Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 922 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 922 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2919/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende, unitamente all’Avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al ricorso
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende, unitamente all’Avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 3307/2020 depositata il 15/12/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, a seguito della segnalazione da parte del commissario giudiziale, all’interno della relazione ex art. 173 l.
fall., della possibile sussistenza di atti di frode (in specie di pagamenti preferenziali e carenze delle attestazioni), rinunciava alla domanda di concordato, prima dell’udienza fissata per la discussione delle relative questioni.
In tale occasione il P.M. depositava istanza di fallimento, a cui faceva seguito la presentazione da parte di RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE di una seconda domanda di concordato.
Il Tribunale di Vicenza, con la sentenza n. 113/2014, rilevava che la procedura concordataria, a seguito della rinuncia della debitrice, era diventata improseguibile e riteneva di dovere esaminare la richiesta di fallimento formulata dal P.M. e non la nuova domanda di concordato, in quanto quest’ultima era stata depositata quando era ancora pendente la precedente procedura concordataria e dopo l’iniziativa assunta dal m agistrato requirente; osservava, in particolare, che la nuova domanda aveva integrato un nuovo e autonomo ricorso e che comunque, anche a volerla considerare una semplice emendatio della precedente, i denunciati atti di frode risultano effettivamente sussistenti.
Dichiarava, pertanto il fallimento della società, ricorrendo i presupposti a ciò necessari.
La Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 10 dicembre 2014, revocava la sentenza di fallimento, ritenendo che lo stesso fosse stato pronunciato in assenza di una valida domanda, dato che la richiesta sulla base della quale era stato dichiarato il fallimento era stata formulata dal P.M. al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 173 l. fall., giacché la procedura di concordato preventivo certamente non era più in essere al momento della richiesta, e non era riconducibile alla disciplina prevista dall’art. 7 l. fall..
Questa Corte, con ordinanza n. 12855/2019, cassava tale decisione, reputando che la richiesta di fallimento formulata dal P.M.
dopo la rinuncia del debitore e prima della dichiarazione di improcedibilità da parte del tribunale (come accaduto nella fattispecie
in esame) – mantenga comunque la propria efficacia anche oltre tale dichiarazione e si ponga quale valida iniziativa per una successiva ed eventuale dichiarazione di fallimento del debitore rinunciante.
4. La Corte d’appello di Venezia, a seguito della riassunzione del giudizio, rilevava, quanto alla sorte della seconda domanda di concordato, che anche a voler ritenere che il debitore possa depositare una seconda domanda di concordato a seguito della rinunzia a una precedente analoga domanda (dopo l’apertura del subprocedimento di cui all’art. 173 l. fall. per atti di frode) prima che il tribunale dichiari l’estinzione della procedura concordataria rinunciata, la rinnovata domanda deve dare conto che la stessa è stata depurata dai vizi che la contraddistinguevano (e dunque, nel caso di specie, doveva rappresentare l’avvenuto recupero dell’attivo sottratto attraverso l’effettuazione di pagamenti preferenziali di crediti concorsuali).
Constatava che, nel caso di specie, la nuova domanda non conteneva una simile emenda, limitandosi a contestare la sussistenza e la rilevanza degli atti di frode segnalati dal commissario giudiziale, e riteneva, di conseguenza, mancanti le condizioni prescritte per l’ammissibilità del secondo concordato e corretta la decisione del primo giudice di procedere all’esame dell’istanza di fallimento presentata dal P.M..
Rigettava, infine, la domanda di revoca della nomina quale curatore della stessa persona che aveva già ricoperto la carica di commissario giudiziale, sia perché la citazione dello stesso in giudizio per danni era stata assunta senza l’autorizzazione del G. D., sia perché tutti gli addebiti mossi al commissario giudiziale esulavano dai poteri/doveri riservati a tale organo della procedura e non era ravvisabile alcuna situazione di incompatibilità per conflitto di interessi.
5. RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di rigetto del reclamo, pubblicata in data 15 dicembre 2020, prospettando cinque motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
Considerato che:
6. Il secondo motivo di ricorso -da cui occorre prendere le mosse in applicazione del principio della ragione più liquida – assume, a mente dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.: la Corte distrettuale, in tesi, ha omesso di pronunciarsi con riguardo alla successione tra richiesta di fallimento e seconda proposta concordataria ed al fatto che il tribunale, trovandosi a esaminare sia l’istanza di fallimento del P.M. che la nuova domanda di concordato, avrebbe dovuto dare priorità a quest’ulti ma; la Corte d’appello, perciò, avrebbe dovuto revocare la declaratoria di fallimento, per violazione del principio di prevenzione, e rimettere gli atti al tribunale perché valutasse la possibilità di aprire la seconda procedura concordataria. La Corte d’appello, inoltre, ha palesemente travalicato i limiti delle domande avanzate dalle parti, perché ha dichiarato l’inammissibilità della seconda domanda concordataria (in ragione del mancato superamento dei pretesi vizi che avevano dato adito al procedimento ex art. 173 l. fall. nell’ambito del precedente concordato), ingerendosi nell’ambito di indagine di competenza del solo tribunale, piuttosto che revocare il fallimento, per violazione del principio di prevenzione.
Il motivo è fondato.
7.1 Nel caso di specie il tribunale non ha pronunciato sulla seconda domanda di concordato, ritenendola inammissibile in rito, in quanto, come dà conto la decisione impugnata, era stata ‘ riproposta mentre era ancora pendente la prima procedura concordataria e quando il tribunale non l’aveva ancora dichiarata estinta o improseguibile ‘ (pag. 5 della sentenza impugnata); nell’economia di una simile decisione il ricorrere degli atti di frode denunciati dal commissario giudiziale era stato valutato dal tribunale soltanto per l’ipotesi in cui si fosse voluto
considerare la nuova domanda come una semplice emendatio libelli (come precisa la sentenza impugnata a pag. 3).
La Corte d’appello, nel prendere in esame la questione relativa alla sorte da attribuire alla seconda domanda di concordato, non ha confermato la statuizione resa dal primo giudice, ma si è interrogata sul ricorrere delle condizioni per la sua ammissibilità, ritenendo che la rinnovata domanda concordataria potesse avere corso se e nella misura in cui avesse dato conto dell’eliminazione dei vizi che avevano determinato, rispetto alla precedente iniziativa, l’apertura del procedimento ex art. 173 l. fall..
In questo modo la Corte distrettuale ha finito per ritenere ammissibile in rito la seconda domanda di concordato presentata, decretandone però l’inammissibilità nel merito, senza curarsi di prendere in esame la domanda della società debitrice con cui era stata chiesta, previa revoca del fallimento, che gli atti fossero rimessi al Tribunale di Vicenza per la pronuncia del decreto di cui all’art. 163 l. fall. rispetto alla più recente domanda di concordato (v. pag. 2 della decisione impugnata).
7.2 La questione che viene in esame riguarda la possibilità per la Corte d’appello, nel caso in cui ravvisi l’ammissibilità in rito di una domanda di concordato giudicata, invece, inammissibile dal tribunale, di scrutinarla direttamente nel merito piuttosto che rimetterla al primo giudice.
Una simile questione, a parere del collegio, esula dalla disciplina di cui all’art. 354 cod. proc. civ., secondo cui il doppio grado di giurisdizione, fatta eccezione per le ipotesi tassative previste dagli artt. 353 e 354 cod. proc. civ., non richiede che la causa sia decisa nel merito, sotto ogni profilo, in duplice istanza, in modo che il giudice di appello possa occuparsi delle sole questioni già decise, ma esige solamente che la lite sia sottoposta alla cognizione di due giudici (Cass. 13733/2014, Cass. 13426/2004, Cass. 15373/2000).
Questi principi, infatti, presuppongono la regola secondo cui la nullità della sentenza di primo grado si converte nell’apposito mezzo di gravame ex art. 161 cod. proc. civ., cosicché il giudice d’appello, una volta constatata la nullità denunciata, non può rimettere la causa al precedente giudice, se non nei casi tassativamente previsti, ma è invece tenuto a deciderla egli stesso nel merito.
Il necessario fondamento di questa regola è che il giudice di appello possa pronunciarsi con eguali e coincidenti poteri del primo giudice nel momento in cui constati il vizio che affligge la decisione di primo grado.
Questa condizione non ricorre nel caso di specie.
7.3 Secondo la giurisprudenza di questa Corte la pendenza di una procedura di concordato preventivo risulta di temporaneo ostacolo alla pronuncia di fallimento ad opera del tribunale (Cass., Sez. U., 9935/2015) e solo una volta venuta meno la procedura concorsuale minore, per qualsiasi ragione, si esaurisce il motivo ostativo alla declaratoria di insolvenza.
Se, dunque, la pronuncia sul concordato costituisce il presupposto processuale perché il tribunale possa pronunciarsi sull’istanza o richiesta di fallimento, allora nel caso di specie la statuizione di ammissibilità, in rito, della domanda di concordato ad opera della Corte d’appello ha ripristinato l’ostacolo processuale alla declaratoria di insolvenza, in quanto non solo ha riformato la decisione sulla procedura minore, ma ha fatto pure venire meno, nel contempo, il presupposto processuale su cui tale dichiarazione si fondava.
7.4 Ciò posto, occorre poi constatare che la normativa fallimentare non prevede in alcun modo che la Corte d’appello in sede di reclamo possa provvedere – per la prima volta e direttamente, senza che sulla questione il primo giudice si sia mai pronunciato – a valutare l’ammissibilità di una procedura concorsuale (e disporne l’apertura, adottando tutte le conseguenti statuizioni).
Prova ne sia il fatto che la Corte d’appello non può dichiarare direttamente il fallimento, ma soltanto pronunciarsi su una statuizione negativa di rigetto dell’istanza di fallimento già assunta dal tribunale, a mente dell’art. 22 l. fall. (rimettendo gli atti al tribunale per la relativa declaratoria, salvo che quest’ultimo accerti il venir meno, nel frattempo, di alcuni dei necessari presupposti); la Corte distrettuale provvede allo stesso modo in sede di reclamo avverso la dichiarazione di fallimento emessa, ex art. 162, comma 2, l. fall., sul presupposto dell’inammissibilità della proposta di concordato preventivo, quando accolga l’impugnazione, in applicazione analogica dell’art. 22 l. fall. (cfr. Cass. 11014/2013; in termini analoghi, in caso di riforma di un provvedimento di diniego di omologazione di un concordato preventivo reso dal tribunale, si veda Cass. 15859/2014).
Se la Corte d’appello, in sede di reclamo, non può dichiarare il fallimento (o dichiarare aperto il concordato od omologare il medesimo) direttamente e senza che sulla questione si sia pronunciato il tribunale, del pari la Corte distrettuale non può pronun ciarsi in ordine all’ammissibilità della procedura concordataria minore se la questione non sia stata già vagliata dal tribunale, a cui rimane demandato il compito di verificare l’eventuale venir meno di un simile ostacolo procedurale alla dichiarazione di insolvenza.
Una simile disciplina costituisce un’eccezione al carattere devolutivo del reclamo che trova giustificazione nella competenza funzionale, inderogabile ed esclusiva attribuita dalla legge al tribunale in ordine alla pronuncia del provvedimento di ammissione di una procedura concorsuale.
Pertanto, la Corte d’appello, nel caso in cui ritenga ammissibile in rito una domanda di concordato preventivo andando di contrario avviso da quanto opinato in proposito dal tribunale, deve rimettere la stessa al primo giudice perché la valuti nel merito; ciò a prescindere dal giudizio che si intenda dare sulla domanda concordataria (e dunque anche nel caso in cui, come nella specie, il collegio del reclamo la
ritenga inammissibile), non potendosi configurare la disciplina dell’impugnazione in termini diversi secundum eventum , a seconda della soluzione che si intenda attribuire alla questione in esame.
7.5 In conclusione, deve essere affermato il seguente principio: la Corte d’appello, in sede di reclamo avverso una statuizione del tribunale che abbia ritenuto inammissibile in rito una domanda di concordato dichiarando poi il fallimento, ove ritenga di accogliere l’impugnazione, deve rimettere la causa al tribunale per l’esame della stessa nel merito e non può prenderla direttamente in esame.
Un simile principio è coerente con quanto già recentemente statuito da questa Corte con l’ordinanza n. 12542/2023, laddove la stessa spiega, al § 26, che ‘ poiché la pendenza di tale domanda impedisce temporaneamente la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi di uno degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 l. fall., la valutazione in ordine alla sua eventuale inammissibilità – sotto quals ivoglia profilo, ivi compreso quello dell’abuso dello strumento concordatario -spetta indubitabilmente al medesimo tribunale investito della decisione sul fallimento e non può essere compiuta per la prima volta dal giudice del reclamo ‘.
Il rilievo ha carattere assorbente e rende superfluo l’esame degli ulteriori motivi di ricorso presentati.
La sentenza impugnata, dunque, deve essere cassata, con rinvio della causa al Tribunale di Treviso, il quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Treviso in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in data 12 dicembre 2023.