Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4178 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1   Num. 4178  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25032 R.G. anno 2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata  e  difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME AVV_NOTAIO;
contro
ricorrente avverso  la  sentenza  n.  5538/2019  depositata  il  12  marzo  2019  del Tribunale di Roma.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 ottobre 2023 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata il 9 maggio 2016 RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello avverso la sentenza del Giudice di pace di Roma che aveva respinto la domanda da essa proposta nei confronti di RAGIONE_SOCIALE. La società appellante aveva agito in giudizio chiedendo di condannarsi la banca al risarcimento del danno per avere la stessa operato il pagamento di due assegni di traenza, emessi su sua richiesta dalla Banca Popolare di Sondrio in favore di soggetti diversi rispetto a quelli che avevano girato per l’incasso i titoli: detti titoli erano stati infatti falsificati quanto al nominativo del beneficiario.
Nella resistenza di RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale di Roma ha respinto l’appello. Ha ritenuto, in sintesi, che all’istituto di credito non potesse imputarsi la colpevole mancata rilevazione della contraffazione dei titoli. Ha precisato che da un esame visivo e tattile degli assegni non emergeva alcun chiaro segno di falsificazione e che l’alterazione del nome del beneficiario era stato posto in atto con un’abilità tale da trarre in inganno anche un soggetto, quale la banca, tenuto al rispetto di elevati canoni di diligenza professionale nell’adempimento dei propri compiti. Se pure mancavano segni di scoloritura o abrasione, non si rilevavano al tatto ruvidezze che potessero interpretarsi come traccia di una cancellatura funzionale a una sovrascrittura e l’esame in controluce dei due assegni non faceva emergere irregolarità di sorta. Infine, secondo il Giudice di appello, la circostanza per cui il nome del beneficiario risultava impresso sui due assegni con caratteri leggermente più sbiaditi e meno distanziati rispetto a quelli utilizzati per l’indicazione dell’importo, integrava un elemento che, oltre ad essere appena percettibile, non era tale da far insospettire la banca negoziatrice, visto che non era raro che negli assegni prestampati il nome del beneficiario e l’importo del titolo venissero vergati con caratteri diversi.
RAGIONE_SOCIALE ha impugnato la sentenza di appello con un  ricorso  per  cassazione  fondato  su  cinque  motivi.  Resiste  con
contro
ricorso RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-I motivi di ricorso sono enunciati a pagg. 21 s. del ricorso per cassazione e trattati poi cumulativamente.
Primo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 43 l. ass. (r.d. n. 1736/1933), «la cui disciplina esclude l’applicabilità degli artt. 1189  e 1992, comma 2, c.c., così escludendo la rilevanza di segni e di alterazioni rilevabili ictu oculi ai fini dell’attribuzione della responsabilità».
Secondo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. in  relazione  all’onere  probatorio  imposto  al  debitore  inadempiente: «affermando  che  il  debitore  è  liberato  dall’obbligo  in  ragione  della rilevabilità ictu oculi della falsità, si pone una causa di esenzione non codificata di cui non c’è traccia nell’ordinamento».
Terzo  motivo:  violazione  e  falsa  applicazione dell’art.  1176, comma  2,  c.c.  «laddove,  anche  vincolando  la  prova  liberatoria  alla dimostrazione -completa -di aver agito con la diligenza professionale, quella diligenza non è riassumibile nella semplice vista dell’impiegato».
Quarto motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 132, n. 4 , c.p.c.,  «stante l’evidente contraddittorietà  della  motivazione  avendo riguardo all’abilità impiegata nella contraffazione dei titoli».
Quinto motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per non avere il Giudice di appello «posto alla base della decisione fatti noti ed acquisiti  omettendo di valorizzarli secondo il suo  prudente  apprezzamento  ed  anzi  senza  dedicare  loro  alcuna considerazione, e dunque omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», oltre che nullità della sentenza ex art. 132, n. 4, c.p.c..
La modalità con cui sono stati trattati i motivi, non soddisfa la condizione posta dall’art. 366, n. 4, c.p.c. .
Come è noto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, i motivi di ricorso, a pena di inammissibilità, devono avere i carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata: il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronuncia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate (Cass. 18 febbraio 2011, n. 4036; Cass. 3 agosto 2007, n. 17125; cfr. pure Cass. 24 febbraio 2020, n. 4905).
Il giudizio di cassazione è, del resto, un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso; il singolo motivo, infatti, assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore: la tassatività e la specificità del motivo di censura esigono, quindi, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; in senso sostanzialmente conforme: Cass. 14 maggio 2018, n. 11603; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 29 maggio 2012, n. 8585). In particolare, il principio di specificità di cui all’art. 366, n. 4 c.p.c. richiede per ogni motivo l’indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto, nonché l’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronuncia (Cass. 18 agosto 2020, n. 17224). La disciplina vigente esige, quindi, che le doglienze siano circostanziate avendo riguardo ad ognuno dei motivi di ricorso, in modo tale da consentire un loro esame separato, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure, al fine di ricondurle ai mezzi d’impugnazione che si intendono proporre, prima di decidere su di esse.
Lo svolgimento argomentativo dei motivi non risulta conforme ai richiamati principi, constando di un coacervo confuso di deduzioni che non sono distintamente riferibili ai singoli mezzi di censura e nemmeno si raccordano alle parti della sentenza che si intende sottoporre a critica. Né tale scorretta modalità redazionale dell’atto impug natorio è riabilitata dall’enunciazione dei motivi contenuta a pagg. 21 e 22 del ricorso, ove le doglianze sono appena abbozzate in vista di una illustrazione delle stesse da ritenersi, per le indicate ragioni, non aderente alle prescrizioni dalla legge processuale. E’ la stessa parte istante a precisare che «tutti i motivi possono essere congiuntamente trattati ed esaminati» (pag. 22 del ricorso): con ciò evidenziando la reale architettura del ricorso, affidato a una trama di rilievi difensivi del tutto affrancata da mezzi di censura riferibili agli specifici contenuti della sentenza che si intendevano impugnare.
3 . – Il ricorso va in conclusione dichiarato inammissibile.
4 . – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La  Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione