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Inammissibilità del ricorso: la doppia conforme

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso in una lunga controversia tra fratelli su servitù e accordi transattivi. La Corte ha applicato la regola della ‘doppia conforme’, stabilendo che un accordo verbale non formalizzato non è sufficiente a determinare la cessazione della materia del contendere, confermando così le decisioni dei gradi precedenti e rendendo il ricorso inammissibile.

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Inammissibilità del Ricorso e ‘Doppia Conforme’: Quando l’Appello non ha Speranza

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un’importante lezione sulla inammissibilità del ricorso e sul principio della ‘doppia conforme’. La vicenda, nata da una disputa tra due fratelli per questioni di vicinato, si è trasformata in una lunga battaglia legale durata oltre vent’anni. Questo caso dimostra come un accordo transattivo, se non formalizzato correttamente, non sia sufficiente a porre fine a una controversia e come le porte della Cassazione possano rimanere chiuse quando i giudici di primo e secondo grado concordano sulla valutazione dei fatti.

I Fatti: La Lite tra Fratelli e l’Accordo Mancato

La controversia ha inizio nel 2001, quando un uomo cita in giudizio suo fratello per l’inadempimento di un accordo transattivo stipulato l’anno precedente. Le questioni sul tavolo erano complesse: lo spostamento di uno scolo per le acque, la violazione di servitù di passaggio e la semina di terreni destinati a tale uso. In risposta, il fratello convenuto non solo respinge le accuse, ma presenta una domanda riconvenzionale, chiedendo a sua volta l’eliminazione di opere realizzate in violazione del medesimo accordo.

Durante il processo, il consulente tecnico nominato dal Tribunale tenta una conciliazione. Nel 2014, le parti sembrano raggiungere un’intesa verbale, ma l’accordo salta al momento della redazione del testo definitivo: il fratello convenuto si rifiuta di abbattere alcuni alberi sulla sua proprietà. Nonostante il fallimento della transazione, il processo prosegue.

Il Tribunale di primo grado rigetta la domanda dell’attore e dichiara la cessazione della materia del contendere per la domanda riconvenzionale, condannando però l’attore al pagamento di una penale di 5.000 euro. La Corte d’Appello, successivamente adita, conferma integralmente la sentenza di primo grado, ritenendo che il persistere del dissenso tra le parti dimostrasse la mancanza di un accordo idoneo a risolvere la lite.

La Decisione dei Giudici: Focus sull’Inammissibilità del Ricorso

Giunto in Cassazione, il ricorrente basa le sue doglianze su due motivi principali, entrambi respinti dalla Suprema Corte che dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Il Primo Motivo: L’Accordo Transattivo non Esaminato?

Il ricorrente lamentava l’omesso esame, da parte dei giudici di merito, di un fatto decisivo: l’accordo transattivo raggiunto verbalmente nel 2014. A suo dire, tale accordo avrebbe dovuto portare a una declaratoria di cessazione della materia del contendere per l’intero giudizio.

Il Secondo Motivo: La Motivazione Apparente della Corte d’Appello

Il secondo motivo denunciava la nullità della sentenza d’appello per una presunta motivazione ‘apparente’ e ‘per relationem’, ovvero una motivazione che si limitava a richiamare quella del primo giudice senza un effettivo esame delle censure proposte in appello.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha smontato entrambe le argomentazioni, fornendo chiarimenti cruciali su importanti principi processuali.

La Regola della ‘Doppia Conforme’

Sul primo punto, la Corte ha evidenziato che i giudici di merito avevano eccome esaminato l’ipotesi di accordo del 2014, concludendo però che esso non aveva mai eliminato il contrasto tra le parti. Anzi, la prosecuzione stessa della lite ne era la prova. Inoltre, la Cassazione ha applicato il principio della cosiddetta ‘doppia conforme’ (art. 348 ter c.p.c.). Poiché la Corte d’Appello aveva confermato la decisione del Tribunale basandosi sulle medesime ragioni di fatto, il ricorso in Cassazione per riesaminare tali fatti era inammissibile. La Corte ha chiarito che la ‘doppia conforme’ sussiste non solo quando le decisioni sono identiche, ma anche quando si fondano sullo stesso iter logico-argomentativo.

Validità della Motivazione ‘per Relationem’

Anche il secondo motivo è stato ritenuto infondato. La Corte ha ribadito che una motivazione ‘per relationem’ è perfettamente valida, a condizione che il giudice d’appello dia conto, anche sinteticamente, delle ragioni della conferma, dimostrando di aver vagliato i motivi di impugnazione. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva preso in considerazione le censure, concludendo per la loro infondatezza sulla base degli accertamenti del CTU, ritenuti corretti.

Le Conclusioni: Lezioni Pratiche dalla Sentenza

L’ordinanza in esame è un monito importante: un accordo transattivo, per essere efficace e porre fine a una controversia, deve essere chiaro, completo e formalizzato per iscritto. La semplice intesa verbale, soprattutto se seguita da un dissenso su punti specifici, non è sufficiente a far cessare la materia del contendere. Inoltre, la decisione ribadisce la funzione deflattiva del principio della ‘doppia conforme’, che limita l’accesso al giudizio di legittimità quando due gradi di giudizio di merito hanno già concordato sulla ricostruzione dei fatti. Infine, la Corte conferma che la motivazione ‘per relationem’ non è di per sé un vizio, se utilizzata in modo corretto e non acritico.

Un accordo verbale raggiunto durante una consulenza tecnica è sufficiente per chiudere una causa?
No, secondo questa ordinanza, un accordo verbale non formalizzato in un atto sottoscritto dalle parti non è idoneo a determinare la cessazione della materia del contendere, specialmente se le parti continuano a insistere sulle loro domande originarie dimostrando il persistere del conflitto.

Cosa significa ‘doppia conforme’ e quando impedisce di ricorrere in Cassazione?
La ‘doppia conforme’ si verifica quando la sentenza d’appello conferma la decisione di primo grado basandosi sullo stesso iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali. In questo caso, l’art. 348 ter c.p.c. impedisce di proporre ricorso per cassazione per riesaminare le questioni di fatto già decise in modo concorde dai due giudici di merito.

Una sentenza d’appello può motivare la sua decisione facendo riferimento alla sentenza di primo grado?
Sì, una sentenza può essere motivata ‘per relationem’, cioè richiamando le ragioni della sentenza di primo grado. Tale motivazione è valida a condizione che il giudice d’appello dimostri di aver esaminato i motivi di impugnazione e spieghi, anche sinteticamente, perché li ritiene infondati, condividendo il percorso argomentativo della prima decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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