Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32872 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32872 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15753-2020 proposto da:
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOMECOGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 104/2019 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 14/06/2019 R.G.N. 84/2017;
Oggetto
R.G.N. 15753/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 27/09/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/09/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME NOME COGNOME impugna la sentenza n. 104/2019 della Corte d’appello di Cagliari che ha riformato la sentenza del Tribunale della medesima sede che aveva accolto la sua domanda volta al riconoscimento del beneficio della rivalutazione della contribuzione previdenziale ex art. 13, comma 8, l. n. 257/1992.
Propone tre motivi di censura, illustrati da memoria.
Resiste INPS con controricorso.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 27 settembre 2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, c.p.c.).
CONSIDERATO CHE
In ricorso sono articolati tre motivi di censura.
I Motivo) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., per violazione dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. nonché violazione dell’art. 111 Cost. (la sentenza è nulla per aver fornito motivazione apparente, perplessa, incomprensibile e contraddittoria, essendosi limitata a richiamare le conclusioni del CTU senza illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per giungere al risultato enunciato).
II Motivo) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., per violazione degli artt. 194 e 195 cod. proc. civ.; degli artt. 87 e 90 disp. att. cod. proc. civ.; nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio ex art. 111, comma 2, Cost. nullità della CTU, del relativo procedimento, violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., dell’art. 2697 cod. civ., error in procedendo (poiché la Corte non ha rilevato i vizi metodologici presenti nella CTU e rilevati in sede di osservazioni dal CTP avendo il CTU violato il principio del contraddittorio acquisendo, senza indicarne la fonte, documenti provenienti da terzi).
III Motivo) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (avendo la Corte omesso di valutare gli atti allegati dal ricorrente, volutamente omessi dal CTU).
I motivi di censura possono essere esaminati congiuntamente, per l’intima connessione che li unisce, e sono inammissibili poiché le critiche articolate «sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza di motivazione, di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, mir, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito» (Cass. SSUU n. 34476/2019).
Con riferimento al primo motivo, il ricorrente denuncia nullità della sentenza per mancanza della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto che hanno portato alla decisione, poiché il collegio si sarebbe limitato a richiamare le conclusioni del CTU s enza illustrare l’iter logico seguito per giungere all’esito enunciato.
In realtà, dietro lo schermo della violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. n.4 e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. nonché
dell’art. 111 Cost., ciò che il ricorrente vorrebbe è una nuova valutazione sul merito delle ragioni che hanno portato la Corte ad escludere la esposizione qualificata ultradecennale ad amianto sulla scorta delle conclusioni del CTU incaricato.
Il ricorrente, dopo aver riportato lunghi stralci della argomentata e diffusa parte motiva della sentenza impugnata, espone il contenuto delle doglianze in questi termini: afferma che la consulenza di parte che aveva allegato in atti, e che il perito aveva disatteso, era stata eseguita in un giudizio che riguardava un lavoratore che aveva svolto mansioni ‘non diverse’ dalle proprie (quindi il CTU avrebbe errato nel considerare detta consulenza inconferente perché resa in altro procedimento riguardante lavoratori con mansioni differenti), sostiene che vi era stata una errata interpretazione del contenuto delle prove testimoniali -che riporta e di cui vorrebbe una rilettura (poiché i testi avrebbero, in realtà, confermato quanto da lui dedotto) -sottolinea l ‘importanza della documentazione che aveva allegato e che la Corte, senza esplicitare le ragioni, ha ritenuto non rilevante.
In ordine a quest’ultimo profilo, l’inammissibilità si correla altresì al mancato rispetto canone di autosufficienza, poiché il ricorrente lamenta che il collegio non avrebbe valutato documentazione, nonché CTU svolte in altri giudizi ed altresì precedenti della medesima Corte d’appello concernenti colleghi di lavoro, ma la documentazione non è stata riprodotta neppure nelle parti essenziali nell’atto del ricorso.
E ciò anche a prescindere dal fatto che, per Cassazione uniforme, «risulta del tutto irrilevante la circostanza dedotta che, nei confronti di altri colleghi di lavoro, operanti nel medesimo ambiente lavorativo, sarebbe stata riconosciuta l’esposizione a rischio con decisioni assunte in altri giudizi (di
primo grado), posto che dall’avvenuta esposizione di un lavoratore non è lecito inferire, in assenza di ulteriori precisi elementi di prova, il verificarsi, per altro lavoratore, di un’identica esposizione…» ( ex multis , Cass. n. 2685/2017) e dal fatto che, come ricorda di recente Cass. n. 2980/2023, «quanto alla censura relativa all’efficacia probatoria delle perizie di parte il principio secondo cui la “perizia stragiudiziale non ha valore di prova nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, ma solo di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, con la conseguenza che la valutazione della stessa è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito che, peraltro, non è obbligato in nessun caso a tenerne conto».
Né «il giudice .. è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 7675/2019)».
I medesimi profili di inammissibilità si riscontrano in relazione al secondo motivo, con cui sono lamentati vizi della consulenza tecnica, poi asseritamente ridondanti in vizi della sentenza, che si traducono in sostanza in doglianze sull’operato e la valutazione di merito compiuta dal perito e si risolvono in una valutazione dell’esito delle indagini peritali difforme da quella compiuta dal consulente, mirando ad un non consentito riesame da parte della corte di legittimità del merito della controversia.
Il ricorrente si duole che il perito d’ufficio abbia utilizzato documenti provenienti da soggetto terzo di sua iniziativa e senza autorizzazione ma ciò è smentito dallo stesso ricorso ove, a pag. 9, è precisato che il CTU era stato incaricato dalla Corte d i effettuare gli accertamenti, ‘avuto riguardo alla natura del processo produttivo della società Enel datrice di lavoro, all’ambiente frequentato ed alla natura delle mansioni svolte, quale risultava dalla prova per testi e di qualsivoglia altro elemento eventualmente acquisibile, anche mediante consultazione di documentazione in possesso dell’azienda…’.
Il ricorrente afferma, poi, di aver rilevato i vizi che avrebbero inficiato il metodo procedurale del CTU con ‘le osservazioni del 29/11/2018 nonché attraverso le Note autorizzate del 27/2/2019’ che però non sono riportate e neppure indicate ai fini del reperimento nel fascicolo, né è evidenziato in che termini la dedotta inosservanza abbia comportato, in relazione alle circostanze del caso concreto, un pregiudizio al diritto di difesa, considerato altresì che si legge in sentenza (così come nel ricorso) ch e la copia dell’elaborato è stata inviata alle parti per eventuali controdeduzioni (pag. 9) e le controdeduzioni sono state esaminate dalla Corte nella pronuncia impugnata.
Né appare conferente la censura che invoca violazione dell’art. 2697 cod. civ. , ipotizzabile soltanto qualora il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (da ult. Cass. n. 12994/2023).
Inammissibile, infine, è anche il terzo motivo, con il quale si lamenta non l’omesso esame di un fatto storico decisivo oggetto di discussione fra le parti come richiesto dal novellato art. 360,
comma 1, n. 5 cod. proc. civ., bensì l’omesso esame di prove documentali asseritamente offerte dal ricorrente, sub specie di ‘atti allegati dal sig. COGNOME che il CTU ha volutamente disatteso’.
Sul punto giurisprudenza di legittimità uniforme afferma che -come ex multis Cass. n. 21672/2018 -«nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie».
Nella specie, non solo non è in alcun modo identificato un fatto di cui la Corte avrebbe omesso l’esame ma si pretende di identificare detto fatto in documenti che sarebbero stati offerti in prova, dei quali, oltre tutto, non è riportato il testo e che non vengono precisamente identificati quanto a collocazione nel fascicolo.
Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
Sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, ove il versamento risulti dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 4000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 27 settembre