Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5700 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5700 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 12719-2020 proposto da:
COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante ‘ pro tempore ‘ dell’ RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’ AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
LOCAZIONE AD USO DIVERSO
Inammissibilità del ricorso
R.G.N. 12719/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 21/09/2023
Adunanza camerale
Avverso la sentenza n. 5359/2019 d Venezia, pubblicata il 09/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale 21/09/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
ella Corte d’appello di del
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, in proprio e quale rappresentante legale dell’RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, ‘RAGIONE_SOCIALE), ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 5359/19, del 9 marzo 2020, della Corte d ‘a ppello di Venezia, che -accogliendo solo parzialmente sia il gravame esperito dalla stessa, in via di principalità, avverso la sentenza n. 288/18, del 6 febbraio 2018, del Tribunale di Venezia, sia quello incidentale di NOME COGNOME -ha così provveduto. Essa, nel confermare la risoluzione, per grave inadempimento della predetta RAGIONE_SOCIALE, del contratto del 17 marzo 2008 con cui il COGNOME le aveva lAVV_NOTAIO un immobile sito nel Comune di Mira, da destinarsi a svolgimento dell’attività sportiva, ha comminato, aggiuntivamente, alla medesima (nonché alla COGNOME), la condanna a pa gare al lAVV_NOTAIOre la somma di € 64.765,80, a titolo di canoni non corrisposti, oltre interessi dalla scadenza di ciascuna rata al saldo.
Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente che il COGNOME -sul presupposto che, dall’anno 2010, l’RAGIONE_SOCIALE aveva interrotto completamente il versamento del canone di locazione -intimava alla stessa sfratto per morosità, assumendo di vantare un credito comp lessivo di € 92.661,98, e ciò con riferimento al periodo in cui esso aveva conservato la proprietà dell’immobile (peraltro aggiudicato a terzi, all’esito di
procedura esecutiva immobiliare instaurata da alcuni istituti bancari, creditori del COGNOME, procedura nel corso della quale la dott.ssa NOME COGNOME veniva dapprima nominata custode della ‘ res locata ‘ e poi delegata alla vendita).
Resisteva a tale iniziativa l’intimata RAGIONE_SOCIALE, eccependo l’esistenza di molteplici inadempimenti del lAVV_NOTAIOre, come attestati, assumeva, da specifici precedenti giudiziali intervenuti tra le parti.
Ciò nondimeno, il giudizio di prime cure si concludeva -dopo il diniego dell’ordinanza provvisoria di rilascio e la disposta conversione del rito -con la declaratoria di risoluzione del contratto per inadempimento della conduttrice e la condanna della st essa, e della COGNOME, a pagare la somma di € 168.319,93, oltre interessi, in favore della predetta dott.ssa COGNOME.
Esperito gravame, in via di principalità, dalla COGNOME, nonché -in via incidentale -dal COGNOME (che si doleva del mancato riconoscimento, in proprio favore, dei canoni di locazione maturati e non pagati fino alla vendita all’asta della ‘ res locata ‘, canoni anch’essi, invece, riconosciuti in favore della COGNOME), il giudice di appello provvedeva nei termini sopra indicati. Esso, in particolare, rideterminava -per quanto qui di interesse -l’importo della somma dovuta in favore del COGNOME.
Avverso la sentenza della Corte lagunare ha proposto ricorso per cassazione la COGNOME, sulla base -come detto -di quattro motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’art. 2909 cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata per non aver tenuto conto di alcune pronunce giudiziali, benché vincolanti, attestanti che la
parte locatrice si rese inadempiente all’obbligo di mettere a disposizione dell’RAGIONE_SOCIALE un locale idoneo allo svolgimento dell’attività sportiva. Infatti, avendo la predetta associazione -all’esito di un procedimento di accertamento tecnico preventivo, attestante gli interventi che si sarebbero dovuti compiere nell’immobile a tale scopo provveduto essa stessa ad effettuarli (non essendosi, invece, adoperata in tal senso la locatrice), veniva emesso un decreto ingiuntivo, invano opposto dalla parte locatrice, con il quali si ingiungeva alla stessa di provvedere al rimborso di quanto anticipato da RAGIONE_SOCIALE.
Il giudice di appello, dunque, al pari di quello di prime cure, non avrebbe considerato che, al momento dell’intimazione di sfratto, la sola parte inadempiente doveva ritenersi -in forza delle suddette pronunce, passate in giudicato -quella locatrice. Tali precedenti giudiziali, infatti, non solo legittimavano l’associazione sportiva a sollevare la ‘ exceptio inadimpleti contractus ‘, ma impedivano alla stessa Corte veneziana ‘di indagare sull’inadempimento di parte conduttrice e sull’applicabilità della clausola contrattuale « solve et repete »’, presente nella locazione.
3.2. Il secondo motivo denuncia -sempre ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione di norme di diritto e omesso esame di un fatto decisivo del giudizio con riferimento all’art. 1460 cod. civ.
Ribadisce la ricorrente che gli accertati -giudizialmente e in via definitiva -inadempimenti della parte locatrice avrebbero dovuto comportare, in accoglimento dell’eccezione ex art. 1460 cod. civ., quantomeno ‘una significativa detrazione sui canoni di locazione’.
Avrebbe, dunque, errato la sentenza impugnata nell’affermare che il credito della conduttrice, per essere posto in compensazione, doveva essere ‘quantificato’, essendo, invece,
assorbente il rilievo che la sua esistenza legittimava la locataria a rifiutarsi di adempiere la propria obbligazione di pagamento del canone, ai sensi della disposizione suddetta, e ciò pur in presenza della clausola ‘ solve et repete ‘.
3.3. Il terzo motivo denuncia -sempre ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione di norme di diritto e omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, ancora con riferimento all’art. 1460 cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il motivo di appello relativo al l’omesso scomputo, dal dovuto a titolo di canone, di somma corrispondente alla mancata messa a disposizione al conduttore dei locali posti al primo piano dell’immobile. Esito , questo, al quale la Corte veneziana è pervenuta sul rilievo che non risultava ‘suffragata da alcuna prova’ l’interpretazione invece ‘caldeggiata dall’appellante’ principale -secondo cui la clausola n. 9 del contratto si dovesse ‘interpretare come previsione di un’attività del lAVV_NOTAIOre finalizzata ad ottenere addirittura un cambio di destinazione d’uso di tale parte dell’immobile’. Difatti, sempre secondo la sentenza impugnata, i locali in questione erano stati posti nella disponibilità della conduttrice quali magazzini, conformemente alla loro qualifica catastale, sicché -come affermato dal primo giudice (con rilievo che si assume essere stato condiviso da quello di appello) -essi, in alcun caso, si sarebbero potuti adibire a palestra, tanto da essere stati fatti oggetto non della locazione, ma di un distinto contratto di comodato.
Si tratterebbe, però, di affermazioni in contrasto con il testo del contratto di locazione, che farebbe, invece, specificamente carico alla parte locatrice di provvedere ‘al ripristino’ di tali locali, obbligo rispetto al quale essa si sarebbe resa inadempiente (come, peraltro, confermato dai testi escussi in corso di causa),
non avendo neppure autorizzato la conduttrice ad eseguire tali lavori in sua vece, come da preventivo inutilmente inviatole, secondo quanto sarebbe stato accertato dal consulente tecnico d’ufficio .
L’espletata consulenza, peraltro, avrebbe pure accertato al pari delle testimonianze assunte -l’esistenza di un danno da infiltrazioni, e dunque l’esistenza di un ulteriore inadempimento della parte locatrice che legittimava la conduttrice a sollevare la ‘ exceptio inadempleti contractus ‘, circostanza alla quale, però, il giudice di appello non ha dato rilievo, ritenendola oggetto di una domanda nuova, come tale inammissibile, ‘per mancata richiesta di spostamento di udienza’. Rileva, al riguardo, la rico rrente che tale adempimento non era, invece, necessario, avendo essa rassegnato le proprie conclusioni -che comprendevano la deduzione anche di tale profilo di inadempimento -in ottemperanza al provvedimento con cui il giudice di prime cure, esaurita la fase sommaria della convalida di sfratto, aveva disposto il mutamento del rito.
3.4. Il quarto motivo denuncia -sempre ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione di norme di diritto e omesso esame di un fatto decisivo con riferimento all’appello incidentale avversario
Si duole la ricorrente del fatto che non sarebbe ‘comprensibile’ il ‘percorso logico e soprattutto matematico’ compiuto dalla sentenza impugnata per riconoscere al COGNOME, in accoglimento del suo gravame incidentale, il diritto a conseguire € 64.765,00 a titolo di canoni di locazione.
Ha resistito all’avversaria impugnazione , con controricorso, il COGNOME, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
I difensori della ricorrente hanno fatto pervenire atto di rinuncia al mandato.
Il controricorrente ha depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di conclusioni scritte da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile, in ciascuno dei motivi in cui si articola.
9.1. Il primo motivo è, infatti, inammissibile.
9.1.1. Sul punto, occorre muovere dal rilievo che ‘il principio della rilevabilità del giudicato esterno va coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso; pertanto, la parte ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena d’inammissibilità de l ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione’ (Cass. Sez. 2, sent. 23 giugno 2017, n. 15737, Rv. 644674-01), occorrendo, in particolare, il ‘richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo’ (Cass. Sez. Lav., sent. 8 marzo 2018, n. 5508, Rv. 647532-01).
Peraltro, tali adempimenti non sono i soli imposti dalla norma suddetta, occorrendo, in base ad essa, non solo che il giudicato
esterno ‘risulti dagli atti comunque prodotti nel giudizio di merito’, ma anche che ‘la parte ricorrente che deduca il suddetto giudicato’ provveda ad ‘indicare il momento e le circostanze processuali in cui i predetti atti siano stati prodotti’ (Cass. Sez . Un., sent. 27 gennaio 2004, n. 1416, Rv. 569717-01).
Quest’ultimo adempimento, in particolare, risulta indispensabile anche al fine di stabilire se la questione relativa all’esistenza di un giudicato esterno non debba ritenersi ormai preclusa e, comunque, al fine di stabilire quale sia -se del caso -lo strumento impugnatorio idoneo a farla valere.
Difatti, allorquando ‘con la sentenza di primo grado venga respinta un’eccezione di giudicato esterno e avverso tale capo di sentenza non venga proposta impugnazione, o il giudice ometta di pronunciare sulla eccezione di giudicato esterno e tale eccezione non venga riproposta in appello, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., in applicazione dei princìpi sui limiti devolutivi dell’appello e sul giudicato interno, l’eccezione deve ritenersi rinunciata e sul relativo capo si forma il giudicato parziale interno, con la conseguenza che l’eccezione, quand’anche fosse da ritenersi rilevabile d’ufficio, è definitivamente preclusa’ (Cass. Sez. 2, sent. 3 dicembre 2021, n. 38243, Rv. 66316101). D’altra parte, in caso di giudicato esterno formatosi nel corso del giudizio di secondo grado, ‘qualora la sua esistenza non sia stata eccepita dalla parte interessata, la sentenza d’appello pronunciata in difformità è impugnabile con il ricorso per revocazione ex art. 395, n. 5), cod. proc. c. e non con quello per cassazione, mentre, nelle ipotesi in cui l’esistenza di tale giudicato abbia costituito oggetto di eccezione ritualmente sollevata in giudizio, la sentenza d’appello difforme non è impugnabile con il ricorso per revocazione ma solo con il ricorso per cassazione’ (Ca ss. Sez. 5, sent. 4 ottobre 2022, n. 28733, Rv. 666091-01).
Al netto, dunque, del profilo di inammissibilità derivante dalla mancata riproduzione del testo del provvedimento (o dei provvedimenti) oggetto di giudicato, è la stessa omessa indicazione della sede processuale di adduzione dell a ‘ excpetio rei iudicatae ‘ , oltre che del momento di formazione del giudicato stesso, a comportare che il presente motivo deve ritenersi inammissibile.
Sotto tale profilo, pertanto, si rileva come parte ricorrente ometta di fornire una precisa indicazione, rispettosa dell’art. 366 , comma 1, n. 6), cod. proc. civ., tanto del contenuto e dell’oggetto dei giudicati richiamati (oltre che del modo in cui essi rileverebbero rispetto alle domande proposte nella presente controversia), quanto dei termini in cui erano stati invocati in primo grado, a ciò non bastando il generico accenno, in sede di esposizione del fatto, contenuto a pag. 2 del ricorso,
Del pari, nessuna indicazione sussiste sia del modo in cui, rispetto alla sentenza di primo grado, tali pretesi giudicati fossero stati, nuovamente, invocati in appello, sia della loro localizzazione in questo giudizio di legittimità. Adempimento, quest’ultimo, non meno necessario -sempre ai sensi della norma suddetta -se è vero che ‘ indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicché la mancata «localizzazione» del documento basta per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, senza necessità di soffermarsi sull ‘ osservanza del principio di autosufficienza dal versante «contenutistic o»’ ( cfr., da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 10 dicembre 2020, n. 28184, Rv. 660090-01).
9.2. Il secondo motivo è anch’esso inammissibile.
9.2.1. Esso, per vero, non contiene una chiara individuazione della motivazione oggetto di censura, dato che si limita ad evocare la parola ‘quantificato’ (a pag. 15 del ricorso) e un breve periodo, relativo alle spese per i lucernai (a pag. 18), senza enucleare con precisazione le affermazioni della sentenza impugnata sottoposte a critica, ciò che rende la censura priva di specificità. Difatti, ‘l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura’, non solo ‘di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione’, ma anche ‘di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa’ (Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01).
Inoltre, a confermare l’inammissibilità del motivo qui in esame, deve evidenziarsi che esso si basa, nuovamente, sul l’invocazione d i un preteso giudicato nascente da pronuncia resa dal Tribunale di Venezia, riguardo alla quale, però, vale il medesimo rilievo di inosservanza dell’art. 366 , comma 1, n. 6), cod. proc. civ. -da estendere pure al riferimento agli esiti del procedimento di accertamento tecnico preventivo, anch’esso richiamato nel presente motivo -già svolto nello scrutinare il primo motivo di ricorso.
9.2.2. In ogni caso, il motivo -per come è dato comprenderne la portata, stante i (dirimenti) profili di inammissibilità appena evidenziati -risulta anche infondato.
Nello scrutinarlo, occorre muovere dalla premessa che -come da tempo affermato da questa Corte -la ‘garanzia da eccezioni dilatorie, propria della clausola « solve et repete », non ha un’efficacia tale da paralizzare in toto l’ exceptio inadimpleti contractus , bensì resta correlata all’ambito di operatività dell’ exceptio non rite adimpleti contractus , sicché essa non incide sulla possibilità di far valere la mancata esecuzione, totale o parziale della controprestazione’ (Cass. Sez. 2, sent. 16 luglio 1994, n. 6697, Rv. 487411-01). Ne consegue, pertanto, che la presenza di tale clausola non esonerava il giudice di merito dal dover valutare se la locatrice si fosse resa inadempiente all’obbligo di mettere a disposizione dell’RAGIONE_SOCIALE un locale idoneo allo svolgi mento dell’attività sportiva da essa espletata. Esso, in particolare, era chiamato a porre a confronto i due inadempimenti, quello allegato dal COGNOME a fondamento della domanda di risoluzione del contratto, e quello oggetto della ‘ exceptio inadimpleti ‘ sollevata dalla conduttrice. Difatti, nei contratti con prestazioni corrispettive, ‘in caso di denuncia di inadempienze reciproche, è necessario comparare il comportamento di ambo le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, nonché della conseguente alterazione del sinallagma’, così effettuando un ‘accertament o, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove’, che ‘rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato’ (da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 30 maggio 2017, n. 13627, Rv. 644328-01).
Con specifico riferimento, poi, al contratto di locazione si è ulteriormente precisato che ‘il conduttore può sollevare l’eccezione di inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., non solo quando venga completamente a mancare la prestazione del locat ore ma anche nell’ipotesi di suo inesatto adempimento, tale da non escludere ogni possibilità di godimento dell’immobile, purché la sospensione del pagamento del canone appaia giustificata, in ossequio all’obbligo di comportarsi secondo buona fede, dall’og gettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, avuto riguardo all’incidenza della condotta della parte inadempiente sull’equilibrio sinallagmatico del contratto, in rapporto all’interesse della controparte’ (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 gennaio 2021, n. 2154, Rv. 660438-01).
Orbene, a tale valutazione comparativa non si è sottratta la Corte lagunare, che ha sottolineato la (maggiore) ‘gravità dell’inadempimento del conduttore’, sul rilievo che ‘anche valutando l’esistenza di poste creditorie eventualmente da porre in compens azione’ dovesse valorizzarsi il fatto che il medesimo ‘aveva continuato a fruire regolarmente del godimento dell’immobile’, tanto da aver ‘continuato a svolgere, ininterrottamente, attività commerciale’, e ciò ‘omettendo del tutto, dal maggio 2010, di p agare il canone’, tanto che il lAVV_NOTAIOre maturava un credito, al momento dell’intimazione dello sfratto nel gennaio 2012, ‘superiore a cinquantamila euro’, e ciò pur tenendo conto della fideiussione di € 20.000,00 e di un controcredito di € 47.000,00.
Tanto basta, dunque, per escludere la fondatezza del motivo, essendosi accertato che il giudice di merito si è attenuto a quel ‘ modus operandi ‘ che implica un confronto tra gli inadempimenti e l’individuazione di quello maggiormente incidente sul sinallagma funzionale del contratto, valutazione, quest’ultima, che –
implicando un apprezzamento di fatto -non è sindacabile in sede di legittimità.
9.3. Anche il terzo motivo di ricorso è, sotto più profili, inammissibile.
9.3.1. Pure in questo caso, infatti, risulta -in primo luogo -violato l’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ.
Il motivo in esame, infatti, fa riferimento al contratto corrente ‘ inter partes ‘ e ad atti processuali, senza però fornirne la ‘ localizzazione ‘ -nel senso già sopra chiarito -in questo giudizio di legittimità. Il motivo, inoltre, non contiene una denuncia di violazione e nemmeno di falsa applicazione dell’art. 1460 c od. civ., né denuncia il vizio di cui al n. 5 ) del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ. secondo i criteri indicati dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01), omettendo persino di individuare il ‘fatto omesso’ , ma in realtà sollecitando una rivalutazione delle risultanze probatorie acquisite in giudizio.
Il tutto, per concludere sul punto, non senza rilevare che la censura oggetto del presente motivo, risolvendosi in una critica dell’interpretazione della clausola contrattuale relativa al ripristino dei locali posti al primo piano dell’immobile lAVV_NOTAIO , lungi dal prospettare la violazione dell’art. 1460 cod. civ., si sarebbe dovuta sostanziare, piuttosto, nella deduzione di un vizio nell’interpretazione della stessa, attraverso l’evidenziazione di quali, tra i canoni dell’ermeneutica contrattuale , risultassero, nella specie, violati.
Quanto, poi, all’ulteriore censura che investe la dichiarata inammissibilità -per novità, e segnatamente in ragione della ‘mancata richiesta di spostamento di udienza’ all’esito dell’adozione del provvedimento ex art. 426 cod. proc. civ. della
domanda di risarcimento danni da infiltrazioni, la stessa è inammissibile anche perché si sarebbe dovuta sostanziare nella denuncia di un ‘ error in procedendo ‘ ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., e segnatamente di violazione del predetto art. 426 cod. proc. civ.
9.4. Inammissibile è, infine, pure il quarto e ultimo motivo.
9.4.1. Neppure in questo caso la ricorrente pone questo giudice di legittimità in condizione di verificare le allegazioni sui quali ha fondato le proprie censure, in quanto non fornisce l’indicazione specifica degli atti che evidenzierebbero quanto si sostiene con il motivo, donde la violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ.
Inoltre, l’esito dell’inammissibilità si impone vieppiù perché quella che -nella sostanza -è la deduzione di un vizio motivazionale, si articola nella denuncia di un vizio di violazione di legge (senza, però, che siano neppure specificate le norme di diritto, in ipotesi, trasgredite; cfr. Cass. Sez. Un., n. 23745 del 2020, cit . ) e nell’omesso esame di un fatto decisivo.
Orbene, in relazione a quest’ultima censura deve, ribadirsi che il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. è ipotizzabile, però, quando l’omissione investa un ‘fatto vero e proprio’ (non una ‘questione’ o un ‘punto’ della sentenza) e, quindi, ‘un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 5, sent. 8 settembre 2016, n. 17761, Rv. 641174-01; nello stesso senso Cass. Sez. 6-5, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 64630801), vale a dire ‘un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storiconaturalistico’
(Cass. Sez. 5, sent. 8 ottobre 2014, n. 21152, Rv. 632989-01; Cass. Sez. Un., sent. 23 marzo 2015, n. 5745, non massimata), ‘un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto’ (cfr. Cass. Sez. 1, ord. 5 marzo 2014, n. 5133, Rv. 62964701), e ‘come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni’ (Cass. Sez, 6 -1, ord. 6 settembre 2019, n. 22397, Rv. 655413-01).
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della ricorrente e liquidate come da dispositivo.
A carico della ricorrente, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando NOME COGNOME, in proprio e nella già ricordata qualità, a rifondere, a NOME COGNOME, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 4.5 00,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della