luglio 2023, n. 18983; Cass. civ., Sez. II, 13 dicembre 2022, n. 36405; Cass. civ., Sez. I, Ord., 27 dicembre 2021, n. 41517).
Pertanto, non avendo COVI fornito elementi sufficienti per dichiarare la nullità della pronuncia impugnata, anche per il mancato rispetto dei requisiti di forma sopra illustrati, il presente motivo non può essere accolto.
5.3. Anche il quarto motivo è inammissibile, in quanto il giudice del gravame, sebbene in modo piuttosto succinto, ha reso una motivazione che consente di ricostruirne il ragionamento seguito, valendo anche per il presente motivo quanto già osservato sul rispetto della soglia del c.d. ‘minimo costituzionale’ (v. Cass. civ., SS. UU., 7 aprile 2014, n. 8053; pronunce conformi, v. Cass. civ. Sez. V, 17 febbraio 2023, n. 5171; Cass. civ., Sez. I, Ord., 3 marzo 2022, n. 7090; Cass. civ., Sez. VI-1, Ord., 1° marzo 2022, n. 6758).
Ed infatti, la Corte territoriale ha ritenuto corretta la decisione del primo giudice -a cui ha fatto espresso richiamo per relationem , sottraendosi quindi al sindacato di legittimità quando resta autosufficiente (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. V, Ord., 11 novembre 2024, n. 29044; Cass. civ., Sez. III, Ord., 29 ottobre 2024, n. 27904; Cass. civ., Sez. V, Ord., 25 ottobre 2024, n. 27718; principio massimato in Cass. civ. Sez. V, Ord., 13 luglio 2020, n. 14877) -di inammissibilità delle prove orali, perché le stesse ‘riguardavano -come giustamente e condivisibilmente argomentato dal giudice di primo grado -circostanze generiche,
implicanti giudizio, documentali o irrilevanti ai fini della decisione’ (v. pp. 10-11 sentenza impugnata n. 3085/2021).
In ogni caso, al di là del tenore della motivazione resa dalla Corte d’appello veneziana, va detto che la ricorrente non ha messo questo collegio nella condizione di verificare la tenuta delle sue doglianze.
In primis , per la mancata riproduzione in ricorso -in spregio al principio di autosufficienza -del loro contenuto e dei provvedimenti di rigetto al riguardo adottati dai giudici, di primo e di secondo grado, limitandosi a indicare, a pagina 26 del ricorso, i capitoli e quella che sarebbe stata, secondo la sua prospettazione, la loro rilevanza e il loro fine.
Una lacunosità questa che preclude a questo collegio, per un verso, il vaglio di decisività del mezzo istruttorio di cui si lamenta l’illegittima mancata acquisizione e, per altro verso, inibisce in radice la praticabilità di ogni sindacato sulla conformità a diritto di provvedimenti dal tenore non illustrato.
In secundis , perché il giudizio di idoneità e rilevanza dei capitoli di prova -anche al di là della loro formulazione letterale -costituisce apprezzamento di merito non suscettibile di sindacato in sede di giudizio di cassazione se correttamente motivato (v. Cass. civ., Sez. lav., Ord., 13 febbraio 2024, n. 3959; Cass. civ., Sez. VI-Lav., Ord., 6 ottobre 2022, n. 29108; Cass. civ., Sez. II, 6 ottobre 2021, n. 27086).
6. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 5.800,00, di cui euro 5.600,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza