Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9044 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9044 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3595/2022 R.G., proposto da
COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dal prof. avv. NOME COGNOME domiciliati ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso,
–
ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al controricorso,
-controricorrente –
per la cassazione della sentenza n. 2942/2021 della CORTE d’APPELLO di Bologna pubblicata il 23.11.2021;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 14.1.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Fideiussione
Con sentenza n. 968/2019, pubblicata il 27 novembre 2019, il Tribunale di Rimini rigettò l’opposizione svolta dai fideiussori NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso il decreto ingiuntivo, con il quale era stato ordinato, in solido con i debitori principali RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, di pagare alla Banca di San Marino s.p.a. euro 51.209,05, oltre interessi, di cui euro 39.160,23 quale saldo passivo al 4 aprile 2014 del finanziamento chirografario n. 4/12/430643566 (successivamente numerato 12/51/0022) concesso a RAGIONE_SOCIALE; euro 7.150,55 quale saldo passivo al 4 aprile 2014 del c/c n° 2/12/10/5518829 ed euro 4.898,27 quale saldo passivo al finanziamento chirografario n° 4/12/43/0643571 (successivamente numerato 12/51/0023) concessi ad RAGIONE_SOCIALE
Il Tribunale osservò che : l ‘opposta aveva prodotto a dimostrazione del proprio credito la copia dei contratti di finanziamento e di apertura di credito, nonché gli estratti conto relativi a tali rapporti; la C.T.U. grafologica svolta in corso di causa aveva consentito di appurare che le firme apposte dagli opponenti sulle fideiussioni erano vere ; l’ eccezione di tardiva produzione degli originali, sollevata dagli opponenti, era infondata, non trattandosi di nuovi documenti rispetto alle copie offerte in comunicazione dalla banca ; l’anatocismo e l’usura dei quali si dolevano gli ingiunti erano stati allegati genericamente senza specifici riferimenti ai rapporti oggetto del giudizio; l ‘eccezione di nullità delle fideiussioni, asseritamente attuative di un accordo anticoncorrenziale, era stata sollevata nella comparsa conclusionale ed era infondata, posto che i garanti non avevano fornito prova del contenuto del modello ABI, peraltro, la nullità delle garanzie sarebbe stata solo parziale e, dunque, irrilevante ai fini del giudizio; la prospettazione della violazione, da parte della banca, delle regole di correttezza e buona fede al momento della concessione del finanziamento era anch’essa aspecifica e priva di riscontri probatori.
La Corte d’Appello di Bologna con sentenza pubblicata il 23.11.2021 rigettò l’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME gravandoli delle spese del grado.
Osservò la Corte d’appello che in primo grado gli opponenti avevano disconosciuto le sottoscrizioni apposte sulle fideiussioni inizialmente prodotte in copia dal creditore, sì che sarebbe stato necessario da parte degli stessi ripetere il disconoscimento delle firme all’udienza del 19.12.2018 di produzione degli originali insieme alle scritture di comparazione, tutte indicate nella memoria a prova diretta. Sennonché, tale disconoscimento non avvenne alla predetta udienza per l’assenza dei difensori degli opponenti e, conseguentemente, gli originali si sarebbero dovuti intendere come riconosciuti. Quand’anche ritenuto superfluo il disconoscimento degli originali, la C.T.U. grafologica, in relazione alla quale non erano state svolte contestazioni sul metodo, né osservazioni al testo, aveva concluso per la loro autenticità, mentre le istanze di prova, della cui mancata ammissione si lamentavano gli appellanti, erano del tutto irrilevanti.
In relazione alla prova dei crediti azionati, la banca, per stessa ammissione degli appellanti, aveva prodotto i contratti e gli estratti conto «integrali» dei rapporti, come in effetti era avvenuto. Aggiunse la corte che i contratti prevedevano l’assoggettamento al diritto sanmarinese e che all’art. 16 si stabiliva che ‘Gli estratti conto, le registrazioni ed le risultanze contabili della Banca faranno sempre piena prova in qualsiasi sede e ad ogni effetto del credito verso il Cliente ‘. Con il che, non essendovi notizia della contestazione delle scritture contabili della banca da parte delle debitrici principali, la prova del credito era stata adeguatamente fornita anche nei confronti dei fideiussori (Cass. 279/2019).
Notò ancora la Corte d’appello che il procedimento di verificazione si era svolto correttamente, sebbene a seguito di un ripensamento dell’istruttore che lo aveva inizialmente escluso, poiché la produzione degli originali non incorreva nel limite delle preclusioni, ben potendo questa effettuarsi anche dopo la scadenza dei termini ex art. 183, comma sesto, cod. proc. civ. come desumibile dalla lettera dell’art. 216 cod. proc. civ.
In relazione all’eccezione nullità per violazione della l. 287/1990, la Corte d’appello rilevò che le fideiussioni erano del 2010, mentre il provvedimento della Banca d’Italia era del 2005 e non era stato allegato, né provato, che l ‘appellata avesse partecipato ad un cartello; in ogni caso si sarebbe trattato di una nullità
parziale e non era provato che le parti non avrebbero concluso le fideiussioni in assenza delle clausole afflitte da nullità.
Le doglianze espresse dagli appellanti riguardo al l’entità del credito (per applicazione della capitalizzazione trimestrale, per mancanza di una clausola atta a permettere l’applicazione della commissione di massimo scoperto e per arbitraria applicazione delle valute) erano del tutto generiche e prive di riferimento ad una posta debitoria, mentre i contratti, assoggettati al diritto sanmarinese, riportavano dettagliatamente le condizioni economiche e la capitalizzazione convenuta era conforme all’art. X.III.7 del regolamento 2007 -07. Del pari del tutto generica era la doglianza per la asserita violazione dei doveri di buona fede e diligenza, per aver la banca aumentato l’esposizione del debitore principale malgrado il mutamento delle sue condizioni patrimoniali.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorrono NOME COGNOME e NOME COGNOME sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso Banca di San Marino s.p.a.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116, 216 e 217 cod. proc. civ., nonché dell’art. 2719 cod. civ.
Lamentano i ricorrenti che, dato il disconoscimento delle sottoscrizioni delle tre fideiussioni, l’opposta in sede di costituzione propose istanza di verificazione, ma differì la produzione degli originali ad epoca successiva al deposito delle memorie ex art. 183, comma sesto, cod. proc. civ., a tanto provvedendo solo in occasione dell’udienza del 19.12.2008 di conferimento dell’incarico al C.T.U.
Erroneamente e contraddittoriamente, avendo disconosciuto le sottoscrizioni e non la conformità delle copie agli originali, la corte ha ritenuto necessario anche il disconoscimento di questo ultimi ‘che non possono assurgere a nuova
produzione documentale, essendovi in atti le copie riprodotte (e già disconosciute)’ come previsto dall’art. 2719 cod. civ.. Da ciò deriva che, non essendo necessario procedere al disconoscimento degli originali, non si sarebbe potuto ricavare alcun riconoscimento alle sottoscrizioni presenti su essi.
1.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ..
I ricorrenti fondano la loro doglianza sulla distinzione tra disconoscimento delle sottoscrizioni delle copie delle fideiussioni prodotte in sede monitoria, effettuato in sede di opposizione ex art. 645 cod. proc. civ., e disconoscimento della conformità delle copie agli originali non esercitato in sede processuale. Di qui, ad avviso dei ricorrenti, la non necessità del nuovo disconoscimento degli originali in sede di udienza per il conferimento dell’incarico al C.T.U.
La Corte d’appello, tuttavia, ha affermato che ‘gli ingiunti avrebbero dovuto ripetere il disconoscimento contro i documenti originali (secondo il principio espresso da Cass. 16551/2016, alla quale si intende dare piena continuità). Tale disconoscimento non è, tuttavia, avvenuto, a causa della già citata assenza dei difensori, con la conseguenza che i tre documenti originali dovevano già in quella sede considerarsi riconosciuti (Cass. 23022/2004)’. Sennonch é, la Corte d’appello ha poi soggiunto che ‘ d ogni buon conto, anche a ritenere superfluo il disconoscimento degli originali, in ragione del disconoscimento contenuto in citazione in opposizione (pagina 5) contro le firme, la ctu grafologica ha concluso per l’autenticità delle sigle’.
I ricorrenti, rimasta del tutto inesplicata la violazione degli artt. 116 e 360, comma primo n. 5, cod. proc. civ., non hanno aggredito tale ratio decidendi enunciata dalla Corte d’appello, di qui l’inammissibilità del motivo svolto, giusta il principio di diritto consolidato affermato da Cass. n. 359 del 2005 (Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una
decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.), ribadito, ex multis , da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017 e da ultimo da Cass. n. 1341 del 2024.
I ricorrenti, pertanto, hanno prospettato la censura in termini non aderenti alla sentenza impugnata, di qui l’inammissibilità del motivo dovendosi senz’altro dare seguito ai consolidati principi di diritto, in base ai quali ‘La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al «decisum» della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366, comma primo, n.4, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio» (v. Cass., sez. 6-I, 7 settembre 2017, n. 20910); ‘La proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.’ (v. , in motivazione, Cass., sez. un., 20 marzo 2017, n. 7074; sez. VII, 7 settembre 2017, n. 20910).
Con il secondo motivo è denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 216 e 217 cod. proc. civ.
I ricorrenti si dolgono per il mancato rilievo della tardiva produzione degli originali delle fideiussioni da sottoporre a verifica grafologica. Originali, questi ultimi, essenziali per lo svolgimento della procedura di verificazione ex art. 216 cod. proc. civ., tanto che l’art. 217 cod. proc. civ. prevede che il giudice disponga le opportune cautela per la custodia del documento, stabilendo il termine per il
deposito delle scritture di comparazione ed ammettendo le prove. Per converso, l’opposta, senza nemmeno formulare istanza di rimessione in termini, ha prodotto tardivamente gli originali e non ha reiterato l’istanza di verificazione. Di qui, l’irritualità della richiesta di verificazione, la nullità del provvedimento di ammissione e di qualunque altro atto ad esso correlato.
2.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. art. 366, comma primo, comma primo, n. 6, cod. proc. civ..
Quando sia denunciato un error in procedendo , come nel caso di specie, poiché i ricorrenti lamentano la nullità della disposta verificazione, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile ‘ex officio’, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di specificità del ricorso ex art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ., tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (v. Cass. 2 febbraio 2017, n. 2771; 4 marzo 2005, n. 4741; 23 gennaio 2004, n. 1170).
Infatti, al fine del rispetto del principio di specificità, è necessario che il ricorso contenga l’indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda il motivo e l’illustrazione del contenuto rilevante, provvedendo alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16 marzo 2012, n. 4220; sez. I, 19 aprile 2022, n. 12481).
I ricorrenti, tuttavia, non hanno specificato se le doglianze svolte in questa sede fossero già state tempestivamente dedotte in primo grado ancora in sede di precisazione delle conclusioni e poi reiterate in sede di appello, del cui contenuto e del tenore dei motivi non vi è traccia nell’odierno ricorso né in sede di svolgimento del processo, né nel corpo del motivo. Per contro, dalla sentenza impugnata emerge solamente che in sede di appello gli odierni ricorrenti con il primo motivo dedussero ‘la violazione dei principi regolanti l’ammissibilità delle
prove da porre a fondamento della decisione’ e ‘l’illegittimità dell’ordinanza pronunciata in data 26.10.2017 ed in data 3.12.2018’.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, comma secondo, l. 287/1990, del provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2.5.2005 e dell’art. 1419, comma primo, cod. civ.
I ricorrenti deducono che le fideiussioni oggetto di causa sono manifestamente affette da nullità in quanto ‘pedissequamente e supinamente uniformate allo schema ABI vietato, con riflessa violazione dell’art. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287/1990, in conformità a quanto accertato dalla Banca d’Italia con il provvedimento del 2 maggio 2005, n. 55’. Domanda, quest’ultima, ammissibile in questa sede data la rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto e afferente, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, all’intero contratto, perché incidente, tra le altre, sulla causa in concreto del contratto in contrasto con i principi di solidarietà di rilevanza costituzionale.
3.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. art. 366, comma primo, comma primo, n. 6, cod. proc. civ.
Il Tribunale di Rimini rigettò l’eccezione di nullità delle fideiussioni, asseritamente attuative di una intesa anticoncorrenziale, perché sollevata nella comparsa conclusionale e, comunque, non era stato prodotto il «modello ABI». Dalla sentenza impugnata si ricava che in sede di appello i ricorrenti dedussero che ‘sarebbe «notorio» che le garanzie venivano prestate su modelli redatti ed unilateralmente imposti dalla banca e la stessa Banca d’Italia avrebbe accertato il carattere uniforme delle clausole sanzionatorie’ .
Nella sentenza dell a Corte d’appello , ancora, in relazione al quinto motivo si legge: ‘ Anche a tacere del fatto che le fideiussioni sono state prestate nel 2010 (mentre l’accertamento compiuto da Banca d’Italia concerneva le garanzie rilasciate su moduli precedenti al 2005) e che non vi è alcuna prova -e prima ancora nessuna allegazione – che la Banca di san Marino abbia fatto parte del cartello bancario vietato …’ .
I ricorrenti quest’oggi lamentano che le fideiussioni oggetto di causa sono manifestamente affette da nullità in quanto ‘pedissequamente e supinamente
uniformate allo schema ABI vietato, con riflessa violazione dell’art. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287/1990, in conformità a quanto accertato dalla Banca d’Italia con il provvedimento del 2 maggio 2005, n. 55′ .
Al fine del rispetto del principio di specificità, è necessario che il ricorso contenga l’indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda il motivo e l’illustrazione del contenuto rilevante, provvedendo alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16 marzo 2012, n. 4220). Infatti, sulla parte ricorrente grava l’obbligo di precisazione anche dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti anche in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 4 marzo 2021, n. 5999; sez. un., 23 settembre 2019, nn. 23552 e 23553; Cass., 18 giugno 2020, n. 11892; 6 novembre 2012, n. 19157; 23 marzo 2010, n. 6937; 12 giugno 2008, n. 15808; 25 maggio 2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. 27 dicembre 2019, n. 34469; 19 aprile 2016, n. 7701), poiché il compito dei giudici della corte è quello di procedere a una ‘verifica degli atti stessi, non già alla loro ricerca’ (v. Cass. 20 luglio 2021, n. 20753; 24 giugno 2020, n. 12498; 20 marzo 2017, n. 7048). I ricorrenti hanno omesso di precisare se e quando siano stati prodotti il «modello ABI » ed il provvedimento sanzionatorio della Banca d’Italia , che quale atto amministrativo deve essere prodotto in giudizio dalla parte che lo invochi a fondamento della sua domanda (v., Cass. 22 maggio 2013, n. 12551; 28 maggio 2014, n. 11904), tanto che solo nel corpo del ricorso (pagina 23) sono state riprodotte le clausole del «modello ABI» asseritamente lesive della concorrenza. 3.2. Il motivo, altresì, è inammissibile ai sensi dell’art. art. 366, comma primo , n. 4, cod. proc. civ.
La nullità può essere rilevata di ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ma solo qualora siano acquisiti agli atti del giudizio tutti gli elementi di fatto dai quali possa desumersene l’esistenza (v. sullo specifico tema del rilievo d’ufficio nell’ambito delle azioni follow up della nullità dei contratti a valle di intese già
sanzionate dall’Autorità Garante della Concorrenza, v. Cass. 10 novembre 2020, n. 25273; 19 febbraio 2020, n. 4175; 13 febbraio 2020, n. 3556). Tale situazione non ricorre nel caso di specie sulla base di quanto appena detto.
I ricorrenti nel dedurre che la domanda di dichiarazione di nullità è rilevabile d’ufficio in sede di appello o cassazione , oltre a non considerare i rilievi appena indicati, non hanno investito per intero la ratio decidendi espressa nella sentenza impugnata, là dove si fa riferimento al fatto che le fideiussioni in contestazione sono successive al provvedimento della Banca d’Italia e non vi era prova che la Banca di San Marino avesse fatto parte del cartello bancario vietato. La mancata impugnazione di tale ragione della decisione rende priva di decisività la censura.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in euro 200 per esborsi ed euro 5.500 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa se dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte