Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 24028 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 24028 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12367/2023 R.G. proposto da:
NOME COGNOME NOME, NOME, COGNOME NOME, NOME, NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME (EMAIL) e COGNOME NOME
(EMAIL), giusta procura speciale in calce al ricorso.
–
ricorrenti – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso.
–
contro
ricorrente – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro n. 539/2023 depositata il 09/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che
RAGIONE_SOCIALE, proprietaria di un vasto comprensorio di aree con destinazione turistico-residenziale in agro del Comune di Cassano allo Ionio, località Bruscata Piccola, aveva stipulato con i signori NOME NOME (nato nel DATA_NASCITA) e NOME, nonché con il sig. COGNOME NOME, poi deceduto, un accordo avente ad oggetto l’utilizzazione a titolo di comodato oneroso di una parte delle suddette aree.
L’accordo era poi stato prorogato più volte su richiesta dei NOME e, da ultimo, rinnovato in data 10 gennaio 2008, quando le parti stipulavano un ‘Atto ricognitivo’ con il quale RAGIONE_SOCIALE concedeva a controparte in comodato oneroso – per la durata di sei mesi – il terreno della superficie di ha 96 circa, identificato al N.C.T. del comune di Cassano allo Ionio al foglio n. 44, particelle (parte di ognuna, cfr. ancora doc. 1) nn. 16, 24, 27, 126, 164, 165, 166, 207, 210, 211, 239, 468, 487, 488, 148, 20.
Alla scadenza i NOME chiedevano il rinnovo del contratto, senza tuttavia pervenire a stipulare alcun accordo e, successivamente, adivano l’Autorità Giudiziaria per far accertare e riconoscere la natura di patto agrario all’accordo stipulato in precedenza e, di conseguenza, la sua durata legale con i successivi rinnovi.
Ne seguiva un contenzioso, definito con sentenza del Tribunale di Castrovillari n. 1053/2010, poi confermata in appello e, successivamente, in Cassazione.
2.1. Secondo la sentenza del Tribunale di Castrovillari n. 1053/2010 il contratto intervenuto tra le parti aveva ‘natura di contratto di affitto agrario’ con durata quindicennale decorrente dall’11 maggio 1990 e scadenza 10 maggio 2020; pertanto, RAGIONE_SOCIALE prendeva atto di tali decisioni e richiedeva quindi ai NOME il pagamento della complessiva somma di euro 117.036,50 per i canoni non pagati dal 10 gennaio 2008 al 30 giugno 2016, comprensivo di interessi e rivalutazione.
Perdurando l’inadempimento dei NOME, RAGIONE_SOCIALE quindi richiedeva ed otteneva il decreto ingiuntivo n. 673/2019 ed all’esito dei giudizi di opposizione proposti da NOME e NOME e dagli eredi di NOME NOME, con sentenza del 12 gennaio 2021, il Tribunale di Castrovillari condannava gli opponenti al pagamento della somma dovuta ad RAGIONE_SOCIALE ed al rimborso delle spese di lite, sentenza poi confermata dalla sentenza n. 1473/2021 dalla Corte d’Appello di Catanzaro, sa lvo che sotto il profilo della solidarietà passiva dell’obbligazione di pagamento.
3.1. Avverso tale ultima decisione i NOME proponevano ricorso per cassazione; con ordinanza del 9 febbraio 2023, n. 4064, questa Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso e, conseguentemente, la perdita di efficacia del ricorso incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE.
In pendenza del giudizio sopra richiamato i NOME continuavano a godere dell’uso del terreno di RAGIONE_SOCIALE senza corrispondere quanto dovuto, neanche con riferimento al periodo successivo al 30 giugno 2016.
Stante il persistente inadempimento ed in considerazione dell’approssimarsi della scadenza contrattuale, RAGIONE_SOCIALE intimava ai
NOME formale disdetta dell’accordo a suo tempo stipulato, chiedendo ai conduttori la restituzione delle aree alla scadenza contrattuale del 10 maggio 2020.
Nonostante la formale disdetta dell’accordo, la regolare convocazione per la restituzione delle aree e l’assenza di rilievi in ordine alla disdetta intimata, le aree non venivano riconsegnate -anzi era stato opposto un formale rifiuto- né è stato pagato il relativo canone di affitto fino alla scadenza e neppure l’indennità dovuta successivamente per l’abusiva occupazione delle aree.
RAGIONE_SOCIALE adiva quindi nuovamente il Tribunale di Castrovillari, mentre si costituivano, resistendo, i NOME, fatta eccezione per NOME, rimasta contumace.
7.1. Con sentenza n. 850 del 22 giugno 2022 il Tribunale di Castrovillari, in accoglimento delle domande proposte da RAGIONE_SOCIALE, così pronunciava: ‘Dichiara cessato alla data del 10.5.2020 il contratto di affitto del fondo rustico sito nel Comune di Cassano allo Ionio e riportato in catasto al foglio di mappa n. 44, particelle nn. 16, 24, 27, 126, 164, 165, 166, 207, 210, 211, 239, 468, 487, 488 20, meglio descritto in atti; Ordina ai resistenti di rilasciare -in favore di parte ricorrente -il fondo di cui al punto che precede entro il 10.11.2022; Condanna NOME COGNOME (classe DATA_NASCITA) e NOME COGNOME al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE in persona del l.r.p.t.: a) di € 9.000,00 ciascuno, oltre interessi legali dalla scadenza di ogni singola annata come indicata in parte motiva al saldo effettivo, a titolo di canoni di locazione; b) di € 3.600 ciascuno per l’annata successiva alla scadenza del contratto (maggio-aprile 2021), oltre interessi dal 16.6.2021 al saldo effettivo; oltre alla so mma di € 3.600,00 per ogni annata successiva sino al rilascio, oltre interessi dal termine di ciascuna di dette annate al saldo, a titolo di indennità di occupazione; Condanna COGNOME al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE in persona del l r.p.t.: a) di € 3.000,00, oltre interessi legali dalla scadenza di ogni singola annata come indicata in parte motiva al saldo effettivo, a titolo di canoni di locazione; b) di € 1.200 per l’annata successiva alla scadenza del contratto (maggio 2020 -aprile 2021), oltre interessi dal
16.6.2021 al saldo effettivo, oltre alla somma di € 1.200 per ogni annata successiva sino al rilascio, oltre interessi dal termine di ciascuna di dette annate successive al saldo, a titolo di indennità di occupazione; Condanna NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE in personal del l.r.p.t. di € 10,77 ciascuno per l’annata 2021 -2022 a titolo di indennità di occupazione, oltre interessi dalla scadenza della stessa (30.4.2022) al saldo effettivo, oltre € 1.200,00 c iascuno per ogni annata successiva sino al rilascio; Condanna i resistenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, in favore di RAGIONE_SOCIALE (omissis)’.
Anche tale decisione è stata impugnata in appello da NOME, NOME (nato nel DATA_NASCITA), NOME NOME e NOME NOME (nato nel DATA_NASCITA), mentre NOME è rimasta contumace.
8.1. Con sentenza 3-9 maggio 2023 n. 539 la Corte di Appello di Catanzaro -Sez. specializzata agraria, ha così statuito: ‘La Corte di Appello di Catanzaro, Sezione Specializzata Agraria, definitivamente decidendo sull’appello proposto avverso la sentenza n. 850/2022 emessa dal Tribunale di Castrovillari Sezione Specializzata Agraria in data 22.6.2022, non notificata, e sull’appello incidentale, rigettata ogni altra istanza e domanda, così provvede: 1. Dichiara la contumacia di COGNOME NOME. 2. Rigetta l’appello principale e l’appello incidentale. 3. Condanna gli appellanti in solido al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE delle spese di lite …’.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME, NOME (nato nel DATA_NASCITA), NOME NOME, NOME e NOME (nato nel DATA_NASCITA) propongono ora ricorso per cassazione, affidato a due motivi di ricorso.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
In data 30 gennaio 2024 il Consigliere Delegato ha formulato proposta di definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
In data 12 febbraio 2024 i ricorrenti hanno insistito per la decisione del ricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi
dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
I ricorrenti e la resistente hanno depositato memorie illustrative.
Considerato che
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 12 delle preleggi nonché degli artt. 34 e 99 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.’.
Lamentano che la corte di appello sarebbe incorsa in un triplice errore ritenendo che sulla scadenza del contratto si era formato il giudicato, dovendosi ravvisare: a) il primo errore, nel fatto che il Tribunale di Castrovillari con la sentenza n. 1053/2010 non era stato adito dalle parti in causa per accertare la data di scadenza del contratto, per come si evince dalla motivazione, dal dispositivo e dalle sentenze emesse nei gradi successivi, e segnatamente di quella di appello che ha rigettato la domanda di risoluzione per inadempimento del contratto di comodato , che era stata accolta in primo grado; b) il secondo errore, per non aver rilevato la natura incidentale dell’affermazione, uniformandosi al consolidato principio giurisprudenziale secondo cui l’accertamento incidentale è inidoneo a costituire giudicato (vengono richiamate Cass.4849/2023; 35794/2021); c) il terzo errore, per aver implicitamente ritenuto proposta una domanda (quella di risoluzione del contratto per scadenza) che le parti non avevano proposto.
Censurano pertanto l’impugnata sentenza là dove ha affermato l’esistenza di un giudicato esterno e così ha trascurato di considerare che, nel procedimento iscritto al n. 2167/2009, il Tribunale di Castrovillari, nell’emettere la sentenza n. 1053/2010, non aveva affrontato e deciso la questione relativa alla data di inizio e di scadenza del contratto agrario, oggetto invece della sentenza n. 850/2022 del Tribunale di Castrovillari.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ‘Motivazione totalmente
mancante o meramente apparente ovvero perplessa ed obiettivamente incomprensibile, emergente dal testo della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 n. 1 -n. 5 nel testo riformulato dall’art. 54 del D.L. 83/2012 convertito con modificazione dalla le gge n. 134/2012′.
Lamentano che a p. 8 della decisione la corte territoriale avrebbe apoditticamente affermato: ‘se la data di instaurazione del rapporto contrattuale è l’11.05.1990, va da sé che il contratto per legge è venuto a scadere una prima volta il 10.5.2005 ed una seconda volta il 10.05.2020’, ma le ragioni giustificatrici della data di scadenza del contratto non risultano esplicitate in alcun modo, mentre era necessaria che venissero indicate in modo chiaro, comprensibile e convincente, col supporto di pertinenti elementi probatori e giuridici, con riferimento, in primo luogo, alla affermata data di inizio del rapporto, (anno DATA_NASCITA), dalla quale è stata poi dedotta la data di scadenza del contratto.
Lamentano quindi che l’impugnata sentenza sarebbe assolutamente priva di motivazione sia in ordine alla data di inizio, che di scadenza del contratto di affitto; inoltre, si dovrebbe pure disattendere, per mancanza di motivazione, l’assunto che, dopo il 20 05, il contratto si sarebbe rinnovato per un quindicennio, con definitiva scadenza al 10 maggio 2020.
Deducono che sarebbe incomprensibile, poi, anche la ragione giuridica per la quale il rapporto si dovrebbe considerare regolato dalla legge 203/82 sin dall’inizio, ossia dal 1990, inferendone poi che era scaduto una prima volta il 2005 e la seconda volta il 2020, in quanto la predetta ricostruzione della genesi e scadenza di un rapporto di affitto é possibile solo se risulta stipulato un contratto nel quale viene indicata espressamente la data di inizio del rapporto (e quindi non nel caso di specie, in cui l’affitto è stato accertato dal Tribunale di Castrovillari con la sentenza -di accertamento costitutivo- n. 1053/2010, alla quale non può riconoscersi efficacia retroattiva).
La corte territoriale avrebbe invece dovuto ritenere che le parti, fino almeno al 2008, erano state legate solo da un contratto di comodato e che fra le stesse è intercorso un contratto di affitto solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza n. 1053/2010 con la quale il Tribunale di Castrovillari aveva
qualificato di natura agraria il rapporto di affitto solo a seguito della pronuncia, e del conseguente passaggio in giudicato, della sentenza con la quale il Tribunale di Castrovillari ha dichiarato, con sentenza confermata dalla Cassazione, che il contratto di comodato in realtà presentava tutti gli elementi del contratto di affitto (sic, p. 20 del ricorso).
Il Consigliere delegato aveva formulato proposta di definizione anticipata del seguente tenore:
‘Considerato che: il primo motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ.; nel giudizio di legittimità, la parte ricorrente che deduca l’inesistenza del giudicato esterno invece affermato dalla Corte di appello deve, per il principio di autosufficienza del ricorso ed a pena d’inammissibilità dello stesso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione (Cass. n. 17310 del 19/08/2020; v. anche, conff., in motivazione, Cass. n. 1398 del 22/01/2021; n. 25971 del 02/09/2022; n. 4793 del 2023; n. 14392 del 2023; n. 18889 del 2023); nella specie, il riferimento che i ricorrenti fanno alle pronunce indicate come fonte di giudicato preclusivo non soddisfano in alcun modo detto onere; il secondo motivo è manifestamente infondato; ciò che vi si deduce esula dal contenuto che al detto paradigma hanno attribuito Cass. Sez. U. n. 8053 e 8054 del 2014, secondo le quali: «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione»; nel caso di specie la motivazione è perfettamente comprensibile; propone la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. con pronu ncia di rigetto’ .
Orbene, la proposta, per come formulata in relazione sia al primo motivo che al secondo motivo, va condivisa.
4.1. In relazione al primo motivo, osserva il Collegio che nell’illustrazione si pretende innanzitutto di individuare il preteso giudicato esterno e di discuterne l’interpretazione, senza riferire in alcun modo quali erano i termini della domanda proposta nel relativo giudizio. Il preteso giudicato viene individuato soltanto attraverso la riproduzione delle cinque righe riprodotte a pag. 6, lett. a), del ricorso.
Il tutto in patente violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ.
Ciò che si dice nelle lettere b) e c) del ricorso dovrebbe individuare i termini della domanda di cui era stato investito il tribunale, ma tale individuazione in disparte che si fa riferimento ad un ricorso del 6.11.2009 rispetto al quale non si adempie all’onere di localizzazione in questo giudizio di legittimità, imposto dall’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. – risulta non solo del tutto generica, ma -soprattutto -non è parametrata in alcun modo al tenore della sentenza del tribunale, cioè non contiene alcuna precisazione circa il modo in cui quella sentenza ha assunto la non meglio individuata domanda come oggetto di decisione. Tale individuazione, cioè l’indicazione del modo in cui nella sentenza il tribunale aveva assunto come oggetto del decidere la domanda, risulta del tutto carente e la carenza si estende al resto dell’illustrazione del motivo. Sicché risulta pienamente corretto quanto rileva la proposta di definizione.
L’indicata carenza rende inoltre incomprensibile il rilievo sub d) della stessa pag. 6 del ricorso, relativo alla sentenza di appello.
Parimenti incomprensibile e non appoggiato al corretto adempimento dell’onere di cui all’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. rimane quanto si argomenta nelle pagine 10 e ss. in punto di preteso accertamento incidentale ai sensi dell’art. 34 cod. proc. civ. non ché in punto di copertura da parte del giudicato del dedotto e deducibile (v. ultima proposizione della p. 11).
Il rilievo di inammissibilità della proposta di definizione anticipata è, dunque, pienamente giustificato.
Il Collegio inoltre osserva che parte ricorrente ha preteso di adempiere all’onere dell’art. 366 , n. 6, cod. proc. civ. evocato dalla proposta di definizione anticipata con il riferimento alla c.d. autosufficienza senza rispettare gli oneri di riproduzione del contenuto del preteso giudicato esterno e ciò sia direttamente sia, com’è consentito dalla norma, anche indirettamente, mediante però rinvio alla parte dell’atto cui l’indiretta riproduzione corrisponde. Il ricorso, che in chiusura indica la produzione della sentenza del tribunale e di quella della corte di appello si risolve in una inammissibile delega a questa Corte a rinvenire Essa in detti atti ciò che in ipotesi sarebbe rilevante ai fini della individuazione dell’esistenza o meno del giudicato int erno.
4.2. Il Collegio, infine, non può esimersi dal rilevare che il primo motivo, se ne fosse stato possibile l’esame sotto il profilo del rispetto dei c.d. requisiti di contenutoforma di cui all’art. 366 cod. proc. civ. e segnatamente di quello del n. 6 (nella cui nuova versione l’onere di riproduzione contenutistica è scolpito espressamente dall’aggettivo ‘specifica’), si sarebbe rivelato ulteriormente inammissibile alla stregua del consolidato principio di diritto di cui a Cass. n. 359 del 2005, espressamente ribadito, sebbene in motivazione non massimata sul punto, anche dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 7074 del 2017. Infatti, l’illustrazione del motivo non si correla all’ampia motivazione della sentenza impugnata, ignorandone i passaggi ed assumendo solo come oggetto di critica le cinque righe a p. 6 lett. a) ed il passaggio a p. 11, ultima proposizione.
4.3. In relazione al secondo motivo, come già condivisibilmente rilevato nella proposta di definizione anticipata, la lettura della motivazione dell’impugnata sentenza consente di escludere l’esistenza di una motivazione apparente o contraddittoria; anzi, sulla base delle decisioni passate in giudicato la sentenza impugnata qualifica il rapporto di natura agraria e lo assoggetta alla disciplina vincolante contenuta nella legge 203/1982.
Privo di pregio è l’assunto dei ricorrenti secondo cui non potrebbe sostenersi che il contratto nel 2005 si è rinnovato per un quindicennio fino al
2020, posto che dopo il primo contratto le ‘parti avevano stipulato annualmente nuovi contratti di comodato oneroso …’; siffatta ricostruzione è infatti smentita da quanto accertato dalla sentenza del Tribunale di Castrovillari passata in giudicato.
In conclusione, il ricorso dev’essere definito con condivisione della proposta di definizione anticipata e deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
Inoltre, i ricorrenti, giusta il terzo comma dell’art. 380 -bis c.p.c., devono essere condannati ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, nella misura parimenti indicata in dispositivo, nonché, ex art. 96, quarto comma, cod. proc. civ. al pagamento di una ulteriore somma, sempre liquidata in dispositivo, in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento in solido, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge. Condanna i ricorrenti al pagamento in solido, in favore della società controricorrente, della somma di euro 3.000,00, ai sensi dell’a rt. 96, comma terzo, cod. proc. civ. Condanna i ricorrenti al pagamento in solido, in favore della Cassa delle ammende, della somma di euro 500, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, del l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile