Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4979 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4979 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 1059/2022 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domicilia in Forio (NA), al INDIRIZZO, e con il medesimo difensore ope legis domiciliati presso la Cancelleria della Corte di cassazione.
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME NOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME, e dell’AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia in Ischia (NA), alla INDIRIZZO.
–
contro
ricorrente – avverso la sentenza, n. cron. 3797/2021, della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI, pubblicata il giorno 18/10/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 20/02/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Con atto ritualmente notificato il 23 febbraio 2009, NOME COGNOME citò NOME COGNOME, titolare della ditta individuale denominata ‘ RAGIONE_SOCIALE, esercente l’attività di rivendita di libri, giornali, gadget ed oggettistica nel Comune di Forio d’Ischia, innanzi al Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Ischia, chiedendo accertarsi il rapporto di associazione in partecipazione tra essi intercorso, ai sensi degli artt. 2549 e ss. cod. civ., dall’1 gennaio 1 998 al 15 settembre 2000 e condannarsi la COGNOME al pagamento di € 50.000,00, o della diversa somma, maggiore o minore, dovutagli quale quota di partecipazione, nonché di € 100.000,00, o del differente importo, maggiore o minore, spettantegli, tenuto conto dei notevoli apporti economici da lui conferiti nell’azienda ‘ RAGIONE_SOCIALE, oltre al risarcimento dei danni subiti per la illegittima cessazione unilaterale nel rapporto suddetto. In via gradata, per l’ipotesi in cui non fossero state accolte tali richieste, domandò la condanna della controparte al pagamento di un indennizzo per la diminuzione patrimoniale da lui subita collegata all’ingiustificato arricchimento ottenuto dalla convenuta.
1.1. Costituitasi quest’ultima, che contestò le avverse pretese, eccependone la intervenuta prescrizione e concludendo, comunque, per il loro rigetto, l’adito tribunale, espletata l’istruttoria, con sentenza del 30 ottobre 2015, pronunciata ai sensi dell’a rt. 281sexies cod. proc. civ., accertò l’esistenza del rapporto di associazione in partecipazione come invocato dall’attore e condannò la COGNOME al pagamento in suo favore, della complessiva somma di € 20.375,60, oltre interessi legali dalla domanda giudiz iale al saldo.
Pronunciando sui gravami, principale ed incidentale, promossi contro quella decisione, rispettivamente, dalla COGNOME e dal COGNOME, l’adita Corte di appello di Napoli, con sentenza del 18 ottobre 2021, n. 3797, così decise: « 1) Accoglie l’appello principale e, per l’effetto, in riforma della gravata sentenza, rigetta la domanda proposta da COGNOME NOME nei confronti di
COGNOME NOME, con citazione del 23.2.2009, innanzi al Tribunale di Napoli Sezione Distaccata di Ischia; 2) Rigetta l’appello incidentale; 3) Dichiara interamente compensate tra le parti le spese e competenze relative ad entrambi i gradi di giudizio, ivi comprese quelle di c.t.u. ».
2.1. Per quanto di residuo interesse in questa sede, quella corte ritenne che: i ) nessun elemento probatorio favorevole al COGNOME potesse trarsi dalle dichiarazioni rese dalla COGNOME in un precedente giudizio tra le stesse parti svolto innanzi al Tribunale di Napoli, in funzione di Giudice del Lavoro, -in sede di giuramento decisorio -« posto che la stessa, anziché affermare alcunché in relazione all’esistenza di un rapporto di associazione in partecipazione con il COGNOME, si è solo limitata da esclud ere l’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente tra le parti, essendo quest’ultimo solo tenuto a ‘…ad assicurare il corretto funzionamento dell’edicola’ (v. verbale del 31.10.2003). Allo stesso modo, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, non assumono valore di prova, quanto all’esistenza del rapporto di associazione in partecipazione, le dichiarazioni rese dai testi ascoltati su istanza di COGNOME NOMENOME Sigg.ri COGNOME NOME NOME COGNOME NOMENOME . In buona sostanza, né dalle dich iarazioni rese in sede di giuramento decisorio, né dalle dichiarazioni rese dai testi di parte attrice in corso di istruttoria, può ritenersi dimostrata l’esistenza del dedotto rapporto di associazione in partecipazione »; ii ) le dichiarazioni rese dal difensore della COGNOME innanzi al Giudice del Lavoro, con particolare riguardo a quelle contenute nella comparsa di costituzione e risposta, « non assumono valore confessorio, non essendo stato tale atto sottoscritto dalla predetta, odierna appellata, costituendo ‘ meri elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento ‘. Dal punto di vista sostanziale, poi, tali dichiarazioni risultano effettivamente rese per finalità difensive, allo scopo di escludere l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato. Ed invero, premesso che sul punto non è stato dato alcun elemento di riscontro di carattere documentale, non può non rilevarsi che la COGNOME non ha in alcun modo precisato, nel giudizio precedentemente definito tra le stesse parti, quali fossero stati gli accordi realmente intercorsi tra le
parti, con specifico riguardo alla natura dell’apporto che avrebbe dovuto rendere il COGNOME, nonché alla tipologia di partecipazione all’attività dell’impresa, con riferimento agli utili ed alle perdite della stessa. Si tratta di elementi di primaria importanza ai fini della corretta qualificazione del rapporto, tanto che la Suprema Corte (v. Cass. Civ., Sez. Lav., Ord. n. 25221 del 10/11/2020) ne trae concreti elementi interpretativi ai fini della riconducibilità del rapporto di lavoro al contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato ovvero al contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili. Orbene, ritiene questo giudicante i predetti elementi di carattere indiziario non possano, da soli, giustificare un eventuale accertamento in ordine all’esistenza di un rapporto di associazione in partecipazione del quale non risulta data alcuna più concreta dimostrazione, soprattutto quanto alle concrete pattuizioni poste alla base dello stesso, come correttamente dedotto da parte appellante; ciò soprattutto a fronte di una prova testimoniale assunta in primo grado su istanza di parte convenuta, odierna appellante, che, attraverso le dichiarazioni rese da COGNOME NOME e COGNOME NOME, fornisce una ben diversa ricostruzione dei reali rapporti intercorsi tra le parti »; iii ) l’invocato rapporto di associazione in partecipazione nemmeno poteva considerarsi accertato sulla base del contenuto della sentenza del Giudice del Lavoro, con riguardo alla spiegata riconvenzionale in tale sede spiegata dalla COGNOME, « posto che sulla stessa non è in realtà intervenuta alcuna pronuncia, ad eccezione del rigetto della richiesta risarcitoria dalla stessa avanzata. In buona sostanza, ritiene la Corte che il primo giudice abbia erroneamente valutato le risultanze istruttorie e che, in realtà, non risulta minimamente chiaro, nel presente giudizio, quale sia stata la reale natura del rapporto intercorso tra le parti, con riguardo alla menzio nata gestione d’impresa; tale incertezza, dunque, non può che ricadere a carico di COGNOME NOME, che ha assunto la veste di attore ».
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, affidandosi ad un motivo, cui ha resistito, con controricorso, illustrato anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ., NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. L’unico formulato motivo di ricorso è così rubricato: « Violazione e/o omessa applicazione art. 2549 c.c. -per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.; per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. -error in iudicando -omessa analisi delle prove testimoniali raccolte -vizio di motivazione ». Sostiene la difesa del COGNOME ( cfr . pag. 6 e ss. del ricorso), tra l’al tro: i ) di non poter « non evidenziare il vizio motivazionale che sostiene il provvedimento oggetto della odierna impugnazione. . In buona sostanza, ritiene la Corte che il primo giudice abbia erroneamente valutato le risultanze istruttorie e che, in realtà, non risulta minimamente chiaro, nel presente giudizio, quale sia stata la reale natura del rapporto intercorso tra le parti, con riguardo alla menzionata gestione d’impresa. Tale interpretazione delle prove raccolte nel giudizio di prime cure è figlia di una superficiale valutazione delle prove libere e delle presunzioni semplici, che ha portato ad una incompleta ricostruzione di un fatto storico complesso e decisivo per l’odierna controversia »; ii ) che, «fin dalla sua costituzione in primo grado, il ricorrente ha documentato in maniera certosina e circostanziata la sussistenza, nella fattispecie, di contratto di associazione tra la sig.ra COGNOME NOME, quale detentrice della ditta individuale che ha preso in fitto l’azienda, che aveva intestate le lice nze commerciali e quant’altro necessario per condurre l’attività, ed il sig. COGNOME NOMENOME accordatosi con ella per occuparsi di ogni incombenza relativa al concreto esercizio dell’attività, al rapporto con i fornitori, alle operazioni bancarie in entrate ed in uscita; . Orbene tale prospettazione del rapporto contrattuale sancito dalle parti era stato già avanzato e confermato dalla stessa convenuta che espletò le proprie difese nel giudizio di lavoro citato che fu intrapreso dal COGNOME nella immediatezza del suo forzoso allontanamento dall’azienda. Codesta difesa, infatti , depositò agli atti del giudizio nei termini di cui all’art. 183 c.p.c., 2° termine, copia degli atti relativi al giudizio di lavoro de quo. ; il giudizio si concluse con il rigetto della domanda tendente al riconoscimento della esistenza di rapporto di lavoro
subordinato tra le parti e con l’esplicito riconoscimento della esistenza del contratto di associazione in partecipazione che tra l’altro, come detto, fu chiaramente indicato quale natura dei rapporti obbligatori tra le parti negli stessi atti difensivi della convenuta, ai quali ella si rimise integralmente al momento dell’espletamento del giuramento decisorio. Ecco , dunque, la prova documentale certa dell’esistenza del rapporto di associazione in partecipazione tra le parti, che avrebbe addirittura reso inutile il raccoglimento della prova testimoniale. , riteneva il Giudicante di prime cure, ben motivando la sua decisione, pienamente raggiunta la prova attorea circa la sussistenza di un’associazione in partecipazione tra il RAGIONE_SOCIALE e la COGNOME, titolar e dell’edicola, come da comparsa di costituzione e risposta con domanda riconvenzionale, pagg. 6 e 7 qui allegata e depositata in altro giudizio; come da verbale di udienza di giuramento decisorio del 31.10.2003 e come da Sentenza n. 3281/2004, oltre alla prova testimoniale attorea che nel processo di primo grado aveva confermato detto assunto comunque già pacifico per tabulas»; iii ) che, « ribaltando detto iter argomentativo, la Corte di Appello, in assenza di una congrua ed esauriente motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione, ritiene, invece, che le dichiarazioni rese dal difensore della COGNOME innanzi al Giudice del Lavoro, con particolare riguardo a quelle contenute nella comparsa di costituzione e risposta, non assumono valore confessorio, non essendo stato tale atto sottoscritto dalla predetta COGNOME, odierna appellata, costituendo ‘meri elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento’. , è chiaro che la Corte di Appello ha però ome sso di valutare attentamente anche gli altri elementi che concorrono a formare prova piena delle pretese dell’originario attore. Ed infatti, il Giudice di Appello ritiene non raggiunta la prova sull’esistenza sul contratto di associazione in partecipazione , anche alla luce della prova testimoniale assunta in primo grado su istanza di parte convenuta, odierna resistente, che, attraverso le dichiarazioni rese da COGNOME NOME e COGNOME NOME, secondo la sua interpretazione, fornisce una ben diversa ricostruzione dei reali rapporti intercorsi tra le parti. Ed è proprio qui che la decisione della Corte di Appello
è senza alcun dubbio carente ed insufficiente dal punto vista della motivazione ! Infatti, esiste una carenza di motivazione in quanto non è comprensibile l’ iter argomentativo che è stato seguito e che ha portato ad un totale ribaltamento della sentenza di primo grado »; iv ) che, alla luce delle dichiarazioni dei testi NOME COGNOME e NOME COGNOME, « appare evidente che la sentenza di appello appare contradditoria e carente sotto il profilo motivazionale »; v ) « I documenti non esaminati correttamente, o non proprio esaminati (prove testimoniali e documenti depositati in atti), dovevano necessariamente portare ad un diverso convincimento del giudice di merito sull’esistenza dell’associazione in partecipazione. . Una volta inquadrata l’esistenza del rapporto di associazione in parte cipazione, la Corte doveva applicare i principi di cui all’art. 2549 c.c. »; vi ) che, per tutte tali ragioni, la corte distrettuale « avrebbe dovuto confermare la sentenza di primo grado riconoscendo al sig. COGNOME NOME a ricevere dalla sig.ra COGNOME NOME la complessiva somma di € 20.375,60, per il periodo dal 1998 all’anno 2000; inoltre avrebbe dovuto analizzare anche l’appello incidentale proposto dal ricorrente », invece respinto per effetto dell’accoglimento del gravame principale della COGNOME.
Tale doglianza deve essere dichiarata inammissibile per una pluralità di concorrenti ragioni.
2.1. Innanzitutto, perché prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando ), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per Cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure ( cfr., ex plurimis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 35782, 30878, 27505 e 4528 del 2023; Cass. nn. 35832 e 6866 del 2022; Cass. n. 33348 del 2018; Cass. nn. 19761, 19040, 13336 e 6690 del 2016; Cass. n. 5964 del 2015; Cass. nn. 26018 e 22404 del 2014). In altri termini, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360, comma 1, nn. 3 e 5, cod. proc.
civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione ( cfr. Cass. nn. 35782, 30878 e 27505 del 2023; Cass. nn. 11222 e 2954 del 2018; Cass. nn. 27458, 23265, 16657, 15651, 8335, 8333, 4934 e 3554 del 2017; Cass. nn. 21016 e 19133 del 2016; Cass. n. 3248 del 2012; Cass. n. 19443 del 2011).
2.1.1. È sicuramente vero, peraltro, che, « In tema di ricorso per cassazione, l’inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c., può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati » ( cfr ., in termini, Cass. n. 39169 del 2021. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche Cass., SU, n. 9100 del 2015; Cass. n. 7009 del 2017; Cass. n. 26790 del 2018). Tanto, però, non si rinviene nel motivo di ricorso in esame, il quale, per come concretamente argomentato, non consente di individuare, con chiarezza, le doglianze riconducibili agli invocati vizi, rispettivamente, ex art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., in modo tale da consentirne un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare quella teoricamente proponibili, al fine di ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse. Né a tanto potrebbe porre rimedio, eventualmente, il contenuto di una memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ., esclusivamente destinata ad illustrare le cesure già proposte, senza poterne introdurre di nuove ( cfr., ex multis , Cass. n. 17893 del 2020; Cass. n. 24007 del 2017; Cass. n. 26332 del 2016; Cass., SU, n. 11097 del 2006), ed alla quale,
pertanto, certamente non potrebbe attribuirsi pure la funzione di eliminare cause di inammissibilità dei formulati motivi di ricorso.
2.2. Laddove, poi, la censura richiama, ripetutamente, documenti prodotti in primo grado e concernenti gli atti relativi al giudizio svoltosi tra le stesse parti oggi in causa innanzi al Tribunale di Napoli, in funzione di Giudice del Lavoro, ciò avrebbe imposto al ricorrente, in virtù del principio di autosufficienza, il duplice onere, invece rimasto inadempiuto: i ) di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa dei documenti suddetti nel ricorso per cassazione al fine di consentirne il vaglio di decisività ( cfr ., in motivazione, Cass. n. 13625 del 2019, con rinvio a Cass. n. 18506 del 2006); ii ) di indicare in quale specifica sede processuale tanto era stato prodotto (cfr. Cass. n. 28184 del 2020, a tenore della quale, « In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza, che impone l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, va inteso nel senso che occorre specificare anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicché la mancata “localizzazione” del documento basta per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, senza necessità di soffermarsi sull’osservanza del principio di autosufficienza dal versante “contenutistico” »).
2.3. È opportuno rimarcare, inoltre, che il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. (nella specie dedotto dal COGNOME) può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente perché, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro, ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua, pur corretta, interpretazione. Cfr . Cass. nn. 35782, 28385, 26789, 16541, 13787, 9014, 2413 e 1015 del 2023; Cass. nn. 5490, 3246 e 596 del 2022; Cass. nn.
40495, 28462, 25343; 4226 e 395 del 2021; Cass. nn. 27909 e 4343 del 2020; Cass. n. 27686 del 2018). Questa Corte, ancora recentemente ( cfr ., pure nelle rispettive motivazioni, oltre alle pronunce appena citate, Cass. nn. 35041, 33961 e 13408 del 2022), ha chiarito, tra l’altro, che: i ) non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; ii ) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ( cfr . Cass. n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); iii ) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito ( cfr . Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).
2.3.1. Sulla base di tutti tali principi, ormai consolidati, il motivo in esame, laddove intenda denunciare una violazione e/o falsa applicazione di legge, si rivela inammissibile.
2.3.2. Invero, il COGNOME insiste oggi nel sostenere l’essere stata dimostrata, da parte sua, l’esistenza dell’invocato rapporto di associazione in partecipazione asseritamente intercorso con la COGNOME, mostrando, così, di mirare ad ottenere, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione, sul punto, di quanto sancito, in contrario, dal giudice di merito, totalmente dimenticando, però, che: i ) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e
soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione ( cfr . Cass. nn. 35782, 27522, 16541, 13787, 11299 e 7993 del 2023; Cass. n. 35041 del 2022); ii ) il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge ( cfr., ex multis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 35782, 27522, 11299 e 7993 del 2023; Cass. n. 35041 del 2022; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 27686 del 2018; Cass., SU, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014). Né potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023).
2.4. Giova ricordare, infine, quanto al (pure) denunciato vizio motivazionale, che la nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., come introdotta dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis ,
risultando impugnata una sentenza pubblicata il 18 ottobre 2021), ha ormai ridotto al ‘ minimo costituzionale ‘ il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché si è chiarito ( cfr . tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 35947, 28390, 26704 e 956 del 2023; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. nn. 26199 e 395 del 2021; Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella ” mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico “, nella ” motivazione apparente “, nel ” contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ” e nella ” motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile “, -tutte fattispecie assolutamente inconfigurabili nella motivazione della sentenza della corte partenopea impugnata in questa sede -esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ” sufficienza ” della motivazione ( cfr . Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti; Cass. nn. 20042 e 23620 del 2020; Cass. nn. 395 del 2021, 1522 e 26199 del 2021; Cass. nn. 27501 e 33961 del 2022; Cass. n. 28390 del 2023) o di sua ‘ contraddittorietà ‘ ( cfr . Cass. nn. 7090 e 33961 del 2022; Cass. n. 28390 del 2023). Cass., SU, n. 32000 del 2022, ha puntualizzato, altresì, che, a seguito della riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’unica contraddittorietà della motivazione che può rendere nulla una sentenza è quella ‘ insanabile ‘ e l’unica insufficienza scrittoria che può condurre allo stesso esito è quella ‘ insuperabile ‘.
2.4.1. Il menzionato art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riguarda, dunque, un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo ( cfr., ex aliis , anche
nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 28390, 27505, 4528 e 2413 del 2023; Cass. n. 31999 del 2022; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022; Cass. nn. 4477 e 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015).
2.5. Resta solo da aggiungere, infine, che: i ) la congruità della motivazione adottata dal giudice di appello deve essere verificata con esclusivo riguardo alle questioni sottoposte al suo esame, e dallo stesso risolte per decidere la controversia, risultando ad essa del tutto estranea la decisione eventualmente diversa del giudice di primo grado, la quale è destinata a rimanere interamente travolta ed assorbita da quella emessa, in sua sostituzione, dal giudice del gravame, che, dunque, può limitarsi ad una valutazione diretta del materiale probatorio messo a disposizione dalle parti, nell’ambito delle questioni sollevate con i motivi di impugnazione, senza essere tenuto ad una puntuale confutazione dei singoli punti della decisione impugnata ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 35782 e 28390 del 2023; Cass. nn. 4226 e 395 del 2021; Cass. n. 15038 del 2018; Cass., n. 28487 del 2005; Cass. n. 9670 del 2003; Cass. n. 2078 del 1998); ii ) Cass., SU, n. 8053 del 2014, interpretando il novellato art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., ha chiarito che la parte ricorrente dovrà indicare -nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti. Onere, nella specie, non assolto nel suo complesso dal COGNOME; iii ) l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la decisione non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie con la conseguenza che, in sede di legittimità, non è data la possibilità di censurare che la prova di un dato fatto sia stata tratta o negata dall’apprezza mento o dalla obliterazione
di un determinato elemento istruttorio, atteso che una tale critica ha ad oggetto non già un fatto storico, ma la stessa attività di valutazione del corredo probatorio, che solo al giudice di merito compete ( cfr. , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 35782 e 28390 del 2023; Cass. n. 10599 del 2021); iv ) « Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un fatto controverso e decisivo della lite e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza, e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa » ( cfr . Cass. n. 35782 del 2023; Cass. n. 31999 del 2022).
2.5.1. In definitiva, il vizio di motivazione, ancor più in rapporto al novellato testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, atteso che, come ancora recentemente ricordato, in motivazione, da Cass. n. 2607 del 2024, « i) spetta solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova; mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti; ii) giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, per la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non è indispensabile che la motivazione prenda in esame tutte le argomentazioni svolte dalle parti al fine di condividerle o confutarle, essendo
necessario e sufficiente, invece, che il giudice abbia comunque indicato le ragioni del proprio convincimento in modo tale da rendere evidente che tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse siano state implicitamente rigettate (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 6073 del 2023; Cass. n. 4784 del 2023; Cass. n. 956 del 2023; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 29860 del 2022; Cass. n. 3126 del 2021; Cass. n. 25509 del 2014; Cass. n. 5586 del 2011; Cass. n. 17145 del 2006; Cass. n. 12121 del 2004; Cass. n. 1374 del 2002; Cass. n. 13359 del 1999) ».
3. In conclusione, dunque, l’odierno ricorso promosso da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute da NOME COGNOME, altresì dandosi atto, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME e lo condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute da NOME COGNOME, liquidate in complessivi € 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, p ari a quello
previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile