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Inammissibilità del ricorso: no al copia-incolla

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso di una società contro una condanna al pagamento. La decisione si fonda sulla violazione dell’obbligo di esposizione sommaria dei fatti, poiché il ricorso era stato redatto con la tecnica dell'”assemblaggio”, ovvero trascrivendo integralmente gli atti dei precedenti gradi di giudizio. Questa pratica, secondo la Corte, contravviene al principio di sintesi e rende l’atto inidoneo, confermando la consolidata giurisprudenza in materia di inammissibilità del ricorso.

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Inammissibilità del ricorso: la Cassazione boccia la tecnica del “copia-incolla”

L’ordinanza n. 7790/2024 della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale per gli avvocati: la chiarezza e la sintesi non sono mere clausole di stile, ma requisiti essenziali per l’accesso al giudizio di legittimità. In questo caso, l’ inammissibilità del ricorso è stata dichiarata a causa della cosiddetta tecnica dell'”assemblaggio”, ovvero la riproduzione pedissequa degli atti dei precedenti gradi di giudizio. Un monito severo contro la pratica del “copia-incolla” che appesantisce gli atti e viola precise disposizioni di legge.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da una controversia commerciale. Una società fornitrice, successivamente dichiarata fallita, otteneva un decreto ingiuntivo per il pagamento di oltre 71.000 euro contro una società acquirente, come saldo per una fornitura di pannelli fonoassorbenti. L’acquirente si opponeva al decreto, sostenendo di aver subito danni a causa di un ritardo nella consegna e chiedendo di compensare il proprio controcredito con la somma richiesta.

Tanto il Tribunale di primo grado quanto la Corte d’Appello respingevano le ragioni dell’acquirente, confermando la sua condanna al pagamento. La società, ritenendo errate le decisioni dei giudici di merito (i quali, tra l’altro, non avevano ammesso prove testimoniali né una consulenza tecnica d’ufficio), proponeva ricorso per Cassazione.

La Decisione della Corte: Focus sull’inammissibilità del ricorso

La Suprema Corte non è entrata nel merito delle questioni sollevate (violazione di legge, onere della prova, mancata ammissione di prove). L’esame si è arrestato su un profilo pregiudiziale e assorbente: la modalità di redazione del ricorso.

I giudici hanno rilevato che il ricorso violava l’art. 366, primo comma, n. 3 del codice di procedura civile. Questa norma impone, a pena di inammissibilità, “l’esposizione sommaria dei fatti della causa”. Nel caso di specie, invece di un riassunto chiaro e conciso, i legali della società ricorrente avevano trascritto integralmente i motivi d’appello per diverse pagine (da pagina 3 a pagina 10 del ricorso). Questa pratica, nota come “assemblaggio”, è stata ritenuta inidonea a soddisfare il requisito di legge.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, richiamando anche importanti sentenze delle Sezioni Unite. Le motivazioni della declaratoria di inammissibilità del ricorso possono essere così sintetizzate:

1. Violazione del principio di sintesi: La legge richiede un’esposizione “sommaria”, ovvero un riassunto che consenta al giudice di legittimità di comprendere rapidamente i termini della controversia senza dover leggere atti superflui. La trascrizione integrale è l’esatto contrario della sintesi.
2. Onere espositivo a carico del ricorrente: È compito della parte che ricorre in Cassazione selezionare e presentare in modo chiaro i fatti rilevanti. Affidare alla Corte il compito di estrapolare le informazioni utili da una mole di trascrizioni equivale a un’inversione dell’onere espositivo.
3. Autonomia del ricorso: Il ricorso per cassazione deve essere un atto autosufficiente. La sua comprensibilità non può dipendere dall’esame di altri atti processuali, né può essere “salvato” estrapolando elementi utili dai motivi di diritto. La mancata esposizione sommaria dei fatti è un vizio insanabile che inficia l’intero atto.

Citando le Sezioni Unite (sent. n. 5698/2012), la Corte ha ribadito che la “pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua… per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti”.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento rappresenta un’importante lezione per la pratica forense. La redazione del ricorso per cassazione richiede rigore, precisione e, soprattutto, capacità di sintesi. La tentazione di utilizzare il “copia-incolla” per assemblare l’atto, sebbene possa sembrare una scorciatoia, si rivela una strada che conduce direttamente all’inammissibilità del ricorso. La chiarezza espositiva non è un optional, ma un presupposto fondamentale per consentire alla Corte di esercitare la propria funzione nomofilattica. Di conseguenza, la società ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali, senza che le sue ragioni di merito potessero essere esaminate.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non conteneva una “esposizione sommaria dei fatti”, come richiesto dall’art. 366 c.p.c. Al suo posto, erano stati trascritti integralmente gli atti del precedente grado di giudizio, una pratica nota come “assemblaggio”, che viola il principio di sintesi.

Cosa si intende per “assemblaggio” nella redazione di un atto giudiziario?
Per “assemblaggio” si intende la tecnica di comporre un atto giudiziario, come il ricorso per cassazione, trascrivendo integralmente e letteralmente il contenuto di atti processuali precedenti (ad es. i motivi d’appello), invece di elaborare un riassunto chiaro e conciso dei fatti di causa.

È possibile sanare la mancanza dell’esposizione sommaria dei fatti facendo riferimento ad altre parti del ricorso?
No. Secondo la giurisprudenza consolidata richiamata nell’ordinanza, la mancanza dell’esposizione sommaria dei fatti è un vizio che non può essere sanato o superato attraverso l’esame delle censure o di altre parti del ricorso. Il requisito deve essere soddisfatto in una sezione autonoma e chiara dell’atto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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