Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16618 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16618 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4479/2021 R.G. proposto da: COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME COGNOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso LA SENTENZA DELLA CORTE D’APPELLO DI NAPOLI n. 4185/2020 depositata il 30/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., depositato il 21/11/2013 COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano dinanzi al Tribunale di Benevento COGNOME Cristina e COGNOME NOMECOGNOME chiedendo, per quanto ancora rileva, dichiararsi che i convenuti occupavano senza titolo il fondo di cui erano proprietari sito in agro di Casalduni (BN) C.da COGNOME, riportato in catasto al fg. 12 part.lla 319 e, per l’effetto, condannarli all’immediato rilascio dello stesso.
Si costituivano COGNOME NOME e COGNOME Pino, i quali eccepivano l ‘ improcedibilità, improponibilità, inammissibilità, nonché infondatezza in fatto e in diritto del ricorso avversario. I convenuti, inoltre, sollevavano l’eccezione riconvenzionale di usucapione del fondo oggetto del giudizio e, in via subordinata, spiegavano domanda riconvenzionale volta alla dichiarazione dell’esistenza di un contratto di affitto del fondo oggetto del giudizio, da ritenersi prorogato, in capo alla COGNOME.
Il Tribunale di Benevento, con sentenza rep. n. 3691/14, del 17/10/2014, pubblicata il 27/10/2014, accoglieva la domanda e ordinava a COGNOME NOME e COGNOME NOME, in solido fra loro, di rilasciare, in favore di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, il sito in agro di Casalduni alla C.da COGNOME in catasto al foglio 12 p.lla n. 319, libero da persone e cose, fissando per l’esecuzione il giorno 30.12.2014.
COGNOME NOME e COGNOME NOME proponevano appello avverso la suddetta decisione.
Resistevano al gravame COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
La Corte d ‘ Appello di Napoli rigetta va l’impugnazione. In primo luogo, riteneva infondata l’eccezione sollevata dagli appellanti di nullità della sentenza gravata per l’inosservanza dell’obbligo di astensione da parte del giudice di prime cure, non costituendo motivo di nullità della sentenza, come tale deducibile, per la prima volta, nella fase di gravame (cfr. Cass. SS.UU. n.170 del23/4/2001) in difetto di ricusazione del medesimo nel giudizio di primo grado. Peraltro, non vi era alcun motivo di astensione.
Nel merito le difese degli appellanti erano mera riproposizione delle medesime tesi già ritenute infondate in altri giudizi. In particolare, la tesi secondo cui l’ effettivo ed esclusivo conduttore del fondo oggetto del giudizio non fosse COGNOME NOME (marito e padre degli appellanti), bensì COGNOME NOME, era smentita dalle risultanze delle sentenze prodotte in giudizio, dalle quali emergeva, anzi, che sulle stesse si era formato il giudicato, con la conseguente preclusione di pronunciarsi nuovamente sulle medesime questioni.
In particolare, la sentenza n. 38/2001 della Corte d’Appello di Napoli – Sez. Specializzata Agraria, passata in giudicato per mancata impugnazione, avente ad oggetto il rilascio del fondo, oggetto anche del presente giudizio, per l’avvenuta risoluzione del contratto di affitto dello stesso, aveva ritenuto infondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva di NOME COGNOME per essere affittuaria del fondo la moglie NOME COGNOME in quanto risultava provato in base alle dichiarazioni testimoniali e alle ricevute di pagamento che l’affittuario era il Casbarra.
Il giudicato esterno determinatosi, produceva, in definitiva, un effetto impeditivo, preclusivo alla cognizione della situazione giuridica già oggetto di decisione
Peraltro, COGNOME NOME in altro giudizio tra le stesse parti, avente ad oggetto l’opposizione di terzo all’esecuzione della suddetta sentenza aveva già sostenuto di essere l’effettiva affittuaria del fondo oggetto del giudizio. La Corte d’Appello di Napoli – Sez. Specializzata Agraria, con sentenza n. 2801/2002 aveva accertato e dichiarato, invece, che essa, quale componente dell’unica famiglia coltivatrice del fondo, non poteva ritenersi terza rispetto alla sentenza di condanna al rilascio emessa nei confronti del marito COGNOME NOME, che faceva stato, pertanto, anche nei suoi confronti. Tale statuizione era stata confermata anche dalla Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 23903/2006, con la quale era stato rigettato il ricorso all’uopo presentato da COGNOME NOME.
Risultavano, conseguentemente, inammissibili le deduzioni, così come le richieste istruttorie reiterate in questa fase del giudizio, con le quali gli appellanti chiedevano una riconsiderazione nel merito di circostanze di fatto sulle quali si era formato il giudicato.
Il Collegio rilevava, inoltre, che gli appellati, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, con il presente giudizio non avevano nuovamente azionato, a distanza di quasi dieci anni, il titolo esecutivo costituito dalla sentenza di condanna al rilascio del fondo di cui alla sentenza n. 1881/2001 del Tribunale di Benevento Sez. Specializzata Agraria, confermata in appello, ma avevano
chiesto, nei confronti degli odierni appellanti, il rilascio del fondo detenuto sine titulo .
Il Collegio evidenziava, infatti, che, anche a prescindere dall’esistenza e dall’effetto interruttivo prodotto dal verbale di immissione nel possesso del fondo in favore degli appellati, redatto dall’ufficiale giudiziario il 24 novembre 2003, era infondata l’eccezione riconvenzionale di usucapione del fondo oggetto del giudizio, per l’insussistenza nel caso di specie dei presupposti di un possesso ad usucapionem (corpus, animus, durata). Peraltro, l’esistenza di un possesso ad usucapionem del fondo oggetto del giudizio da parte degli appellanti risultava contraddetta dalla stessa allegazione, reiterata anche con l’atto di appello, dell’esistenza di un pregresso contratto di affitto del medesimo in capo alla Fusco.
COGNOME NOME e COGNOME Pino hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di sei motivi di ricorso.
COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME NOME hanno resistito con controricorso.
Parte ricorrente, con memoria depositata in prossimità dell’udienza, ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile.
1.1 Deve darsi continuità al seguente principio di diritto: Nel ricorso per cassazione è essenziale il requisito, prescritto dall’art. 366 n. 3 c.p.c., dell’esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, da effettuarsi necessariamente in modo sintetico, con la conseguenza che la relativa mancanza determina l’inammissibilità del ricorso, essendo la suddetta esposizione
funzionale alla comprensione dei motivi nonché alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte. (Cass. Sez. 2, 24/04/2018, n. 10072, Rv. 648165 – 01).
1.2 Nella specie va rilevata l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 366 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., in quanto il medesimo manca di una esposizione dei fatti della causa che consenta alla Corte di comprendere l’oggetto della pretesa e il tenore della sentenza impugnata in coordinamento con i motivi di censura (Cass., Sez. Un., n. 16628 del 17/07/2009; cfr. anche, Sez. Un., n. 5698 del 11/04/2012; Sez. 6 – 3, n. 22860 del 28/10/2014).
Nel ricorso per cassazione è essenziale il requisito, prescritto dall’art. 366 n. 3 c.p.c., dell’esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, da effettuarsi necessariamente in modo sintetico, con la conseguenza che la relativa mancanza determina l’inammissibilità del ricorso, essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi nonché alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (Sez. 2, Sent. n. 10072 del 2018). Com’è noto, l’art. 366 cod. proc. civ., nel dettare le condizioni formali del ricorso, ossia i requisiti di “forma-contenuto” dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, configura un vero e proprio “modello legale” del ricorso per cassazione, la cui mancata osservanza è sanzionata con l’inammissibilità del ricorso stesso. Con particolare riferimento al requisito della «esposizione sommaria dei fatti della causa» (art. 366 n. 3 cod. proc. civ.), che deve avere ad oggetto sia i fatti sostanziali che i fatti processuali necessari alla comprensione dei motivi, va osservato che tale requisito è posto, nell’ambito del modello legale del ricorso, non tanto nell’interesse
della controparte, quanto in funzione del sindacato che la Corte di cassazione è chiamata ad esercitare e, quindi, della verifica della fondatezza delle censure proposte. Esiste, pertanto, un rapporto di complementarità tra il requisito della «esposizione sommaria dei fatti della causa» di cui al n. 3 dell’art. 366 cod. proc. civ. e quello – che lo segue nel modello legale del ricorso – della «esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione» (n. 4 dell’art. 366 cod. proc. civ.), essendo l’esposizione sommaria dei fatti funzionale a rendere intellegibili, da parte della Corte, i motivi di ricorso di seguito formulati.
In altri termini, secondo il “modello legale” apprestato dall’art. 366 cod. proc. civ., la Corte di cassazione, prima di esaminare i motivi, dev’essere posta in grado, attraverso una riassuntiva esposizione dei fatti, di avere contezza sia del rapporto giuridico sostanziale originario da cui è scaturita la controversia, sia dello sviluppo della vicenda processuale nei vari gradi di giudizio di merito, in modo da poter procedere poi allo scrutinio dei motivi di ricorso munita delle conoscenze necessarie per valutare se essi siano deducibili e pertinenti; valutazione – questa che è possibile solo se chi esamina i motivi sia stato previamente posto a conoscenza della vicenda sostanziale e processuale in modo complessivo e sommario, mediante una “sintesi” dei fatti che si fondi sulla selezione dei dati rilevanti e sullo scarto di quelli inutili. Perciò, il difensore chiamato a redigere il ricorso per cassazione che, per legge, dev’essere un professionista munito di quella particolare specializzazione attestata dalla sua iscrizione nell’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione – deve procedere ad elaborare autonomamente “una sintesi della vicenda fattuale e
processuale”, selezionando i dati di fatto sostanziali e processuali rilevanti (domande, eccezioni, statuizioni delle sentenze di merito, motivi di gravame, questioni riproposte in appello, etc.) in funzione dei motivi di ricorso che intende formulare, in modo da consentire alla Corte di procedere poi allo scrutinio di tali motivi disponendo di un quadro chiaro e sintetico della vicenda processuale, che le consenta di cogliere agevolmente il significato delle censure, la loro ammissibilità e la loro pertinenza rispetto alle rationes decidendi della sentenza impugnata. L’esposizione sommaria dei fatti della causa, per essere funzionale alla comprensione dei motivi, dev’essere “sintetica”, come si evince dal richiamo al suo carattere “sommario”, già preteso dal codificatore del 1940.
La “sintesi” degli atti processuali costituisce oggi un vero e proprio “valore”, che va assumendo importanza crescente nell’ordinamento italiano. Basti pensare a quanto previsto dall’art. 3 n. 2 del codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104), con riferimento all’obbligo di redigere gli atti «in maniera chiara e sintetica»; basti pensare al ruolo sempre maggiore assegnato -con riguardo ai provvedimenti del giudice -all’ordinanza decisoria, motivata in modo «succinto» e «conciso» (artt. 134 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ.), rispetto alla sentenza.
Deriva da ciò che la mancanza o la carenza dell’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato determina ex se l’inammissibilità del ricorso e non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, né attraverso l’esame di altri atti processuali (in tali termini, Cass., Sez. Un., n. 11308 del 22/05/2014). Orbene, nel caso di specie, il
ricorrente non ha svolto alcuna esposizione sommaria dei fatti e si è limitato a riportare integralmente il suo atto di appello senza alcuna sintesi omettendo perfino di rappresentare in modo dettagliato quale sia stata la decisione della Corte di Appello impugnata col ricorso. In tali condizioni, alla stregua delle ragioni e dei principi di diritto dianzi evidenziati, il Collegio ritiene che il ricorrente non abbia assolto l’onere di cui all’art. 366 n. 3 cod. proc. civ.; dal che l’inammissibilità del ricorso. Peraltro, anche la formulazione dei motivi sconta una insanabile genericità quale ulteriore motivo di inammissibilità sia in relazione alla mancata astensione di un giudice in mancanza di ricusazione, sia in relazione alla mancata indicazione dei giudici che non avrebbero partecipato alle udienze precedenti, sia in relazione al generico richiamo a censure non decise o decise erroneamente senza alcun riferimento alle norme che si assumono violate e senza proporre alcuna censura veicolata secondo i parametri del giudizio di legittimità.
Il ricorso è inammissibile.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 3000, più
200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione