Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33289 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33289 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6094/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOMECOGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentat a e difesa dall’avvocato COGNOME;
-controricorrente-
nonchè contro
-intimato-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2036/2020 depositata il 03/08/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/05/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dalla Consigliere NOME COGNOME a seguito di riconvocazione del Collegio, nella medesima composizione, dall’udienza del 06/11/2024.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Come si evince dalla sentenza impugnata e per quanto ancora d’interesse, la Do Bank s.p.a., quale mandataria di Unicredit s.p.a. otteneva dal Tribunale di Monza decreto ingiuntivo, per il pagamento di €30.697,33, nei confronti dei signori NOME COGNOME e NOME COGNOME quali fideiussori della Lemon s.r.l., in riferimento alle obbligazioni da quest’ultima assunte verso Unicredit s.p.a. in base ad un contratto di mutuo.
I signori COGNOME e COGNOME proponevano opposizione avverso tale decreto contestando le fideiussioni prodotte da controparte eccependone l’estinzione ex. art. 1957 c.c. e lamentando la mancanza di buona fede della banca nella gestione del credito.
Con la memoria ex art. 183 c.p.c., gli opponenti denunciano, altresì, la nullità del contratto di mutuo per non essere stato esso sottoscritto dalla banca, nonchè la simulazione del medesimo contratto per essere stato preordinato all’estinzione del pregresso debito in conto corrente della Lemon s.r.l.
Infine, in comparsa conclusionale, il COGNOME e la COGNOME denunziavano, la nullità delle fideiussioni per la violazione della normativa antitrust.
Con sentenza n. 2053/2018 il Tribunale di Monza rigettava l’opposizione.
Avverso tale sentenza i signori COGNOME e COGNOME hanno proposto appello lamentando che il Tribunale ha errato: a) nel ritenere necessaria la querela di falso e non sufficiente il semplice disconoscimento delle copie prodotte delle fideiussioni; b) nel considerare valido il contratto di mutuo nonostante l’assenza della sottoscrizione della Banca; c) nel non aver rilevato la nullità del contratto di mutuo per simulazione e mancanza di causa; d) nel non aver accertato la nullità delle fideiussioni per violazione della normativa antitrust; per non aver dichiarato la decadenza ex. art. 1957 c.c. nè ravvisato la mancanza di prova del quantum del debito derivante dal contratto di mutuo.
2.1. Con la sentenza n. 2036/2020, del 3 agosto 2020, la Corte d’Appello di Milano, ha rigettato il gravame confermando la sentenza del Tribunale.
Ha ritenuto che gli appellanti avessero genericamente contestato la conformità delle copie fotostatiche agli originali, senza averle disconosciute e sollecitando, solo in grado di appello, l’ordine di esibizione da impartire all’Abi, all’Autorità Garante e alla Banca d’Italia, producendo successivamente lo schema Abi, in aperta violazione della preclusione dettata all’art. 345, terzo comma, cpc.
Ha rilevato non essere stata prodotta nel giudizio alcuna documentazione relativa a programmi di investimenti da finanziare e, che in ogni caso, la qualificazione del contratto quale mutuo convenzionale di scopo richiedeva una connotazione della disciplina negoziale che non si rinviene nel contratto in atti.
Ha escluso che vi fossero nullità da rilevare d’ufficio non corrispondendo la fideiussione a quelle contenute nei modelli predisposti dall’ABI.
Avverso la suindicata sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, illustrati da memoria.
3.1. UniCredit s.p.aRAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso e deposita, anche, memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano ‘omesso rilievo officioso della nullità del mandato conferito da Unicredit s.p.a. RAGIONE_SOCIALE Dobank s.p.a. (ora Dovalue s.p.a.) per violazione degli artt. 1418, 1346 e 1324 c.c.; conseguente nullità della sentenza e dell’intero processo per violazione degli artt. 24, 111 Cost. e degli artt. 77, 182, 183 co. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360 n.4 c.p.c.’
Denunciano che il processo è viziato da nullità assoluta, essendo stato instaurato dalla mandataria Dobank s.p.a. in forza di procura nulla, ex art. 1346 c.c., per indeterminatezza e indeterminabilità dell’oggetto là dove risulta nella medesima operato il mero riferimento alla gestione dei così detti ‘crediti anomali’.
Contestano che la procura non sia stata sottoscritta dalla rappresentante legale di Unicredit, ma da due semplici rappresentanti, i quali non hanno allegato la documentazione attestante i poteri loro conferiti nè gli atti legittimanti la loro attività procuratoria. Tale documentazione, peraltro, non è stata prodotta neppure durante il processo. Pertanto non essendo questo vizio sanabile ai sensi dell’art. 182 c.p.c., in sede di giudizio di legittimità, l’intera attività processuale, compreso il decreto ingiuntivo, risulta viziata da nullità.
4.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti prospettano lamentano la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., per motivazione apodittica ed illogica inerente all’affermazione della specificità dell’effettuato disconoscimento delle copie fotostatiche delle fideiussioni ex. art. 2719 c.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
La Corte d’Appello avrebbe sbagliato nel considerare non valido, perché troppo generico, il disconoscimento delle copie fotostatiche delle fideiussioni prodotte in giudizio. Secondo i ricorrenti il giudice non ha spiegato quali elementi specifici mancassero per qualificare quella dichiarazione come un vero e proprio disconoscimento. Inoltre, la corte d’appello avrebbe sbagliato nel ritenere privo di rilievo, sulla base di questa prima conclusione errata, il motivo che sosteneva la necessità della forma scritta per il contratto di fideiussione.
4.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano l’omessa dichiarazione di nullità del contratto (di mutuo chirografario ovvero del pactum de non petendo ) privo della sottoscrizione della banca, necessaria ad substantiam . Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1325 n. 4 c.c. e degli artt. 10, 115 e 117 T.U.B. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
La Corte d’Appello, al fine di sostenere la validità del contratto di mutuo, nonostante l’assenza della sottoscrizione della banca, ha erroneamente qualificato quest’ultimo come contratto bancario. Così facendo, il Giudice avrebbe erroneamente applicato al contratto la disciplina prevista in tema di validità dei contratti monofirma ‘finanziari -quadro’ e ‘bancari di durata’.
Il contratto di mutuo, al contrario, non rientrerebbe tra i tipici contratti bancari e, inoltre, la giurisprudenza richiamata dal Giudice del merito farebbe riferimento ai servizi finanziari e ai contratti bancari di durata, non potendosi estendere semplicisticamente a fattispecie contrattuali diverse come, in particolare, quella oggetto di causa.
Si aggiunga come, secondo i ricorrenti, la dichiarazione di aver ricevuto copia del contratto sarebbe ininfluente ai fini della soddisfazione della disciplina prevista dal T.U.B. L’obbligo di consegna del documento, infatti, sarebbe ulteriore e non
succedaneo, prevedendo la presenza di un atto già formalmente concluso.
La Corte d’Appello avrebbe errato, inoltre, nel ritenere la disciplina dei contratti bancari del tutto analoga a quella dei contratti di mutuo. Nonostante l’analogia delle previsioni ex. art. 23 T.U.F. ed ex. art. 117 T.U.B., infatti, le discipline non potrebbero considerarsi analoghe nella loro interezza essendo basate su ratio e ragioni diverse: da una parte, protezione e chiarezza, dall’altra, garanzia generale e di ordine pubblico economico. Inoltre, la nullità ex. art. 23 T.U.F. sarebbe da considerarsi relativa e da interpretarsi in termini funzionali più che strutturali mentre quella ex. art. 117 T.U.B. sarebbe assoluta.
Infine, la produzione in giudizio del contratto di mutuo non potrebbe, secondo i ricorrenti, surrogare la mancanza della firma, non essendo parte del giudizio l’altra parte contrattuale.
4.4. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano, in subordine al terzo motivo, l’invalidità del contratto come mutuo chirografario essendo un pactum de non petendo ad tempus . Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1813, 1814, 1834, 1852, 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
La sentenza impugnata non avrebbe affrontato la questione dell’eccepito difetto della traditio della somma mutuata, difetto che comporterebbe la nullità del contratto oggetto di causa.
Sarebbe stato, infatti, provato documentalmente e non contestato che la somma erogata sarebbe stata usata interamente dalla banca a copertura del contestualmente revocato fido di conto corrente. Non essendo la somma, quindi, mai entrata nell’effettiva disponibilità della garantita, sarebbe integrata la violazione dell’art. 1814 c.c.
Inoltre, il contratto di mutuo sarebbe in realtà da definirsi quale pactum de non petendo ad tempus . Secondo l’orientamento della presente Corte, infatti, il ripianamento di un debito a mezzo di un
nuovo credito non dà vita ad un nuovo contratto di mutuo ma configurerebbe un pactum de non petendo ad tempus , mancando l’effettivo passaggio delle somme da un patrimonio all’altro.
Inoltre, secondo i ricorrenti, poiché il contratto risulta collegato al fido di conto corrente, sarebbe stato violato il principio dell’onere probatorio ex. art. 2697 c.c., non essendo stata fornita la prova del diritto azionato e del quantum attraverso la documentazione dello svolgimento dell’intero rapporto di conto corrente bancario e del relativo saldo.
4.5. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano, in via subordinata, la respinta domanda di dichiarazione di decadenza ex. art. 1957 c.c. dalle garanzie fideiussorie, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1957, 1370 e 2935 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
In considerazione dell’efficacia ex tunc della nullità assoluta del contratto, il termine decadenziale dalle garanzie fideiussorie ex art. 1957 c.c. sarebbe iniziato a decorrere dalla data di accreditamento effettuato dalla banca su conto corrente avvenuto in data 31 maggio 2011 o, in subordine, dalla data di scadenza delle singole rate non pagate dalla RAGIONE_SOCIALE mentre il primo atto giudiziale per il recupero è intervenuto oltre i termini.
La Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che il termine iniziasse a decorrere non dalla scadenza delle singole rate ma dalla data della raccomandata con cui la banca ha risolto il contratto.
Secondo i ricorrenti, infatti, sarebbe da confutare la tesi di chi interpreta il disposto ex. art. 2935 c.c. ‘dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere’ nel senso di far decorrere il termine non dalla data di scadenza delle singole rate ma dalla scadenza dell’ultima in quanto l’obbligazione sarebbe unica e la suddivisione in rate costituirebbe solo una modalità di agevolazione dell’esecuzione. Al contrario, tale suddivisione sarebbe elemento essenziale e caratterizzante del contratto di mutuo.
Infine, il testo dell’art. 1957 c.c. sarebbe ricompreso nel modulo bancario sotto il titolo di ‘condizioni contrattuali più significative’ e, conseguentemente, dovrebbe prevalere sulle diverse condizioni contrastanti eventualmente presenti.
I motivi, congiuntamente esaminati, sono tutti inammissibili sotto plurimi profili.
Innanzitutto, il ricorso non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366, primo comma n. 3, cod. proc. civ., che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione capace di garantire alla Corte di cassazione una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 18/05/2006, n. 11653). La prescrizione del requisito non soddisfa un’esigenza di mero formalismo, ma è votata a consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. n. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’articolo 366 comma primo n. 3 cod. proc. civ. è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della
sentenza impugnata. Ebbene il ricorso, nell’esposizione del fatto, non rispetta tali contenuti.
5.1. In secondo luogo, è stato formulato in modo non conforme alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6 c.p.c., stante l’inosservanza dei principi di specificità, anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, COGNOME e altri c/ Italia, la quale ha ribadito, in sintesi, che il fine legittimo, in linea generale ed astratta, del principio di autosufficienza del ricorso è la semplificazione dell’attività del giudice di legittimità unitamente alla garanzia della certezza del diritto e alla corretta amministrazione della giustizia investendo questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario, esso (il principio di autosufficienza) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950): requisito che può essere concretamente soddisfatto anche fornendo nel ricorso, in ottemperanza dell’art. 369, comma 2°, n. 4 cod. proc. civ., i riferimenti idonei ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati rispettivamente, i documenti e gli atti processuali su cui il ricorso si fonda’ (Cass. 19/04/2022, n. 12481);
Qualunque sia il tipo di errore denunciato (in procedendo o in iudicando), il ricorrente ha l’onere di indicare specificatamente, a pena di inammissibilità, i motivi di impugnazione, esplicandone il contenuto e individuando, in modo puntuale, gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda, oltre ai fatti che potevano condurre, se adeguatamente considerati, ad una diversa decisione. E ciò perché il ricorso deve contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e
sufficienza della motivazione della decisione impugnata (v. Cass. civ., Sez. III, Ord., 8/08/2023, n. 24179; Cass. civ., Sez. III, Ord., 13/07/2023, n. 20139; Cass. civ., Sez. V, Ord., 10/07/2023, n. 19524; Cass. civ., Sez. V, Ord., 22/06/2023, n. 17983; Cass. civ., Sez. I, Ord., 25/05/2023, n. 14595; Cass. civ., Sez. III, Ord., 14/02/2023, n. 4571; Cass. civ., Sez. V, 20/07/2022, n. 22680; Cass. civ., Sez. 1, 19/04/2022, n. 12481; Cass. civ., Sez. V, Ord., 13/01/2021, n. 342; Cass. civ., Sez. 1, 10/12/2020, n. 28184; Cass. civ., SS. UU., 27/12/2019, n. 34469). Nel caso di specie il ricorrente si è limitando a generici riferimenti che non consentono a questa corte di verificare autonomamente i presupposti delle censure sollevate. Tale carenza compromette l’intelleggibilità dei motivi di ricorso impedendo a questa Corte di svolgere il proprio compito di controllo senza ricorrere ad un’attività integrativa non consentita. In particolare, il ricorrente richiama genericamente il contenuto di atti e prove omettendo di specificare se dove tali elementi siano stati sottoposti all’attenzione del giudice di merito Le censure, inoltre, sono inammissibili perché il ricorrente, che denunci il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., deve non solo indicare le norme di legge asseritamente violate ma anche esaminarne il contenuto precettivo e confrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, richiamandole in modo specifico (cfr. ex multis Cass. S.U. n. 23745/2020; Cass. civ., Sez. I, Ord., 20/12/2022, n. 37257; Cass. civ., Sez. VI-2, Ord., 11/03/2022, n. 8003).
6. Le spese del giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo a favore della controricorrente seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che liquida in complessivi Euro 4.300 di cui 4.100 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza