Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3750 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3   Num. 3750  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 7941/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, difensore di sé medesimo, pec EMAIL;
– ricorrente –
 contro
RAGIONE_SOCIALE;
nonchè contro
– intimata –
,  rappresentato  e  difeso  dall’avv.
RAGIONE_SOCIALE  con  socio  unico NOME COGNOME, pec EMAIL;
– intimata – avverso la sentenza n. 200/2021 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 2/02/2021;
udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del  06/12/2023  dal Consigliere NOME COGNOME:
Rilevato quanto segue.
RAGIONE_SOCIALE  conveniva  davanti  al  Tribunale  di  Reggio  Emilia l’avvocato NOME AVV_NOTAIO, di cui era stata cliente, perché ne fosse accertata la  responsabilità  professionale  con  conseguente condanna al risarcimento dei danni;  in  subordine,  perché  fosse  dichiarata  compensazione  parziale  dei rispettivi crediti.
Il COGNOME si costituiva resistendo e in via riconvenzionale chiedendo il pagamento del proprio residuo compenso; otteneva l’autorizzazione a chiamare in causa la sua compagnia assicuratrice, RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE per essere tenuto indenne in caso di condanna risarcitoria. La compagnia si costituiva, contestando la validità della copertura assicurativa e in subordine chiedendo l’applicazione dell’articolo 1893 c.c. nonché il limite contrattuale previsto.
Con  sentenza  n.  1730/2013  il  Tribunale  rigettava  la  domanda  attorea  e,  in parziale  accoglimento  della  riconvenzionale,  condannava  l’attrice a  pagare  al convenuto  quale  compenso  professionale  la  somma  di  euro  3.638,84  oltre accessori di legge e interessi legali dalla domanda al saldo.
RAGIONE_SOCIALE  proponeva  appello,  cui  resistevano  sia  il  COGNOME  –  che proponeva appello incidentale per il pagamento di ulteriore compenso professionale – sia la compagnia assicuratrice.
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 200/2021, accogliendo per quanto di ragione il gravame principale e rigettando quello incidentale, condannava il COGNOME a restituire all’appellante la somma di euro 7 .517,96 oltre interessi (somma corrispostagli per l’attività professionale) e a risarcire l’appellante stesso dei danni cagionati dall’inadempimento di controparte nella misura di euro 10.484,98 oltre accessori; condannava altresì RAGIONE_SOCIALE a tenere indenne il COGNOME dalla debenza risarcitoria.
Il COGNOME ha proposto ricorso, articolato in tre motivi e illustrato anche con memoria. Sono agli atti un controricorso intestato a RAGIONE_SOCIALE e una relativa memoria.
Considerato quanto segue.
Premesso che il ricorso è stato notificato anche alla compagnia assicuratrice, la quale non si è difesa, deve rilevarsi che il controricorso presentato come di RAGIONE_SOCIALE è privo di procura speciale in quanto il difensore indica espressamente la procura in forza della quale dichiara di agire come rilasciata a margine dell’atto di appello (‘ giusta delega a margine dell’atto di citazione in appello ‘) non emergendo d’altronde altra procura dal controricorso, che conseguentemente è ictu oculi inammissibile.
Il ricorrente anzitutto presenta la rubrica di due motivi – il primo denunciante violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. ex articolo 360, primo comma, nn.3 e 4 c.p.c., il secondo violazione e falsa applicazione degli articoli 115-116 c.p.c., 2697 c.c. ex articolo 360, primo comma, n.3.p.c. nonché, ex articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., omesso esame di fatto decisivo quanto alla ‘collocazione temporale dell’incarico professionale’ – per subito dopo affermare che essi ‘vengono es posti congiuntamente stante la loro logica e stretta connessione’.
I due motivi vengono effettivamente illustrati in modo unitario, nelle pagine 718 del ricorso.
2.1 In sintesi, si censura il giudice d’appello per avere male applicato l’articolo 115  c.p.c. laddove ‘da un fatto non  dedotto dall’attore/appellante’ ha cronologicamente  posto il  conferimento  dell’incarico  professionale all’attuale ricorrente nel  settembre  2006,  omettendo  di  esaminare  ‘fatti  e  circostanze dedotti dall’AVV_NOTAIO che collocano, non risultandovi sul punto tempestiva contestazione da parte della RAGIONE_SOCIALE …, il sorgere del mandato a Dicembre 2006′.
Che l’incarico professionale fosse stato conferito al COGNOME nel settembre 2006 non sarebbe mai stato affermato dall’attrice nell’atto introduttivo del giudizio, nella citazione anzi non avendo mai COGNOME indicato la data dell’insorgenza; sarebbe stat o il COGNOME a collocare tale data nel dicembre 2006, e ciò non sarebbe stato contestato specificamente da controparte, la quale solo nella seconda memoria di cui all’articolo 183, sesto comma, c.p.c., ‘a preclusioni assertive avvenute’, avrebbe indicat o tale data come elemento da confermare con il capitolo n.13 di prova. Le prove testimoniali chieste da COGNOME non erano state poi ammesse, né riproposte nelle precisate conclusioni di primo grado, nella citazione d’appello e nelle precisate conclusioni di secondo grado, per cui sarebbero state ‘rinunciate’.
Dunque  il  giudice  d’appello  avrebbe  posto  a  base  della  sua  decisione  ‘una circostanza non dedotta e provata da RAGIONE_SOCIALE‘ e non si sarebbe attenuto a ‘una corretta lettura degli atti processuali’ , violand o l’articolo 115 c.p.c. D’altronde fino  al  dicembre  2006  non  vi  sarebbe  alcuna  prova  del  coinvolgimento dell’attuale  ricorrente  ‘nel  compimento  di  atti  volti  alla  definizione  della controversia’ tra RAGIONE_SOCIALE quale committente e la sua controparte appaltatrice.
La corte territoriale avrebbe violato anche l’articolo 2697 c.c. per non avere tenuto in conto che le ‘ulteriori circostanze di fatto’ introdotte dall’attuale ricorrente non erano state oggetto di contestazione nella prima difesa utile da parte di COGNOME, per cui avrebbero dovuto essere date per ammesse ex articolo 115 c.p.c.; e le ‘contestazioni’ del convenuto av rebber o apportato ‘circostanze che sconfessano inequivocabilmente i fatti descritti dalla …COGNOME‘ e dimostranti che il COGNOME ne aveva rice vuto l’incarico professionale soltanto nel dicembre 2006.
2.2 Il motivo, pur ripartito come si è visto in due rubriche, è evidentemente unitario,  e  si  fonda  tutto,  a  ben  guardare,  su  un  unico  asserto:  COGNOME  non avrebbe indicato, né in citazione, né anteriormente alla seconda memoria ex articolo 183  c.p.c., quando  avrebbe  conferito l’incarico professionale al COGNOME, rectius , quando sarebbe stato stipulato il contratto professionale tra COGNOME e l’attuale ricorrente.
La censura è priva di autosufficienza/specificità, in quanto si limita appunto ad asserire, non riportando alcunché invece di tali atti processuali. E ciò non viene superato dalla seconda parte del motivo, in cui si prospetta un’omessa contestazione dei fatti apportati dal COGNOME: anche qui il ricorrente si limita ad affermare che controparte ‘non ha provveduto a contestarli nella prima difesa utile’, non superand o così il difetto di autosufficienza che impronta il ricorso pure in questa parte.
Ad abundantiam si osserva che tutto questo è diretto a contrastare l’accertamento fattuale compiuto dal giudice d’appello (e compiuto in modo assai logico, si osserva meramente incidenter : considerata l’epoca in cui fu effettuata la perizia suggerita dal COGNOME, era ben difficile ritenere che l’incarico professionale sulla vicenda, che era già completamente ‘aperta’ visti i tempi da rispettare per la costruzione degli immobili, sia stato rilasciato in epoca così avanzata – dicembre 2006 – come sostiene l’attuale ricorrente), il che rimane, per la sua sostanza di merito, nell’ambito della inammissibilità.
Tutta  la  prima  censura  (e  di  cui  ai  motivi  primo  e  secondo),  dunque,  è palesemente inammissibile.
3 .  Il  terzo  motivo  (che  l’unitarietà  dei  due  motivi precedenti giustificherebbe qualificare come secondo motivo) denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 2226 c.c., 115 c.p.c., 40 e 41 c.p.
3.1 La Corte d’appello, in sintesi, avrebbe attribuito all’attuale ricorrente grave responsabilità professionale perché, se avesse consigliato al cliente nel settembre 2006 -quando, ad avviso del giudice di merito, egli avrebbe ricevuto
l’incarico  professionale  di  ottenere un accertamento tecnico preventivo, ‘le successive cause avrebbero avuto esito favorevole’.
La corte territoriale avrebbe condotto un ragionamento viziato anche laddove afferma che la transazione stipulata da COGNOME con il suo appaltatore – con il quale aveva le cause in cui era difesa dal COGNOME ‘limitò il nocumento che COGNOME … avrebbe subito se le cause fossero proseguite’.
Il ricorrente, premesso che la transazione non era mai stata suggerita da lui ma scelta  personalmente  dall’assistita  COGNOME,  sostiene  che tale  accordo ‘ha sicuramente interrotto il nesso di causalità fra la condotta omissiva ascritta al difensore e l’esito dei singoli giudizi’; e il giudice d’appello sarebbe incorso in un errore  di  sussunzione  laddove  ha  ritenuto  che  il  nesso  causale  non  sia  stato interrotto da detta transazione, non facendo neppure ‘buon uso’ degli articoli 40 e 41 c.p.
3.2  Anche  questo  motivo  è  manifestamente  inammissibile  in  quanto  il  suo contenuto  è  una  valutazione  fattuale  sulla  incidenza,  nella  vicenda,  della transazione stipulata tra le parti.
Meramente ad abundantiam , quindi, si rileva che la censura è anche eccentrica, in quanto l’esito dei singoli giudizi non si è verificato, essendo stati chiusi dalla transazione.
In conclusione, il ricorso risulta inammissibile. Non vi è luogo a pronunciare sulle spese considerata l ‘ inammissibilità dell’unico controricorso.
Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi dell’articolo  13,  comma  1  quater,  d.p.r.  115/2012,  della  sussistenza  dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai  sensi  dell’articolo  13,  comma  1  quater,  d.p.r.  115/2002  dà  atto  della sussistenza dei presupposti per il versamento,  da  parte  del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 6 dicembre 2023