Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14675 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14675 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23501-2019 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 39/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 07/02/2019 R.G.N. 753/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
11/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 23501/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 11/04/2025
CC
RILEVATO CHE
NOME impugna la sentenza n. 39/2019 della Corte d’appello di Torino che ha confermato la pronuncia del Tribunale di Novara che aveva respinto la domanda di riliquidazione della pensione cat. VDAI in godimento dal 1° dicembre 2011 che, in tesi attrice, sarebbe stata erroneamente conteggiata al ribasso dall’INPS.
Propone due motivi di censura, illustrati da memoria.
Resiste INPS con controricorso, illustrato da memoria, in cui insiste per l’inammissibilità del ricorso.
Chiamata la causa all’adunanza camerale dell’11 aprile 2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
NOME censura la sentenza sulla base di due motivi, così rubricati.
I)violazione o errata applicazione, in parte qua, dell’art. 112 cod. proc. civ., dell’art. 345 cod. proc. civ., dell’art. 420 cod. proc. civ. e dell’art. 437, secondo comma, cod. proc. civ.
II)violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 181/1997 errata interpretazione dell’art. 42 della legge n. 289/2002.
Il ricorso è inammissibile.
La Corte d’appello ha così ricostruito il giudizio.
La domanda era stata svolta in primo grado dal ricorrente allegando che: a) non sarebbero state valutate da INPS 148 giornate per la quota di pensione A VDAI maturata sino al 31 dicembre 1992; b) sarebbero stati erroneamente rivalutati gli importi ex INPDAI in quanto il massimale sarebbe stato cristallizzato a dicembre 2004 applicando, per gli anni successivi, le sole variazioni perequative senza considerare i
massimali dei successivi anni; c) non era stata presa in considerazione l’indennità sostitutiva del preavviso di 12 mesi di cui aveva beneficiato alla fine del rapporto.
Il Tribunale aveva respinto detta domanda perché: quanto ad a), la mancata valutazione di 148 giornate in quota A VDAI (unica quota contestata) era dovuta all’impossibilità di superare il tetto massimo dell’anzianità riconoscibile per le pensioni calcolate con il sistema retributivo, pari a 14400 giornate; quanto a b), la cristallizzazione a dicembre 2004 era dovuta al fatto che, a quella data, il ricorrente era passato da Lagostina RAGIONE_SOCIALE a Casa Lagostina RAGIONE_SOCIALE con conseguente passaggio, della sua posizione, da dirigente dell’industria a dirigente del commercio e, quindi, dalla gestione ex INPDAI alla gestione INPS; quanto a c), era provato che l’indennità sostituiva era stata calcolata nella pensione definitiva.
Inoltre, la richiesta avanzata nella memoria conclusiva di computo, per la determinazione delle quote A e B, degli importi retributivi degli ultimi 5 e 10 anni antecedenti l’erogazione della pensione anziché a ritroso dal 1° dicembre 2004 era tardiva e quindi inammissibile (e comunque infondata).
L’appellante aveva contestato la sentenza deducendo che, dovendo le pensioni, per le quote A e B, essere computate sulla media pensionabile rispettivamente degli ultimi 5 e 10 anni dalla data immediatamente precedente alla concessione della pensione, INPS avrebbe errato, calcolando le quote alla data del passaggio dal contratto industria a quello del commercio (1° dicembre 2004); inoltre, INPS avrebbe erroneamente calcolato l’anzianità contributiva certificando l’anzianità massima , al 28.2.2011, pari a 14.400 giornate, ciò che avrebbe comportato l’esclusione del periodo di preavviso di 12 mesi pagato dal datore di lavoro nel settembre 2011; infine INPS, non tenendo
conto del passaggio -avvenuto il 1° maggio 1988 – da INPS a INPDAI, aveva effettuato l’omogeneizzazione con il coefficiente 0,75 senza considerare che detta omogeneizzazione era già stata fatta al momento del passaggio, di tal chè sarebbero stati errati i dati relativi sia alla quota A che alla quota C.
Con la sentenza qui impugnata il gravame è stato respinto, perché la gran parte delle doglianze erano state sviluppate solo nel ricorso in appello oppure sollevate nel giudizio di primo grado per la prima volta nelle note conclusive autorizzate, di tal chè costituivano una inammissibile mutatio libelli : in particolare, per quel che rileva, il ricorrente ‘non aveva dedotto l’applicazione da parte dell’INPS di una doppia omogeneizzazione e neppure aveva contestato alcunchè sulla correttezza di calcolo della Q uota C’ e la doglianza circa la mancata considerazione del periodo di preavviso ometteva del tutto di confrontarsi con le risultanze documentali e testimoniali nel giudizio di primo grado, secondo cui detta somma era stata inclusa nel conteggio della liquidazione della pensione definitiva. Tanto premesso in ordine alla ricostruzione del giudizio, il primo motivo è inammissibile in considerazione delle modalità con cui
è stato formulato.
Costituisce principio consolidato quello per cui il requisito imposto dall’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., deve essere verificato anche in caso di denuncia, come nella specie, di errores in procedendo, perché l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti processuali è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass., Sez.Un.,n. 8077/2012). È pur vero che, secondo il più recente orientamento nomofilattico, l’autosufficienza del ricorso,
corollario del requisito di specificità dei motivi, deve essere interpretato in maniera elastica (tra le altre, Cass. n. 11325/2023), in conformità all’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte – oggi recepita dal nuovo testo dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod.proc.civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022 – e alla luce dei principi stabiliti nella sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (Succi e altri c. Italia), che lo ha ritenuto compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, a condizione che, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa (Cass. n. 12481/2022).
Nella specie, però, il contenuto delle censure non consente al Collegio una chiara e completa cognizione dei fatti necessari ad apprezzare la decisività dei rilievi.
Il ricorrente si duole che sia stata considerata domanda nuova quella relativa alla c.d. doppia omogeneizzazione dei contributi INPDAI che, secondo la sua tesi, sarebbe già stata contenuta nell’atto introduttivo di primo grado: però non specifica, né riportando i passi salienti e neppure con riferimenti puntuali agli atti di causa, quali domande avesse proposto con il ricorso di primo grado e con quale causa petendi, con la conseguenza che questa Corte non è posta in grado di valutare la fondatezza e la decisività delle censure, e ciò indipendentemente dal potere di procedere all’esame diretto degli atti del merito (Cass. n. 5293/2024, Cass. n. 22771/2023, Cass. n. 8907/2023; Cass. nr. 6643/2023, Cass. n. 34255/2022), così impedendo ogni effettiva verifica.
Il secondo motivo è parimenti inammissibile perchè non si confronta con la ratio decidendi .
La Corte afferma che «la doglianza, riproposta genericamente nell’atto di appello, circa la mancata considerazione del periodo
di preavviso omette del tutto di confrontarsi con le risultanze, documentali e testimoniali, del giudizio di primo grado, illustrate nella sentenza impugnata, secondo cui la somma erogata a titolo di indennità sostitutiva del preavviso è stata inclusa nel conteggio relativo alla liquidazione della pensione definitiva, come pure risulta dalla lettura di detto documento posto a confronto con la liquidazione provvisoria nella parte in cui essi indicano il reddito del 2011».
Tale motivazione non è attinta dal motivo, che ripropone in sede di legittimità le medesime doglianze già respinte nei due gradi di merito, senza aggiungere argomenti di censura nuovi.
Il ricorso è, quindi, da dichiararsi inammissibile, con condanna al pagamento delle spese, secondo soccombenza, come liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 7000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.