Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31815 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31815 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 27130-2022 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e domiciliata ‘ex lege’ presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2389/2022 della CORTE DI APPELLO di MILANO, pubblicata il 06/07/2022;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 15.9.2017 COGNOME NOME conveniva in giudizio dinanzi il Tribunale di Milano COGNOME NOME chiedendo disporsi scioglimento della comunione ereditaria relativa alla successione del padre COGNOME NOME
Si costituiva la convenuta, indicando altri beni da comprendere nell’asse relitto dal de cuius e invocava, in via riconvenzionale, la riduzione di alcune donazioni ricevute dall’attore in vita del padre e la condanna del medesimo al versamento di una indennità per il godimento dei beni oggetto delle disposizioni liberali contestate, dei quali aveva avuto il godimento esclusivo.
Con sentenza n. 7808/2020 il citato Tribunale rigettava le domande riconvenzionali dell’odierna ricorrente, disponeva lo scioglimento della comunione e fissava le quote ed i relativi conguagli.
Con la sentenza impugnata, n. 2389/2022, la Corte di Appello di Milano rigettava il gravame interposto dalla COGNOME NOME avverso la decisione di prime cure, condannandola alla rifusione delle spese del grado.
Ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza COGNOME NOME COGNOME affidandosi ad un unico articolato motivo, suddiviso in tre profili.
La parte intimata non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
A seguito della formulazione di proposta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. la parte ricorrente, con istanza depositata in il 22.04.2024 dal suo difensore munito di apposita procura special, ha chiesto la decisione del ricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’unico motivo di ricorso si articola in tre parti, rispettivamente contraddistinte con le lettere A, B e C.
Il primo punto, indicato con la lettera ‘A’, è in realtà dedicato alla narrazione del giudizio di merito ed alla sommaria esposizione del fatto, e non contiene alcuna censura specifica rispetto al contenuto della decisione impugnata. Esso, quindi, può essere ricondotto all’assolvimento dell’onere di cui all’art. 366, primo comma, lettera c) , c.p.c. e si risolve in un ‘non motivo’ , dovendosi ribadire, in argomento, il principio secondo cui ‘ La proposizione, mediante ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso, risolvendosi in un non motivo ‘ (cfr., per tutte, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 15517 del 21/07/2020).
Il secondo punto, indicato con la lettera ‘B’, contiene invece la deduzione del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe confermato la decisione di prime cure, che aveva apoditticamente ritenuto condivisibili le valutazioni e le conclusioni del C.T.U., senza tener conto delle specifiche censure che l’odierna ricorrente aveva mosso all’operato dell’ausiliario.
La censura è inammissibile, perché la proponibilità del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., è preclusa in presenza di una ipotesi di cd. ‘doppia conforme’. Va considerato, sul punto, che la
ricorrenza dell’ipotesi prevista dalla disposizione di cui all’art. 348-ter c.p.c., ratione temporis applicabile, è confermata dal fatto che la stessa parte ricorrente, nel censurare la sentenza impugnata, evidenzia che la stessa si era uniformata a quella di prime cure, che a sua volta aveva deciso il merito della controversia sulla base della C.T.U.
Inoltre, la censura è inammissibile anche perché non è assistita dal richiesto grado di specificità, non avendo parte ricorrente indicato con precisione le doglianze che erano state mosse all’operato del C.T.U., né dato atto che esse erano state sollevate tempestivamente. Va, a tal proposito, ribadito che ‘Le contestazioni ad una relazione di consulenza tecnica d’ufficio costituiscono eccezioni rispetto al suo contenuto, sicché sono soggette al termine di preclusione di cui al comma 2 dell’art.157 c. p. c., dovendo, pertanto, dedursi -a pena di decadenzanella prima istanza o difesa successiva al suo deposito’ (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 19427 del 3/08/2017; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4448 del 25/02/2014 e Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15747 del 15/06/2018). E’, quindi, onere del ricorrente dare atto, nel motivo di ricorso, di aver tempestivamente proposto osservazioni critiche alla C.T.U. e documentare che le stesse, ove non esaminate o non accolte dal Tribunale, siano state riproposte con i motivi di appello.
Il terzo punto, indicato con la lettera ‘C’, propone infine censure concernenti l’operato del C.T.U., dirette in sostanza a contestare la stima proposta dall’ausiliario.
Anche questa doglianza è generica, poiché la ricorrente non dà atto in modo preciso né del contenuto delle osservazioni critiche che avrebbe mosso all’elaborato peritale, né del preciso momento processuale in cui dette censure sarebbero state per la prima volta formulate, né deduce e dimostra di aver riproposto le predette censure in appello.
Inoltre, ed in ogni caso, il motivo si risolve nella contrapposizione, da parte della ricorrente, di una lettura alternativa del fatto e delle prove rispetto a quella prescelta dal giudice di merito, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014).
Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale, dando atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del
7/04/2014, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023).
In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato nel presente giudizio di legittimità.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., va applicato – come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c. – il solo quarto comma dell’art. 96 c.p.c. (appunto perché l’intimato non ha svolto attività difensive in questa sede), con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento di una somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende, come indicata in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda