Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4880 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4880 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19020/2022 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del procuratore speciale NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME dal prof. avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO per procura su foglio separato allegato al ricorso pec EMAIL
-ricorrente –
contro
REGIONE ABRUZZO , in persona del Presidente p.t. della Giunta regionale, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO, pec EMAIL
-controricorrente
–
per la cassazione della sentenza n. 609/2022 della CORTE d’APPELLO di L’AQUILA pubblicata il 26.4.2022;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 6.11.2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Garanzia autonoma -Nullità dell’obbligazione principale -Effetti sulla garanzia
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pubblicata in data 7.11.2017 il Tribunale di L’Aquila rigettò l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE (successivamente incorporata da RAGIONE_SOCIALE, a sua volta incorporata da RAGIONE_SOCIALE, d’ora innanzi indicata come RAGIONE_SOCIALE) al decreto ingiuntivo emesso in favore della Regione Abruzzo per il pagamento della somma di euro 650.735,69, oltre interessi legali e spese, quale importo garantito da tre polizze fideiussorie rilasciate da RAGIONE_SOCIALE a garanzia degli obblighi assunti da RAGIONE_SOCIALE, ammessa al programma operativo plurifondo con concessione di contributi pubblici erogati ai sensi della L.R.10/93 per la costruzione di un albergo nel Comune di San Valentino in Abruzzo Citeriore, condannando l’opponente alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla controparte.
La Corte d’Appello di l’Aquila con sentenza pubblicata il 26.4.2022 in parziale accoglimento dell’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE riliquidò le spese del giudizio di primo grado in euro 25.549,27, confermando per il resto la sentenza del primo grado.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso la Regione Abruzzo.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1939 e 2697 cod. civ.
Lamenta la ricorrente che con il primo motivo d’appello aveva invocato la violazione dell’art. 1939 cod. civ., poiché il decreto ministeriale di annullamento del nulla osta regionale di approvazione del progetto era stato emanato l’8.5.1993 prima della de libera regionale di ammissione al finanziamento pubblico e del rilascio delle fideiussioni. Da ciò derivava che già al momento dell’ammissione dell’impresa al finanziamento l’obbligazione di realizzazione
della struttura era nulla per impossibilità giuridica dell’oggetto, pertanto, erano invalide anche le polizze fideiussorie successivamente rilasciate.
Con il secondo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 cod. civ.
La ricorrente ha dedotto che in sede di appello aveva prospettato in via subordinata che, per essere quella gravante sul garante un’obbligazione indennitaria, il Tribunale non aveva considerato che delle conseguenze del danno si sarebbe dovuta fare carico la Regione ex art. 1227 cod. civ. stante la diretta imputabilità ad essa, posto che: a) con delibera del 5.11.1993, successiva all’annullamento del nulla osta, aveva approvato l’iniziativa edilizia; b) la Giunta Regionale, nel concedere la proroga per l’u ltimazione dei lavori, aveva consentito alla liquidazione dell’anticipazione pari al 30% del contributo e successivamente aveva autorizzato il pagamento del residuo di euro 240.000.
Rispetto a tali circostanze la Corte d’appello era stata sollecitata a valutare la grave negligenza della Regione, ‘malgrado anche il notevole ritardo nell’esecuzione dei lavori e la conclamata instabilità economica della società finanziata’. La Corte d’a ppello, tuttavia, non ha esplicitato le ragioni alla base della ritenuta correttezza dell’operato della Regione ed è incorsa nella violazione dell’art. 1227 cod. civ. per non aver considerato quanto dedotto in sede di appello circa la colpevole omessa valutazione della fattibilità del progetto, non potendosi dubitare che essa con l’ordinaria diligenza avrebbe dovuto avvedersi del vincolo gravante sull’area interessata dal progetto finanziato.
I motivi illustrati possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili.
3.1. Il ricorso si espone ad un preliminare e assorbente rilievo di inammissibilità perché carente del requisito di contenutoforma prescritto dall’art. 366, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Nella parte introduttiva dell’atto la ricorrente, infatti, ha omesso di specificare, sia pur in modo sintetico, le domande svolte, per essersi limitata a ritrascrivere le pagine uno e due della sentenza ed in parte pagina tre (fino alla lett. b) del paragrafo 2), per poi riportare alcuni passi tratti dal ricorso monitorio
chiesto dalla Regione Abruzzo e dalla domanda di insinuazione al passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE dalla stessa presentata. La ricorrente, inoltre, ha poi riferito che avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dalla Regione Abruzzo aveva svolto opposizi one deducendo ‘l’invalidità e l’inefficacia della garanzia attesa la nullità dell’obbligazione garantita … denunciando a corollario (e fors’anche a conferma), una serie di gravi irregolarità/inadempienze ravvisabili nel comportamento della Regione’, aggiun gendo che nel corso del giudizio è stata depositata copia del decreto di annullamento del Ministero dei Beni Culturali. Anche i singoli motivi non illustrano in modo adeguato il tenore delle domande svolte nelle diverse sedi giudiziarie, sì che per la relativa comprensione la Corte dovrebbe procedere alla lettura degli atti del processo.
3.2. La violata prescrizione normativa contenuta nell’art. 366, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., sez. un., 20 febbraio 2003, n. 2602).
Per soddisfare tale requisito occorre che il ricorso per cassazione contenga, ‘ in modo chiaro e sintetico, l’indicazione delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello e, infine, del tenore della sentenza impugnata’ (v., Cass. 12 gennaio 2024, n. 1352).
La legittimità di tale requisito di accesso al giudizio di legittimità non può essere messa in dubbio in relazione al diritto di difesa delle parti, o a quello al giusto processo, tutelati dagli artt. 24 e 111 Cost., ovvero dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata -in uno al protocollo aggiuntivo firmato a Parigi il 20 marzo 1952 -con legge 4 agosto
1955, n. 848, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 24 settembre 1955 ed entrata in vigore il 10 ottobre 1955).
Il primo motivo è, altresì, inammissibile ai sensi dell’art. art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ.
In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34469 e ribadito più di recente da Cass., sez. III, 1° luglio 2021, n. 18695).
La ricorrente ha riprodotto solo in parte il contenuto del predetto decreto ministeriale ed ha riportato in parte il primo motivo di appello, là dove ha sostenuto che l’obbligazione (garantita da Atradius) di realizzare la struttura ricettiva era nulla per impossibilità giuridica dell’oggetto, atteso l’intervenuto annullamento del nulla osta della Regione di approvazione del progetto. Soltanto nella memoria ex art. 380bis .1. cod. proc. civ. depositata in vista dell’adunanza camerale la ricorrente, tardivamente e senza spiegare dove e come la questione sia stata affrontata nel corso del giudizio, si è soffermata sul contenuto del decreto ministeriale e sulla normativa paesaggistica ivi riportata ai fini del disposto annullamento del nulla osta della Regione.
4.1. Il motivo, altresì, è inammissibile ai sensi dell’art. 366, primo comma n. 4, cod. proc. civ., poiché la ricorrente non si è confrontata con l’intera ratio decidendi enunciata dalla Corte d’appello, la quale ha escluso l’inefficacia o la nullità della fideiussione ‘per impossibilità dell’oggetto, in forza della presupposizione (quale elemento estrinseco ma condizionante la validità del contratto), su cui la garante aveva riposto il proprio legittimo affidamento (la regolarità urbanistica ed edilizia de ll’opera), ma al più avrebbe legittimato il
recesso …, che non risulta esercitato o secondo l’impostazione più tradizionale, la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta che non può che essere richiesta dalla stessa parte interessata e non è stata richiesta’.
La ricorrente non si è confrontata con la ratio decidendi complessivamente enunciata dalla Corte d’appello, per aver fissato l’attenzione solo sul profilo afferente alla violazione dell’art. 1939 cod. civ., di qui l’inammissibilità del motivo svolto, giusta il principio di diritto consolidato secondo cui: ‘Il mot ivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.’ (v. Cass., sez. un., 5 agosto 2016, n. 16598; 3 novembre 2017, n. 22226; 20 marzo 2017, n. 7074, non massimate sul punto, ma espressamente in motivazione; v., da ultima, Cass., sez. III, 12 gennaio 2024, n. 1341).
Del pari inammissibile è il secondo motivo.
Secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla
prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., sez. un., 5 maggio 2006, n. 10313; sez. I, 22 febbraio 2007, n. 4178; sez. lav., 26 marzo 2010, n. 7394; sez. lav., 16 luglio 2010, n. 16698; sez. V, 4 aprile 2013, n. 8315; sez. III, 30 dicembre 2015, n. 26610; sez. lav., 11 gennaio 2016, n. 195; 12 ottobre 2017, n. 24054; sez. I, 13 ottobre 2017, n. 24155; sez. V, 19 settembre 2024, n. 25182). In altri termini, non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle. Compito, quest’ultimo, al quale la ricorrente non ha ottemperato non formulando in modo debito una censura della motivazione in relazione allo sviluppo argomentativo legato alla pretesa violazione dell’art. 1227 cod. civ.
Il motivo, pur rubricato come violazione e falsa applicazione di norme di legge, nasconde in realtà contestazioni di merito in ordine alle valutazioni condotte dalla corte di merito e quindi si sostanzia in censure in fatto sulla motivazione del provvedimento, senza tener conto degli strettissimi limiti in cui è consentito dedurre in cassazione il vizio della motivazione. Infatti, il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (v., Cass., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34476; sez. I, 4 marzo 2021, n. 5987).
Nel giudizio di cassazione, inoltre, è precluso l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione a fini istruttori, tanto più a seguito della modifica dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., operata dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. in l. n. 134 del 2012, che consente il sindacato sulla motivazione limitatamente alla rilevazione dell’omesso esame di un “fatto” decisivo e discusso dalle parti. Pertanto, la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito non è sindacabile in sede di legittimità, se non quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti
nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (v., Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 e n. 8054), ipotesi non ricorrenti nel caso di specie.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.000,00 per competenze professionali, oltre alle spese eventualmente prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di co ntributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della