Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 13548 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 13548 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20979/2021 R.G., proposto da
NOME, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE ; rappresentata difesa dagli Avvocati NOME COGNOMENOME COGNOME (EMAIL) e NOME COGNOME (EMAIL), in virtù di procura su foglio separato congiunto al ricorso;
-ricorrente – nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE per
RAGIONE_SOCIALE, in proprio e nella qualità di mandataria con rappresentanza di RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore ; rappresentata e difesa da ll’AVV_NOTAIO (EMAIL), in virtù di procura su foglio separato in calce al controricorso;
-controricorrente –
per la cassazione della sentenza n. 1951/2021 della CORTE d’APPELLO di MILANO, depositata il giorno 30 giugno 2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 marzo 2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso ex art. 414 e ss. cod. proc. civ., la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE -premesso che era subconduttrice di un immobile sito a Cernusco sul Naviglio in cui svolgeva attività di autodemolizione sulla base di un contratto stipulato con la RAGIONE_SOCIALE sublocatrice RAGIONE_SOCIALE; che aveva appreso che la Iccrea RAGIONE_SOCIALE Intesa, proprietaria del bene, aveva dato alla BCC RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE l’incarico di metterlo in vendita; e che, in quanto subconduttrice, era titolare di RAGIONE_SOCIALE di prelazione -convenne Iccrea RAGIONE_SOCIALE Intesa e BCC RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dinanzi al Tribunale di Milano, chiedendo che fossero condannate a formulare nei suoi confronti una proposta di vendita, nonché al risarcimento dei danni patiti e patiendi per l’atteggiamento avversario ex art.96 cod. proc. civ., da liquidarsi in via equitativa e comunque in misura non inferiore a 20.000 Euro, dichiarandosi disposta a pagare la somma di Euro 320.000 per l’acquisto dell’immobile, come da perizia di stima.
Si costituì in giudizio RAGIONE_SOCIALE, in proprio e in qualità di mandataria di Iccrea RAGIONE_SOCIALE Intesa, la quale -premesso che la RAGIONE_SOCIALE proprietaria aveva concesso l’immobile in locazione finanziaria in cui, con il suo consenso, sulla base di successive cessioni, erano subentrate nel corso del tempo diverse RAGIONE_SOCIALE e, da ultimo, l’RAGIONE_SOCIALE; che , peraltro, il contratto con questa RAGIONE_SOCIALE era stato risolto di RAGIONE_SOCIALE in ragione del suo inadempimento; che, dunque, era stato richiesto alla conduttrice il rilascio dell’immobile e il pagamento dei canoni insoluti sino alla risoluzione -eccepì l’ incompetenza territoriale del Tribunale di Milano in favore di quello di Roma e la nullità o l’inesistenza del contratto; invocò il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, domandò la condanna dell’att rice al rilascio dell’immobile.
Con le note di trattazione scritta ex art. 83, lett. h) , decreto-legge n.18/2020, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE chiese la condanna della controparte « al risarcimento di tutte le spese » da essa sostenute per la messa a norma dell’area oggetto di sublocazione, pari ad Euro 180.000 (o della maggior somma accertanda) e si dichiarò disposta a rilasciare l’immobile dietro pagamento di questa somma; « ferma restando la produzione documentale integrativa di cui alla memoria 420 c.p.c. », chiese, nella denegata ipotesi di non ammissione di tale memoria, comunque un termine per il deposito dei documenti.
Il Tribunale di Milano, con sentenza n.934/2021, all’esito d ell’ udienza di discussione del 3 febbraio 2021, dichiarò inammissibile sia la domanda principale della RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE (per mutatio libelli ), sia la domanda riconvenzionale della BCC RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a. ( per mancata formulazione dell’istanza di cui
all’art. 418 cod. proc. civ.) e condannò la prima a rimborsare le spese di lite sostenute dalla seconda, in quanto soccombente.
La C orte d’appello di Milano ha rigettato l’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE, condannandola alle spese del grado.
La RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Risponde con controricorso RAGIONE_SOCIALE, in proprio e nella qualità di mandataria con rappresentanza di RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art.380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo vengono denunciati «omesso esame di un punto decisivo oggetto di discussione delle parti (360 n. 5 cpc) e violazione e falsa applicazione di norme di RAGIONE_SOCIALE (360 n. 3 cpc), con riferimento alla memoria ex art. 420 cpc ».
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE deduce che « sin dalla trattazione della prima udienza », aveva domandato al giudice di primo grado termine per una memoria ai sensi dell’art. 420 cod. proc. civ., al fine di produrre specifici documenti la cui esibizione processuale era imposta dalle difese avversarie, nonché al fine di precisare meglio la domanda, senza che il giudice di prime cure avesse provveduto al riguardo e senza che la Corte d’appello abbia preso posizione sul relativo mezzo di gravame.
1.1. Il motivo è inammissibile per molteplici ragioni.
1.1.a. Lo è, anzitutto, con riferimento ad entrambe le doglianze in cui si articola, per manifesta violazione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ..
La parte ricorrente, infatti, ha omesso sia di riprodurre direttamente od indirettamente il tenore della richiesta che sarebbe stata formulata sin dalla prima udienza, sia di ‘ localizzare ‘ in questo giudizio di legittimità il relativo verbale ; con riguardo a quest’ultimo, tra l’altro, non viene data alcuna indicazione , né nel senso che se ne è prodotta copia, né -come ammette Cass., Sez. Un., n. 22726 del 2011 ai fini del rispetto dell’art. 366 n. 6 c.p.c. nel senso che si è inteso fare riferimento alla sua presenza nel fascicolo d’ufficio del primo giudice, in ipotesi acquisito al fascicolo d ‘ appello; altrettale mancanza di indicazioni si coglie quanto alla reiterazione della richiesta in sede di discussione, tanto più alludendosi a note conclusive di primo grado; infine, n ulla si dice sulla deduzione con l’appello della omessa presa di posizione sulla richiesta.
In proposito va ricordato che, in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di atti o documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonché alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire al giudice di legittimità di individuare i termini della censura sulla sola base del ricorso, il quale deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permetterne l’esame (Cass., Sez., Un., 02/12/2008, n.28547; Cass., Sez. Un., 25/03/2010, n. 7161; Cass. 20/11/2017, n. 27475; Cass. 07/03/2018, n. 5478; Cass. 10/12/2020, n. 28184).
La mancata riproduzione diretta o indiretta del contenuto degli atti e dei documenti evocati costituisce, pertanto, un ‘ evidente violazione
dell’art.366 n.6 cod. proc. civ., cui consegue la sanzione dell’inammissibilità del motivo di ricorso.
1.1.b. Altra ragione di inammissibilità del motivo nel suo complesso va rivenuta nell’irragionevolezza della censura con esso esposta, atteso da un lato, che la ricorrente deduce di avere presentato ‘ note conclusive ‘ sulla domanda successiva risarcitoria, e considerato, dall’altro, che la sentenza impugnata dà atto dell’avvenuta implicita rinuncia alla domanda originaria inerente al RAGIONE_SOCIALE di prelazione; domanda rispetto alla quale sarebbe stata strumentale la richiesta asseritamente pretermessa, formulata sin dalla prima udienza.
1.1.c. Con specifico riferimento alla doglianza di omesso esame -ove pure si voglia prescindere dal rilievo che, inerendo essa a norme sul procedimento, avrebbe dovuto dedursi come diretta violazione dell ‘art.420 cod. proc. civ. -, resta che, in applicazione della regola di cui all’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis (ma la disposizione ha trovato continuità normativa nel nuovo art. 360, quarto comma, cod. proc. civ., introdotto dal d.lgs. n.149 del 2022), va esclusa la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dell’art. 360 dello stesso codice, nell’ipotesi i n cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (c.d. ‘doppia conforme’); in proposito, questa Corte ha da tempo chiarito che la predetta esclusione si applica, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e che il presupposto di applica bilità della norma risiede nella c.d. ‘doppia conforme’ in facto , sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., ha l’onere nella specie non
assolto -di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994).
1.1.d. Quanto, infine, alla specifica doglianza con cui è denunciata violazione di legge , è agevole rilevare che l’ordinamento processuale non conosce la ‘ memoria ‘ ex art.420 cod. proc. civ., ma l’udienza di discussione di cui alla norma in parola; udienza che, nel caso di specie, per espressa allegazione della parte ricorrente (p.10 del ricorso), si sarebbe regolarmente celebrata in data 3 febbraio 2021.
È vero che secondo una prassi largamente in uso presso i giudici che applicano il rito del lavoro, in vista d ell’udienza di discussione il giudice può concedere alle parti termine per note scritte illustrative, ma, stando alle allegazioni contenute nel ricorso (p.8), nella fattispecie anche tale strumento difensivo sarebbe stato accordato, poiché si deduce che le parti avrebbero usufruito di ‘note conclusive’ .
In ogni caso, sia la discussione orale all’udienza di cui all’art.420 cod. proc. civ., sia le note scritte eventualmente articolate in vista di essa su concessione del giudice, non possono evidentemente essere utilizzate né per mutare la domanda (che, ai sensi del primo comma di detta disposizione, può essere solo emendata, previa autorizzazione del giudice, purché sussistano ‘gravi motivi’, nel la specie non dedotti), né per produrre nuovi documenti, vigendo nel rito del lavoro le preclusioni di cui agli artt. 414 (per l’attore) e 416 (per il convenuto) cod. proc. civ..
Tale produzione sarebbe possibile solo ove fossero ammessi nuovi mezzi di prova ai sensi del quinto comma dell’art. 420 c od. proc. civ., previa richiesta di termine al riguardo (art. 420, settimo comma), ciò che nella fattispecie non risulta sia avvenuto.
In definitiva, il primo motivo di ricorso va dichiarato inammissibile.
Con il secondo motivo viene denunciata « violazione e falsa applicazione di norme di RAGIONE_SOCIALE (360 n. 3 cpc) con riferimento alla distinzione tra mutatio ed emendatio libelli» .
La ricorrente deduce che il petitum della domanda formulata con le ‘note conclusive’ era « palesemente » contenuto in quello della domanda formulata con il ricorso introduttivo del giudizio, del quale rappresentava una « restrizione e non un ampliamento ».
Sostiene che tale variazione, non comportando un ampliamento del thema decidendum , avrebbe potuto essere effettuata senza « neppure che vi fosse la necessità di una memoria 420 cpc », e, quindi, in piena legittimità.
2.1. Anche il secondo motivo è inammissibile.
2.1.a. Lo è anzitutto, per violazione dell’art. 366 n.4 cod. proc. civ., in quanto, pur essendo diretto a dedurre violazione di norme di RAGIONE_SOCIALE, non vengono indicate le disposizioni che si assumono violate né esse possono essere individuate alla luce degli argomenti addotti dalla ricorrente.
2.1.b. In secondo luogo, anche il motivo in esame, come il precedente, viola l’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., dal momento che omette di riprodurre sia il contenuto della domanda originaria sia il contenuto di quella asseritamente solo modificata.
2.1.c. In terzo luogo, esso motivo, nel distinguere tra mutatio libelli (che sarebbe vietata) ed emendatio libelli (che sarebbe invece consentita), omette di considerare che nel rito del lavoro anche la semplice emendatio è preclusa se non ricorrono ‘gravi motivi’ e la modifica non sia autorizzata dal giudice (arg. ex art. 420, primo comma, cod. proc. civ.).
Con il terzo motivo viene denunciata « mancata pronuncia su un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (360 n. 5 cpc) ed errata applicazione di norme di RAGIONE_SOCIALE (360 n. 3 cpc) in punto compensazione delle spese di primo e secondo grado ».
La RAGIONE_SOCIALE ricorrente lamenta che il giudice di primo grado l’abbia condannata al rimborso delle spese della controparte senza tener conto della soccombenza reciproca e che la Corte d’appello , « gravata di apposito punto d’impugnazione, nulla abbia detto in merito » (p.16 del ricorso), condannandola anche alle spese del secondo grado.
3.1. Anche questo motivo è inammissibile.
3.1.a. Anzitutto, dal momento che, nella sostanza, viene dedotta un’omessa pronuncia su un motivo di appello, avrebbe dovuto essere riprodotto direttamente o indirettamente tale motivo.
3.1.b. In secondo luogo, la censura risulta priva di coerenza argomentativa nella parte in cui fa riferimento alle spese del grado d ‘ appello, poiché il presupposto della invocata compensazione (la soccombenza reciproca) è detto esistere solo in relazione al primo grado.
3.1.c. Infine, la formulazione della censura ai sensi dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. trova nuovamente il suo limite di ammissibilità nel divieto di cui all’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis .
3.2. Giova comunque osservare che, se le illustrate, assorbenti ragioni di inammissibilità non ne avessero precluso lo scrutinio nel merito, il terzo motivo sarebbe stato manifestamente infondato, movendo esso dall’erroneo postulato in iure secondo cui, integratasi la fattispecie della soccombenza reciproca, il giudice del merito non avrebbe il potere (arg. ex art.92, secondo comma, cod. proc. civ.) ma il dovere di compensare le spese tra le parti; in contrario, va invece
ribadito -dando continuità ad un consolidato orientamento di questa Corte -che la regola che deve guidare il giudice nella regolazione delle spese processuali è quella fondata sulla soccombenza (art.91 cod. proc. civ.), mentre la compensazione, parziale o totale, al verificarsi delle ragioni previste dall’art.92, secondo comma, cod. proc. civ. (nella formulazione applicabile ratione temporis ), è riservata al prudente apprezzamento del giudice e trova quindi fondamento in un potere di natura discrezionale, il cui esercizio è di norma incensurabile in sede di legittimità -salvo che per illogicità, inesistenza o apparenza della motivazione (Cass. 03/07/2019, n. 17816; Cass. 26/07/2021, n. 21400) -e che trova il suo unico limite nell’impossibilità di porre le spese a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. 24/06/2003, n. 10009; Cass. 26/11/2020, n. 26912).
Non sussistendo, dunque, un RAGIONE_SOCIALE della parte soccombente ad ottenere la compensazione delle spese, non è sindacabile la statuizione del giudice di appello che -come nella fattispecie -, rilevata la soccombenza della parte medesima, la condanni al rimborso delle spese sostenute dall’altra parte .
In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La ricorrente va condannata a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio legittimità, liquidate come in dispositivo, in applicazione del principio di soccombenza.
Avuto riguardo al tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.600,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione