Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1166 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1166 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 11747/2021 r.g. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’ Avvocato NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Venezia, Sestiere INDIRIZZO Cannaregio INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede in Milano, alla INDIRIZZO A, in persona del procuratore speciale dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’ Avvocato Prof. NOME COGNOME e dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma , alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza, n. 241/2021, della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, pubblicata il giorno 02/02/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 14/01/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ. depositato il 28 giugno 2016 e ritualmente notificato alla controparte unitamente al pedissequo decreto di fissazione di udienza, NOME COGNOME espose di avere concluso, il 19 settembre 2008, in qualità di coobbligata del marito NOME COGNOME deceduto in data 8 aprile 2011, sicché la stessa era subentrata nel rapporto quale sua erede, un contratto di mutuo chirografario, per esigenze della famiglia, in cui gli stessi avevano aderito alle polizze assicurative vita e danni. Contestò alla ba nca erogante, cui era subentrata Unicredit s.p.a., l’applicazione di un costo del finanziamento, comprensivo di interessi corrispettivi, commissioni, spese e costi anche di copertura assicurativa, superiore al tasso soglia vigente al momento della stipulazione, con conseguente nullità delle relative clausole contrattuali e gratuità del mutuo. Subordinatamene, evidenziò che il TAEG indicato in contratto, pari all’11,34 %, non comprendeva i costi relativi alle assicurazioni, pur finanziate, con conseguente nullità della clausola e sostituzione del tasso indicato con quello nominale previsto per i buoni del Tesoro. Chiese, dunque, la rideterminazione della somma effettivamente dovuta e, quindi, la ripetizione di quanto versato indebitamente.
1.1. Costituitasi Unicredit s.p.a.RAGIONE_SOCIALE che concluse per il rigetto delle avverse pretese, l’adito Tribunale di Venezia, con ordinanza, ex art. 702ter cod. proc. civ., del 13 ottobre 2017, respinse la domanda della ricorrente e la condannò al pagamento delle spese di lite.
Analogo esito negativo ebbe il gravame promosso dalla COGNOME contro quella decisione, disatteso dalla Corte di appello di Venezia con sentenza del 27 gennaio/2 febbraio 2021, n. 241, pronunciata nel contraddittorio con Unicredit s.p.a.
2.1. Per quanto qui di residuo interesse, quella corte, nel confutare il primo motivo di gravame innanzi ad essa formulato, così opinò: « NOME COGNOME si duole che il giudice abbia trascurato, nell’accertamento
dell’usurarietà, le spese assicurative, ammontanti ad Euro 3.360,00, e le spese di istruttoria (Euro 250,00) del contratto di mutuo. Inoltre, il giudice, con ‘riferimento alla tesi estensiva della disciplina sanzionatoria dell’usura indistintamente agli in teressi corrispettivi e moratori’, avrebbe dato ‘un’interpretazione limitativa dell’art. 1815, co. 2, c.c., che non trova riscontro nella norma, la quale stabilisce semplicemente che ‘ se sono dovuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”. La prima doglianza è manifestamente infondata, atteso che il giudice, richiamando le conclusioni cui è giunto il c.t.u., ha considerato, nel calcolo del tasso effettivo globale, tutte le spese, comprese quelle per istruttoria e per assicurazione (v. pag. 3 della motivazione dell’ordinanza, da cui si rileva che l’unico costo non incluso fu la commissione per l’eventuale estinzione anticipata del mutuo). Del resto, il giudice, già con la formulazione del quesito, aveva espressamente richiesto al consulente tecnico di valutare ‘qualsiasi commissione, remunerazione a qualsiasi titolo e spesa collegata all’erogazione del credito, ivi compresa la spesa collegata alle polizze assicurative’. Il c.t.u. ha risposto al quesito, affermand o che ‘non è stata rilevata la presenza di usura ab origine in relazione agli interessi corrispettivi confrontando i flussi di cassa generati dai pagamenti delle rate con il flusso di cassa del capitale finanziato (Euro 28.360,00)’. L’appellante parrebbe s ostenere che non deve considerarsi il capitale finanziato (Euro 28.360,00), ma quello richiesto (Euro 25.000,00): in tal caso, il mutuo sarebbe stato usurario. Tuttavia, il Tribunale di Venezia ha già evidenziato che non vi è ragione per ritenere che il capitale mutuato non fosse di Euro 28.360,00 ‘posto che il contratto è stato concluso con la volontà di finanziare anche i ramme ntati premi assicurativi’ (v. sempre pag. 3 della motivazione). Avverso tale rilievo non si rinviene alcuna replica. Può comunque aggiungersi che, se si dovesse considerare il capitale richiesto di Euro 25.000 anziché quello finanziato (necessario anche per pagare i premi assicurativi), il costo dell’assicurazione non sarebbe stato affatto sostenuto da NOME COGNOME. Costei, infatti, ricevette l’impor to netto di Euro 24.679,10, poiché la banca detrasse da Euro 28.360,00 l’intero ammontare dei premi assicurativi, che quindi non confluì nelle rate di rimborso. Pertanto, la pretesa
di compiere la verifica di usurarietà su un capitale di Euro 25.000,00 e comunque aggiungere tra i costi i premi assicurativi di Euro 3.360,00 (a quel punto non sostenuti, poiché la banca non li incluse nelle rate, ma li detrasse dall’importo, in ipotesi s olo figurativo, di Euro 28.360,00) è palesemente errata. La conclusione cui è pervenuto il giudice veneziano, sulla scorta dell’accertamento del c.t.u., che ha evidenziato come il tasso effettivo si è mantenuto sensibilmente al di sotto della soglia di usura (valutando sia l’intero importo finanziato sia tutti i costi connessi all’erogazione del finanziamento), è perciò corretta ».
Per la cassazione di questa sentenza, NOME COGNOME ha promosso ricorso affidato ad un motivo. Ha resistito, con controricorso, Unicredit s.p.a.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico formulato motivo, rubricato « Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione o falsa applicazione della L. n. 108 del 1996, art. 2, dell’art. 644 c.p., comma 3, 4; dell’art. 19, comma 1, della legge 19 febbraio 1992, n. 142; del decreto del Ministro del Tesoro del 8.7.1992 (in G.U. n. 169 del 20-7-1992) art. 2, comma 3 », la COGNOME sostiene essere senz’altro errata, in primis , la conclusione della corte lagunare secondo cui ella non sostenne i costi dei premi assicurativi perché «… la banca non li incluse nelle rate, ma li detrasse dall’importo, in ipotesi solo figurativo, di Euro 28.360,00 ». Richiamandosi il contenuto del documento di sintesi, del contratto di finanziamento e del piano di ammortamento ad esso allegato, si assume che « la pretesa dimostrazione di correttezza della motivazione di rigetto che la Corte d’appello basa su tale argomento è perciò infondata in fatto ». Viene contestata, inoltre, l’affermazione della medesima corte laddove, in adesione alla precedente motivazione del tribunale, ha opinato che « non vi è ragione per ritenere che il capitale mutuato non fosse di Euro 28.360,00 ‘posto che il contratto è stato concluso con la volontà di finanziare anche i rammentati premi assicu rativi’ ». Si trascura, infatti, secondo la ricorrente che, « ai fini della determinazione del TEG dei ‘prestiti nei confronti delle famiglie di consumatori … destinati a finanziare generiche esigenze di spesa o di consumo personali o familiari’, qual è il caso che occupa, le spese
assicurative collegate alla concessione del credito e destinate ad assicurarne il rimborso, vieppiù se sostenute contestualmente alla erogazione del mutuo, vanno ‘considerate’ secondo criteri che prescindono dalla volontà o meno della loro inclusione nel finanziamento ». Invocandosi la normativa in richiamata in rubrica, dunque, si conclude nel senso che « il TAEG (TEG) del finanziamento di cui qui ci si occupa va calcolato deducendo, quanto meno, dall’importo finanziato (€ 28.360,00) le spese di istruttoria (€ 250,00) e le spese per le assicurazioni (€ 3.360,00), così pervenendosi a individuare come corretta la conclusione del C.t.u., respinta dai Giudici a quo, secondo cui tenendo conto ‘dei flussi di cassa in entrata e in uscita determinati dal capitale richiesto (Euro 25.000,00) e dalla attualizzazione dei flussi di cassa delle singole rate calcolate dalla convenuta sul capitale finanziato, il tasso globale così determinato (16,1173) appare superiore al tasso soglia antiusura (15,57) (ALL. n. 2) ».
La descritta doglianza si rivela complessivamente inammissibile.
2.1. Invero, giova ricordare che il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. (specificamente invocato dalla ricorrente nella doglianza in esame) può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente perché, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro, ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua, pur corretta, interpretazione. Cfr. , tra le più recenti, Cass. nn. 27328, 19423, 16448 e 5436 del 2024; Cass. n. 1015 del 2023; Cass. nn. 5490, 3246 e 596 del 2022; Cass. nn. 40495, 28462, 25343, 4226 e 395 del 2021). È opportuno evidenziare, inoltre, che questa Corte, ancora recentemente ( cfr ., pure nelle rispettive motivazioni, oltre alle pronunce appena citate, Cass. n. 35041 del 2022, Cass. n. 33961 del 2022 e Cass. n. 13408 del 2022), ha chiarito, tra l’altro, che: a ) non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione
della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; b ) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ( cfr . Cass. n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); c ) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito ( cfr . Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).
2.2. È evidente, allora, che nella misura in cui la censura in esame, richiamando il contenuto del documento di sintesi, del contratto di finanziamento e del piano di ammortamento ad esso allegato, intende sostenere l’infondatezza « in fatto » della conclusione della corte lagunare secondo cui la COGNOME non sostenne i costi dei premi assicurativi perché «… la banca non li incluse nelle rate, ma li detrasse dall’importo, in ipotesi solo figurativo, di Euro 28.360,00 », la stessa si rivela sostanzialmente volta ad ottenerne un riesame, così dimenticando che: i ) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme assertivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione ( cfr . tra le più recenti, anche nelle
rispettive motivazioni, Cass., SU, n. 34782 del 2024; Cass. nn. 33909, 27328, 16448 e 15033 del 2024; Cass. nn. 13408 e 9014 del 2023; Cass. n. 31071 del 2022. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, « in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa »); ii ) il giudizio legittimità non può essere trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 10712, 19423, 25495 e 33909 del 2024).
2.3. La residua parte della censura, invece, è parimenti inammissibile perché, in realtà, quella ivi contestata è solo una delle due, autonome, rationes decidendi poste dalla corte distrettuale a fondamento della propria decisione sul punto.
2.4. Invero, la corte lagunare, dopo aver esposto che « il Tribunale di Venezia ha già evidenziato che non vi è ragione per ritenere che il capitale mutuato non fosse di Euro 28.360,00 ‘posto che il contratto è stato concluso con la volontà di finanziare anche i rammentati premi assicurativi’ (v. sempre pag. 3 della motivazione) », ha espressamente puntualizzato che « Avverso tale rilievo non si rinviene alcuna replica ».
2.5. Orbene, l’odierna doglianza della Manfren, lungi dal contestare specificamente quest’ultima affermazione, vale a dire il non essere stato replicato alcunché alla suddetta valutazione del tribunale (nulla si rinviene in ricorso in ordine a puntuali argomentazioni contro la stessa), investe, in realtà, la seconda ratio decidendi esposta dalla sentenza impugnata ».
2.6. Ne consegue, allora, che, pure volendosi sottacere che, anche in parte qua , il motivo riguarda non già l’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì l’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, così inammissibilmente impingendo nella valutazione del giudice di merito, va rimarcato, comunque, che, non risultando essere stata minimamente contestata la prima delle descritte affermazioni della corte d’appello, agevolmente qualificabile come autonoma ratio decidendi posta da quest’ultima a fondamento della sua pronuncia relativamente al corrispondente motivo di impugnazione dell’ordinanza ex art. 702ter cod. proc. civ. innanzi ad essa, deve trovare applicazione il principio secondo cui, ove la corrispondente motivazione della sentenza sia sorretta da una
pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata sul punto, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in alcun caso l’annullamento, in parte qua, della sentenza ( cfr., ex multis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 5102 del 2024; Cass. n. 4067 del 2024; Cass. n. 26801 del 2023; Cass. n. 4355 del 2023; Cass. n. 4738 del 2022; Cass. n. 22697 del 2021; Cass., SU, n. 10012 del 2021; Cass. n. 3194 del 2021; Cass. n. 15075 del 2018; Cass. n. 18641 del 2017; Cass. n. 15350 del 2017).
3. In conclusione, dunque, il ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente, altresì dandosi atto, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/02, i presupposti processuali per il versamento, da parte della menzionata ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME e la condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituita si controricorrente, liquidate in complessivi € 2.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge .
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima
ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile