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Inammissibilità ricorso cassazione: il caso assemblaggio

Una controversia nata da un contratto di affiliazione commerciale giunge in Cassazione. La Corte Suprema dichiara l’inammissibilità del ricorso cassazione perché redatto con la tecnica dell'”assemblaggio”, ovvero tramite la copia integrale di atti precedenti invece di una sintesi dei fatti. Tale modalità viola l’art. 366 c.p.c., che impone un’esposizione sommaria. La parte ricorrente è stata anche condannata per abuso del diritto processuale.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Inammissibilità Ricorso Cassazione: La Tecnica dell’Assemblaggio Costa Caro

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale per gli avvocati: la redazione del ricorso deve essere chiara, sintetica e non un semplice collage di atti precedenti. L’ordinanza in esame dichiara l’inammissibilità del ricorso cassazione proprio a causa della cosiddetta tecnica dell'”assemblaggio”, sanzionando pesantemente il ricorrente. Questo caso offre uno spunto essenziale sulla corretta redazione degli atti e sulle gravi conseguenze di un approccio non conforme alla legge.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da una controversia legata a un contratto di affiliazione commerciale. Una società affiliata aveva citato in giudizio la società affiliante per questioni relative al rinnovo contrattuale e al recesso, chiedendo un cospicuo risarcimento danni. L’affiliante, a sua volta, aveva risposto con una domanda riconvenzionale per inadempimento della controparte.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto parzialmente le domande di entrambe le parti. Successivamente, la Corte d’Appello aveva riformato la decisione, liquidando un risarcimento a favore dell’affiliata per la violazione dell’esclusiva e per danno all’immagine commerciale. Contro questa sentenza, l’affiliata proponeva ricorso per Cassazione.

La Tecnica dell’Assemblaggio e l’Inammissibilità del Ricorso in Cassazione

Il punto cruciale della decisione della Suprema Corte non riguarda il merito della disputa commerciale, ma un vizio di forma del ricorso. I giudici hanno rilevato che l’atto, lungo oltre 100 pagine, era stato redatto utilizzando la tecnica dell'”assemblaggio”. Gran parte del ricorso (ben 77 pagine) consisteva nella trascrizione integrale di atti dei precedenti gradi di giudizio, come la sentenza di primo grado, l’atto d’appello e le consulenze tecniche.

Questa modalità di redazione si scontra direttamente con il requisito previsto dall’articolo 366, comma 1, n. 3 del codice di procedura civile. La norma impone “l’esposizione sommaria dei fatti della causa”, un requisito presidiato a pena di inammissibilità del ricorso cassazione. L’obiettivo è permettere alla Corte di avere un quadro chiaro e sintetico della vicenda, senza dover ricostruire i fatti spulciando tra decine di pagine di trascrizioni.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale, incluse le sentenze delle Sezioni Unite, che condanna fermamente la pratica dell’assemblaggio. I giudici hanno spiegato che tale tecnica è, da un lato, superflua, perché non è richiesto un resoconto meticoloso di ogni singolo passaggio processuale, e, dall’altro, inidonea, perché costringe la Corte a un’attività di selezione dei fatti rilevanti che spetterebbe invece al difensore.

Affidare al giudice il compito di estrapolare le informazioni essenziali da un ammasso di trascrizioni equivale a non adempiere al proprio onere espositivo. La natura sommaria dell’esposizione, richiesta dalla legge, è incompatibile con la riproduzione pedissequa degli atti. Di conseguenza, il mancato rispetto di questa regola conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità.

Le Conclusioni

L’esito è stato drastico. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, assorbendo ogni altro motivo di doglianza. Ma le conseguenze per la società ricorrente non si sono fermate qui. Oltre alla condanna al pagamento delle spese legali, liquidate in 10.000 euro, i giudici hanno ravvisato nella condotta processuale un vero e proprio abuso del diritto. La presentazione di un ricorso inammissibile secondo principi giurisprudenziali ormai consolidati è stata considerata una violazione dei doveri di lealtà processuale.

Per questo motivo, la ricorrente è stata condannata, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., a versare alla controparte un’ulteriore somma di 8.000 euro a titolo di risarcimento. La decisione rappresenta un monito severo: la chiarezza e la sintesi non sono solo virtù stilistiche, ma requisiti procedurali la cui violazione può comportare conseguenze economiche significative, oltre all’impossibilità di far valere le proprie ragioni nel merito.

Perché il ricorso per cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché redatto con la tecnica dell'”assemblaggio”, ovvero tramite la trascrizione integrale di numerosi atti processuali precedenti, violando il requisito dell'”esposizione sommaria dei fatti della causa” previsto dall’art. 366, n. 3, c.p.c.

Cosa si intende per tecnica dell'”assemblaggio” in un atto giudiziario?
È la pratica di costruire un ricorso copiando e incollando intere sezioni o la totalità di atti precedenti (come sentenze, atti di appello, perizie) invece di fornire un riassunto chiaro e conciso dei fatti rilevanti per il giudizio di legittimità. Questo metodo è considerato contrario al principio di sinteticità degli atti.

Quali sono state le conseguenze economiche per la parte ricorrente?
Oltre alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, la parte ricorrente è stata condannata a rifondere le spese legali alla controparte per 10.200 euro e, in aggiunta, a pagare un’ulteriore somma di 8.000 euro per abuso del diritto processuale, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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