Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8239 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8239 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12207/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende
-Ricorrente –
Contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO CINDIRIZZOO DOM DIGITA, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende
-Controricorrente –
nonché contro
COGNOME NOME
-Intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 372/2021 depositata il 04/02/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. NOME COGNOME convenne dinnanzi al Tribunale di Monza NOME COGNOME per sentire dichiarare inefficaci
nei propri confronti gli atti di cessione di credito effettuati in data 15/05/2017 e 18/05/2017 da parte di NOME COGNOME, proprio debitore, in favore del fratello di questi, NOME COGNOME.
Costituendosi in giudizio NOME e NOME COGNOME formularono preliminare eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale adito, chiedendo per il resto il rigetto delle domande.
Con ordinanza n. 9968/2017 il Tribunale di Monza accolse la domanda azionata da NOME COGNOME, dichiarando inefficaci nei suoi confronti le cessioni di credito intervenute e condannando i convenuti alla refusione delle spese legali.
Avverso detta ordinanza NOME COGNOME propose gravame dinnanzi alla Corte di Appello di Milano.
L’appellato, NOME COGNOME, si costituì eccependo preliminarmente l’improcedibilità dell’atto d’appello per tardiva costituzione dell’appellante, e chiedendo il rigetto nel merito del gravame.
Alla prima udienza del 18/10/2018 l’AVV_NOTAIO, per NOME COGNOME, chiese di essere rimesso in termini, istanza a cui si oppose NOME COGNOME; la Corte, dichiarata la contumacia di NOME COGNOME, rinviò per la precisazione delle conclusioni all ‘udienza del 16/05/2019.
Successivamente l’AVV_NOTAIO compar s e all’udienza del 16/5/2019 dichiarando di essersi costituito telematicamente nella medesima data per NOME COGNOME, e la Corte revocò, quindi, la contumacia di NOME COGNOME e rinviò all’udienza del 12/03/2020, al fine di consentire all’appellato l’esam e della comparsa, comunque integralmente contestata.
Con sentenza n. 372/2021, depositata in data 04/02/2021, oggetto di ricorso, la Corte d’Appello di Milano, dichiarata preliminarmente la contumacia di NOME COGNOME -ha dichiarato l’appello proposto da NOME COGNOME improcedibile per tardiva costituzione di quest’ultimo, con condanna dello stesso alla refusione delle spese del grado.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui NOME COGNOME resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘Violazione dell’art. 360, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c., art. 18 c.p.c. e art. 2901 c.c.’. A detta del ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe deciso sulle sue domande ed eccezioni relative all’incompetenza territoriale, alla caducazione del titolo, al rigetto della domanda revocatoria avversaria ed all’annullamento della condanna alle spese legali di primo grado.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia in relazione all’art. 360, 1° co., nn. 3 e 5, c.p.c., ‘Violazione dell’art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c. in relazione all’art. 347 e 348 c.p.c.’ , per avere la Corte territoriale errato nel dichiarare l’improcedibilità dell’appello per tardività dell’iscrizione a ruolo .
Con il terzo motivo il ricorrente censura (è da presumere in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c. ) ‘La liquidazione delle spese legali’. Il motivo in esame si riduce a poche righe nelle quali si legge: ‘ manca la specificazione delle singole voci, e pertanto la condanna alle spese legali non ha tenuto conto delle specifiche richieste della Corte Suprema sul punto, necessarie per contestare la quantificazione. Ma l’auspicato annullamento della sentenza di appello consentirà di superare la questione ‘.
Il Collegio rileva che si configura un profilo pregiudiziale di inammissibilità del ricorso (ex art. 366, n. 3 c.p.c.) per l’assoluta inidoneità al raggiungimento dello scopo dell’esposizione sommaria del fatto sostanziale e processuale che in esso è svolta. Nella porzione dedicata all’esposizione del fatto sostanziale e processuale,
titolata ‘fatto e svolgimento del processo’ , il ricorso riporta quanto si trascrive di seguito testualmente: ‘ L’AVV_NOTAIO, per ragioni di comunanza sodale con il rag. COGNOME, suo cliente, ha fatto azione revocatoria sulla cessione del credito di cui alla sentenza del tribunale di Monza 1716/2017. Era successo che finalmente, almeno in primo grado, quei calunniatori erano stati condannati a risarcire il danno. L’AVV_NOTAIO, per impedire ed ostacolare il pagamento del debito, proponeva azione revocatoria contro la cessione del credito (a favore di soggetto solvibilissimo, oltretutto). Il presupposto mai dimostrato era ed è che NOME COGNOME divenisse cessionario del credito per frodare l’AVV_NOTAIO! Vero era invece non solo che l’AVV_NOTAIO è citato in giudizio per le truffarelle con il rag. COGNOME, ma anche e soprattutto per depositare nell’interesse di questi opposizioni all’archiviazione prima ancora che il PM depositasse la richiesta di archiviazione, e ciò solo grazie alla frequentazione illecita e clandestina possibile nel tribunale di Monza. Si allegano gli atti, senza che sia necessario riportarne il contenuto per il principio di autosufficienza del ricorso (allegati nn. 2-3-4-5-6-7, citazione e prime pagine opposizioni all’archiviazione e prime pagine richieste di archiviazione. Del resto, la complicità, sia pure non ancora affermata in sede definitiva, dell’AVV_NOTAIO con il rag. COGNOME proprio nella vicenda ‘Is Molas’ quella di cui alla sentenza 1716/2017 è oggetto di altra causa, ora in Cassazione. Basterebbe poi aggiungere dei ricorsi in cassazione monstre, quelli che avrebbero dovuto essere dichiarati inammissibili senza nemmeno udienza, e che invece hanno originato una sentenza di cassazione talmente abnorme (allegato n. 8) che gli stessi ‘interessati’ non hanno saputo (né tantomeno voluto) introdurre il giudizio di rinvio, introdotto dall’AVV_NOTAIO (allegato n.9). Questo ricorso serve in sostanza a valicare l’ultimo tratto della impugnazioni ordinarie. La vicenda in primo grado, introdotta con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. dall’AVV_NOTAIO, è finita come è finita, e l’atto di appello non ha avuto alcun seguito
perché la cancelleria (non la stessa ove l’AVV_NOTAIO interviene con i suoi maneggi assieme a quell’altro suo cliente) ha deciso che la causa di appello non doveva essere iscritta a ruolo. In stretta analogia, questa con numero di r.g. 1884/2018 con quella con numero di ruolo r.g. 1885/2018, definita con la sentenza 3759/2019, già impugnata. Il provvedimento di primo grado è stato impugnato ed è stato iscritto a ruolo tempestivamente, solo che la Cancelleria ha rifiutato l’iscrizione a ruolo (tardivamente) e quindi questa è stata rinnovata. Alla luce dei motivi di appello si costituiva in appello l’AVV_NOTAIO, il quale credendo nella eccezione processuale sbagliava clamorosamente accettando il contraddittorio anche nel merito (tribunale Torino sentenza n.20752/2018 con la quale, richiamando la giurisprudenza della Cassazione sotto illustrata spiegherà che il convenuto che si costituisse e dovesse accettare il contradditorio finirebbe per sanare ogni vizio formale). NOME COGNOME restava contumace secondo la Co rte territoriale. L’appello è stato ritualmente iscritto a ruolo, ma l’iscrizione a ruolo è stata rifiutata dalla Cancelleria della Corte d’appello di Milano per motivi pretestuosi ‘.
4.1 Nient’altro viene enunciato sul fatto sostanziale e processuale, e si procede (alle pp. da 4 a 11 del ricorso) alla riproduzione dei contenuti dell’atto di appello.
4.2 A parte le difficoltà di comprensione, la porzione finalizzata alla esposizione del fatto sostanziale e processuale omette di indicare in modo preciso, sebbene riassuntivo e sommario, le ragioni giustificative della domanda originaria. Omette di indicare, sempre in modo riassuntivo e sommario, i termini dello svolgimento del giudizio di primo grado, e le ragioni sulle quali si fondò la decisione del primo giudice. Omette di indicare le ragioni per cui la sentenza della Corte d’Appello di Milano ha ritenuto improcedibili il gravame proposto da ll’odierno ricorrente avverso la sentenza di primo grado, limitandosi al riguardo ad enunciare che detta Corte ‘ L’appello è
stato ritualmente iscritto a ruolo, ma l’iscrizione a ruolo è stata rifiutata dalla Cancelleria della Corte d’appello di Milano per motivi pretestuosi ‘.
4.3 Tanto premesso, va rilevato che l’esposizione del fatto nei termini sopra riferiti è inidonea alla stregua dei seguenti principi di diritto.
4.4 E’ anzitutto principio consolidato quello secondo cui ‘ Il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto, senza necessità che esso dia luogo ad una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi, laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata ‘ (Cass., Sez. Un., n. 11653 del 2006).
L e stesse Sezioni Unite avevano, d’altro canto, già osservato che ‘ il disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato ‘ (Cass., Sez. Un., n. 2602 del 2003).
4.5 E’ stato, del resto, nella logica dei principi affermati dalle Sezioni Unite, efficacemente statuito che ‘ per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di
ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di Cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa ‘ ( ex multis , Cass., sez. I, ord. 3/11/2020, n. 24432; Cass., sez. V, sent. 30/04/2020, n. 8425, la quale precisa che ‘ Ai fini del rispetto dei limiti contenutistici di cui all’ art. 366, comma 1, n. 3) e 4), c.p.c., il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda ‘sub iudice’ posti a fondamento delle doglia nze proposte in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell ‘ambito della tipologia dei vizi elencata dall’ art. 360 c.p.c. ; l’inosservanza di tale dovere (…) pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponend osi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa ( art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (artt. 111, comma 2, Cost. e 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui ‘ .
A ciò va aggiunto, sempre nel senso dell’inammissibilità, quanto segue.
5.1. Sul primo motivo: il motivo consiste nella pedissequa trascrizione dei motivi già articolati nell’atto di citazione d’appello e, come tale, è inammissibile ex art. 366, 1° co., n. 4, c.p.c. Per consolidata giurisprudenza di legittimità, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.
I l motivo d’impugnazione è infatti costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un ‘non motivo’, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4, c .p.c. (Cass., sez. III, sent. 31/08/2015, n. 17330; conforme Cass., sez. I, ord. 24/09/2018, n. 22478 ).
5.2. Sul secondo motivo. Il motivo va soggetto ai medesimi rilievi svolti con riferimento al primo. Per giunta, il motivo non si confronta con la ratio decidendi della sentenza gravata, omettendo di esporre congrue ragioni alla stregua delle quali la pronuncia di improcedibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 c.p.c. resa dalla Corte territoriale sarebbe erronea.
5.3. Sul terzo motivo. Premesso la sentenza gravata motiva adeguatamente ( ‘ S tante la soccombenza dell’appellante, costui è
tenuto a rifondere le spese di lite all’appellato costituito regolarmente. Dette spese si liquidano in dispositivo sulla base del valore della lite, delle questioni trattate e delle tariffe professionali vigenti ‘) , il motivo è inammissibile in quanto risulta censurabile solo il superamento immotivato dei limiti minimi e massimi della tariffa e il ricorrente si limita a una contestazione assolutamente generica, senza dedurre che vi sia stato tale superamento.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso è inammissibile, stante l’inammissibilità di tutti i motivi su cui si fonda.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 3.600,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi e oltre al rimborso spese generali nella misura 15% e agli accessori di legge, in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, 1° comma, quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 08/01/2024.