Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12835 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12835 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 30708/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, p.i. 11885290152, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME;
ricorrente
contro
COGNOME avv. NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE, in proprio;
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 240/2020 della Corte d’Appello di Brescia, depositata il 20-2-2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14-12025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con ricorso per decreto ingiuntivo depositato avanti il Tribunale di Brescia l’avv. NOME COGNOME ha chiesto il pagamento della complessiva somma di Euro 5.670,00 oltre accessori a titolo di corrispettivo per prestazioni professionali eseguite a favore di RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e C., poi RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e C., in relazione all’impugnazione avanti alla Corte d’appello
OGGETTO:
compensi
dell’avvocato
RG. 30708/2020
C.C. 14-1-2025
di Roma della sentenza n. 4835/2008 del Tribunale di Roma e alla costituzione nel giudizio RG. 256/2009 avanti la Corte di appello di Milano.
Avverso il decreto ingiuntivo emesso in conformità del ricorso, la RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione, che il Tribunale di Brescia ha deciso con sentenza n. 1582/2015 depositata il 26-5-2015, revocando il decreto ingiuntivo e comunque condannando la RAGIONE_SOCIALE a pagare all’avv. Contessa Euro 5.670,00 oltre cpa e iva.
Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello, lamentando la violazione dell’art. 1193 cod. civ. in relazione all’imputazione di pagamento.
Con sentenza n. 240/2020 depositata il 20-2-2020 la Corte d’appello di Brescia ha parzialmente accolto l’appello e per l’effetto ha condannato RAGIONE_SOCIALE a pagare all’avv. Contessa la somma di Euro 3.670,00, oltre iva e cpa e interessi; ha compensato per un terzo le spese di lite di entrambi i gradi e ha condannato la società appellante alla rifusione delle spese di lite per i residui due terzi. La sentenza ha accertato il pagamento dell’importo di Euro 2.000,00 e ha escluso la prova degli altri pagamenti.
2.RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Sandro e C. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
L’avv. NOME COGNOME in proprio ha resistito con controricorso.
Il 20-4-2024 il consigliere delegato ex art. 380-bis cod. proc. civ. ha depositato proposta di definizione accelerata nel senso della manifesta infondatezza del ricorso e il 3-6-2024 il difensore munito di nuova procura speciale ha chiesto la decisione del ricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 1 4-1-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente rileva la Corte che nel procedimento ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 2024 depositata il 10.4.2024).
Sulla scorta di tale pronuncia, il cons. NOME COGNOME autore della proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c., non versa in situazione di incompatibilità.
Sempre in via preliminare deve essere rigettata l’eccezione del controricorrente in ordine alla tardività del ricorso per cassazione, in quanto notificato il 23-11-2020 a fronte della pubblicazione della sentenza impugnata in data 20-2-2020; ciò perché si applicano al processo le disposizioni emergenziali di contrasto alla pandemia da Covid-19 di cui agli artt. 83 co. 2 d.l. 18/2020 conv. in legge 27/2020 e 36 co.1 d.l. 23/2020 conv. in legge 40/2020, che hanno comportato la sospensione delle attività proce ssuali durante l’intero periodo di sessantatre giorni dal 9 marzo all’11 maggio 2020, al quale si è
cumulato anche il periodo di sospensione feriale ex lege 742/1969 (Cass. Sez. 5 24-1-2023 n. 2095 Rv. 666756-01, per tutte).
Del pari preliminarmente la Corte osserva che il giudizio di primo grado, ancorché relativo a controversia soggetta al rito di cui all’art. 14 d.lgs. 150/2011 ratione temporis vigente, si è svolto interamente con le forme del giudizio ordinario di opposizione a decreto ingiuntivo, deciso dal Tribunale monocraticamente. Posto questo dato, si deve dare continuità all’indirizzo costante secondo il quale, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 14 d.lgs. 150/2011, al fine di stabilire il regime di impugnazione del provvedimento con il quale si liquidano i compensi dovuti dal cliente al suo difensore per prestazioni giudiziali civili, assume rilevanza la forma adottata dal giudice (Cass. Sez. 2 49-2024 n. 23740 Rv. 672282-01, Cass. Sez. 6-2 17-10-2019 n. 26347 Rv. 655750-01, Cass. Sez. 6-2 1-3-2018 n. 4904 Rv. 648212); nella fattispecie si deve ritenere che il giudice di primo grado abbia optato in maniera consapevole, sia pure erroneamente, per le forme ordinarie e che, di riflesso e in applicazione del principio di apparenza, l’impugnazione della relativa pronuncia sia stata proposta con le forme dell’appello e non del ricorso per Cassazione. Poiché né con l’appello né con il presente ricorso per cassazione sono state formulate censure sul rito adottato in primo grado, nulla si frappone all’esame dei motivi di ricorso.
2.Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente deduce ‘ omesso esame di un fatto decisivo -art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. -omesso esame dei pagamenti’ e dichiara che la sentenza impugnata, dopo avere correttamente imputato il pagamento di Euro 2.000,00 alle partite richieste dall’ingiungente, ha erroneamente statuito con riguardo agli altri pagamenti. Quanto alla somma di Euro 600,00, rileva che la sentenza impugnata ha completamente omesso di valutare quale fosse l’imputazione attribuita dallo stesso opposto, con la nota dell’avv.
COGNOME di cui al doc. 2 dell’opposizione. Quanto agli altri pagamenti di Euro 1.768,50, 1.168,13, 1.000,00 ed Euro 1.836,00, lamenta che la sentenza impugnata li abbia tutti accumunati e ritenuti attribuibili all’avv. COGNOME senza prendere in esame ogn i singolo pagamento e le relative contestazioni; evidenzia che l’attività professionale dell’avv. COGNOME era svolta in collaborazione con la moglie avv. COGNOME, che i pagamenti di Euro 1.768,50 e 1.168,00 erano privi di imputazione specifica e quindi s pettava al debitore attribuirne l’imputazione, che non è stato considerato il pagamento dell’importo di Euro 1.000,00, che la prestazione del corrispondente a Milano avv. COGNOME era stata pagata, che per la ‘causa COGNOME l’avv. COGNOME aveva promesso un a limitazione delle pretese a Euro 2.000,00.
2.1.Il motivo, come già rilevato nella proposta di definizione accelerata, è inammissibile.
Sulla questione dei pagamenti indicati nel motivo la sentenza di appello ha integralmente confermato la sentenza di primo grado e per questo il motivo proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. è inammissibile, in primo luogo, ai sensi dell’art. 348 -ter co.5 cod. proc. civ. ratione temporis vigente, in ragione dell’introduzione del giudizio d’appello successivamente all’11 -92012 e all’introduzione del giudizio di cassazione prima del 28-2-2023, vertendosi in ipotesi di “doppia conforme”. In tale caso il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. 3 28-2-2023 n. 5947 Rv. 667202 -01, Cass. Sez. 1 22-12-2016 n. 26774 Rv. 643244-03, Cass. Sez. 2 10-3-2014 n. 5528 Rv. 630359-01). Al contrario la ricorrente, limitandosi nel ricorso a lamentare che la Corte d’appello non abbia esaminato le sue deduzioni, presuppone l’inesistenza di una diversità
delle ragioni di fatto poste a fondamento delle decisioni di primo e di secondo grado ; a superare l’inammissibilità non valgono le ulteriori osservazioni svolte nella memoria illustrativa al fine di sostenere la diversità delle ragioni poste a base della sentenza di primo grado e di quella di secondo grado, in quanto nel ricorso si esaurisce il diritto di impugnazione e la memoria non è strumento integrativo dei motivi di ricorso, ma esclusivamente illustrativo delle ragioni già svolte (Cass. Sez. 2 30-3-2023 n. 8949 Rv. 667513-02, per tutte).
Del resto, il motivo proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. è inammissibile anche perché non individua il fatto o i fatti specifici oggetto di discussione tra le parti e che abbiano avuto carattere decisivo, nei termini richiesti da Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629831-01. I l motivo si limita a lamentare l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie relativamente alla prova dei pagamenti, in quanto eseguita in termini sfavorevoli alla società, che avrebbe dimostrato pagamenti ulteriori rispetto a quello di Euro 2.000,00 accertato; in questo modo il motivo si risolve nella richiesta di una complessiva rivalutazione dei fatti, in quanto tale inammissibile nel giudizio di legittimità.
3 .Con il secondo motivo la ricorrente deduce ‘ falsa applicazione di norme di diritto (art. 132 c.1 n. 4 c.p.c.) in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c.’ e sostiene che la motivazione sui pagamenti avvenuti sia stata soltanto apparente, riproponendo le deduzioni svolte con il primo motivo di ricorso.
3.1.Il motivo è infondato.
E’ acquisito il principio secondo il quale, sulla base dell’attuale formulazione dell’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ., non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost. e
nel processo civile dall’art. 132 co.2 n. 4 cod. proc. civ. e il sindacato di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica del rispetto del minimo costituzionale; tale obbligo è violato, concretandosi nullità processuale deducibile ex art. 360 co. 1 n.4 cod. proc. civ., qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, o viziata da manifesta e irriducibile contraddittorietà o sia perplessa e incomprensibile, purché il vizio risulti dallo stesso testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa ricostruzione della controversia (Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01, Cass. Sez. 3 12-10-2017 n. 23940 Rv. 645828-01, Cass. Sez. 6-3 25-9-2018 n. 22598 Rv. 650880-01).
Nella fattispecie la sentenza impugnata ha esaminato la questione dell’imputazione dei pagamenti da pag. 10 a 13 della motivazione e, dopo avere esposto le ragioni per le quali ha ritenuto provato il pagamento di Euro 2.000,00, ha dichiarato che, quanto agli altri pagamenti, «effettuati dall’appellante in favore di altri professionisti (l’avv. COGNOME e l’avv. COGNOME ), non vi sono elementi sufficienti ad imputarli con ragionevole certezza ai compensi richiesti dall’avv. COGNOME In particolare, per quanto concerne il pagamento effettuato in favore dell’avv. COGNOME (pari a Euro 600,00), l’ipotizzata distrazione di Euro 136,16 sarebbe attribuibile -in realtàall’avv. COGNOME destinataria del bonifico relativo a tali compensi, e non certo all’appellato, c he risultò del tutto estraneo a tale operazione. Anche gli altri pagamenti effettuati nei confronti dell’avv. COGNOME non possono essere imputati all’avv. COGNOME, essendo incontestato che RAGIONE_SOCIALE intrattenne rapporti professionali anche con la COGNOME». Con questo contenuto la motivazione non è né mancante, né apparente e
risulta rispettosa del minimo costituzionale entro il quale è circoscritto il sindacato di legittimità, in quanto consente pienamente di percorrere il ragionamento svolto dalla Corte d’appello, fondato sia sulla considerazione che i pagamenti ai quali faceva riferimento l’appellante non erano stati eseguiti direttamente all’avv. Contessa sia sulla considerazione dell ‘assenza della prova che quei pagamenti si riferissero alle prestazioni per le quali era stato chiesto il pagamento in giudizio, anziché alle p restazioni eseguite dall’avv. COGNOME.
4 .Con il terzo motivo la ricorrente deduce ‘ art. 360 co.1 n. 3 c.p.c. -violazione dell’art. 92 c.p.c.’ e con esso la ricorrente lamenta che le spese di lite siano state solo parzialmente compensate; dichiara che le spese legali avrebbero dovuto essere integralmente compensate, in quanto la società era stata costretta a promuovere il giudizio, perché se non lo avesse fatto avrebbe dovuto versare anche la somma che la Corte d’appello ha accertato non essere dovuta.
4.1.Il motivo è inammissibile.
E’ acquisito il principio secondo il quale la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali devono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 co. 2 cod. proc. civ., r ientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare una esatta proporzionalità tra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. 6-3 26-5-2021 n. 14459 Rv. 66156901, Cass. Sez. 2 20-12-2017 n. 30592 Rv. 646611-01, Cass. Sez. 2 31-1-2014 n. 2149 Rv. 629389-01).
5.In conclusione il ricorso è integralmente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, la società ricorrente deve essere condannata alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità.
Inoltre, poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ex art. 380-bis cod. proc. civ., devono essere applicati, come previsto dal comma terzo dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ., il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento a favore del controricorrente di somma equitativamente determinata nella misura di cui in dispositivo, nonché al pagamento di ulteriore somma a favore della cassa delle ammende.
Come evidenziato da Cass. Sez. U 27-9-2023 n. 27433 (Rv. 668909-01) e Cass. Sez. U 13-10-2023 n. 28540 (Rv. 669313-01), l’art. 380 -bis co.3 cod. proc. civ., richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96 co. 3 e 4 cod. pro c. civ., codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un’ipotesi di abuso del processo, giacché non attenersi alla delibazione del proponente che trovi conferma nella decisione finale lascia presumere una responsabilità aggravata.
Infine, in considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese di lite del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 1.400,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese e accessori ex lege;
condanna la ricorrente al pagamento ex art. 96 co. 3 e 4 cod. proc. civ. di Euro 1.400,00 a favore del controricorrente e di Euro 600,00 in favore della cassa delle ammende.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione