Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25853 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25853 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/09/2024
Oggetto: locazione ad uso commerciale – inammissibilità del ricorso.
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 22702/21 proposto da:
-) RAGIONE_SOCIALE , domiciliata ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difeso dall’avvocato NOME AVV_NOTAIO;
– ricorrente –
contro
-) COGNOME NOME , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli 18 febbraio 2021 n. 79; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’ 11 luglio 2024 dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
Nel 2015 NOME COGNOME concesse in locazione ad RAGIONE_SOCIALE un immobile destinato ad uso commerciale, sito a Casoria (NA).
Nel 2017 il locatore intimò sfratto per morosità, citando la locatrice dinanzi al Tribunale di Napoli Nord.
NOME COGNOME si costituì deducendo che l’immobile concretamente occupato a titolo di locazione era catastalmente diverso da quello indicato nel contratto; che questa diversità era frutto di raggiri perpetrati dal locatore al fine di mascherare una irregolarità edilizia.
Chiese pertanto in via riconvenzionale l’annullamento del contratto per vizio del consenso e la restituzione dei canoni già versati.
Il Tribunale di Napoli Nord con sentenza 2489/19 accolse la domanda di risoluzione e condannò NOME al pagamento di euro 9.500 oltre accessori.
La sentenza fu appellata dalla soccombente.
La Corte d’appello di Napoli con sentenza 18.2.2021 n. 79 rigettò il gravame, ritenendo che:
-) NOME, avendo concretamente goduto dell’immobile ed avendo ivi esercitato la propria attività commerciale, non poteva dolersi dell’irregolarità amministrativa dello stesso;
-) l’errore nella indicazione dei dati catastali dell’immobile ‘ non aveva minimamente inciso’ sulla formazione della volontà negoziale di ambo le parti;
-) era onere della conduttrice accertarsi della regolarità urbanistica ed edilizia dell’immobile;
-) l’appellante non aveva validamente reiterato in appello le proprie richieste istruttorie.
La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da RAGIONE_SOCIALE con ricorso fondato su due motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Con atto del 13.1.2024 è stata proposta ex art. 380 bis c.p.c. la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con la seguente motivazione: il primo motivo è inammissibile sotto vari profili:
non vengono affrontate né sottoposte a specifica critica le ragioni poste a fondamento della sentenza d’appello, risolvendosi il ricorso nella generica doglianza di mancato esame degli elementi fattuali prospettati in primo grado e dei documenti che li rappresentavano, tendendo in ultima analisi il motivo a sollecitare una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito non consentita in questa sede (v. Cass. Sez. U. n. 34476 del 27/12/2019); in tale prospettiva, comunque, la denuncia di omesso esame ex art. 360 n. 5 c.p.c. va incontro al preliminare rilievo di inammissibilità per la preclusione
che deriva -ai sensi dell’art. 348 -ter, ultimo comma, cod. proc. civ. -dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo il ricorrente assolto l’onere in tal caso su di esso gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 22/12/2016, n. 26774; 06/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320), ma avendo anzi chiaramente e ripetutamente confermato che si trattava delle stesse valutazioni;
la violazione dell’art. 115 c.p.c. è dedotta del tutto al di fuori dei criteri di deduzione indicati dalla giurisprudenza di questa Corte (v. ex multis, Cass. n. 11892 del 2016; Cass. Sez. U. n. 16598 del 2016, in motivazione; Cass. Sez. U. n. 20867 del 2020), sollecitandosi, invece, come già sopra rilevato, una mera rivalutazione della quaestio facti;
priva di conferente illustrazione rimane la contestuale denuncia, in rubrica, della violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.;
il vizio di motivazione mancante o apparente è inammissibilmente dedotto con riferimento ad elementi esterni alla motivazione della sentenza impugnata, la quale peraltro evidentemente rispetta il c.c. ‘minimo costituzionale’ necessario perché possa dirsi a ssolto il dovere decisorio (v. Cass. Sez. U. nn. 8053 -8054 del 2014);
il secondo motivo è parimenti inammissibile: si afferma che il regolamento delle spese deve rispettare il ‘generale principio della soccombenza, riferite all’esito definitivo della lite’, ma non si dice come e perché tale principio sia stato nella specie disatteso, il che deve comunque negarsi essendo risultato il ricorrente pienamente soccombente’ .
La ricorrente ha chiesto che il ricorso sia deciso ed in vista della trattazione ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso contiene una poco limpida censura che, dopo plurime letture, secondo l’unica interpretazione che il Collegio ritiene plausibile, deve così sintetizzarsi:
-) NOME COGNOME concesse in locazione all’odierna ricorrente un immobile che era stato abusivamente modificato;
-) tale circostanza era stata taciuta;
-) la ricorrente, dopo avere realizzato vari lavori all’interno dell’immobile ed ivi avviato un’attività commerciale di ristorazione, nel 2017 si vide notificare dal Comune di Casoria un ordine di demolizione;
-) sia il Tribunale, sia la Corte d’appello, avevano ‘omesso di considerare’ i documenti da cui emergevano le suddette circostanze, violando per questa ragione gli artt. 112, 115 c.p.c., e pronunciando di conseguenza una sentenza nulla.
1.1. Il motivo è manifestamente inammissibile. Lo è per le ragioni indicate nella proposta, che nella memoria depositata dalla ricorrente non vengono considerate.
Ad esse si può aggiungere comunque che il ricorso non sfiora nemmeno la ratio decidendi posta a fondamento della sentenza impugnata.
La Corte d’appello ha basato la sua decisione su due considerazioni:
in iure , ha ritenuto che l’inidoneità amministrativa dell’immobile all’esercizio dell’attività commerciale desiderata dal conduttore non costituisce inadempimento del locatore;
in facto, ha ritenuto che comunque la locatrice sapeva, o avrebbe potuto sapere con l’ordinaria diligenza, dell’irregolarità. Queste due rationes decidendi non sono censurate nel ricorso.
Il secondo motivo -ferm a l’esattezza dell’apprezzamento svolto dalla proposta, anche in questo caso nemmeno discusso nella memoria – non costituisce nemmeno una censura in senso proprio, ma solo una richiesta di addossare al controricorrente le spese della auspicata soccombenza.
Le considerazioni svolte evidenziano che la proposta di definizione anticipata del giudizio era condivisibile. Nella memoria si sollecita un rinvio a nuovo ruolo, richiesta non esaminabile data l’inammissibilità del ricorso.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo. Poiché la definizione del giudizio avviene in modo conforme alla proposta di ai sensi dei dell’art.
definizione accelerata, la ricorrente va altresì condannata 96, commi terzo e quarto, c.p.c., nella misura indicata nel dispositivo.
P.q.m.
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) condanna NOME COGNOME alla rifusione in favore di NOME COGNOME delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 1.500, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) condanna NOME COGNOME al pagamento in favore di NOME COGNOME della somma di euro 1.000, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.;
(-) condanna NOME COGNOME al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro 500 ex art. 96, comma quarto, c.p.c.;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della