Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 19489 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 19489 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3925/2023 R.G.,
proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME come da procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avv. NOME COGNOME ;
-ricorrente –
contro
Condominio ‘RAGIONE_SOCIALE COGNOME Cristiano e NOMECOGNOME in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
CC 1 aprile 2025
Ric. 3925 del 2023
Pres. G. COGNOME
Rel. I. COGNOME
come da procura speciale in calce al controricorso, ex lege domiciliato digitalmente;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ;
-intimata- per la cassazione della sentenza n. 1318/2022, della Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 22 novembre 2022; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1 aprile 2025 dalla
Consigliera dr.ssa NOME COGNOME.
Fatti di causa
1. La società RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio il Condominio di RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME e NOME‘ per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti in conseguenza di gravi fenomeni infiltrativi avvenuti tra luglio 2010 e febbraio 2012 nel locale concessole in leasing finanziario dalla società RAGIONE_SOCIALE sito nel fabbricato condominale convenuto, adibito all’esercizio di revisione e officina meccanica, provenienti dal marciapiede perimetrale condominiale, come preliminarmente accertati in sede di ATP, che avevano determinato la cessazione dell’attività a seguito di revoca dell’autorizzazione ministeriale nel gennaio 2012 . Il Condominio convenuto si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda attorea, previa chiamata in causa dell’assicurazione RAGIONE_SOCIALE, compagnia di assicurazione che non costituitasi, veniva dichiarata contumace. Il Tribunale di Cosenza, con sentenza n. 1384/2022, rigettava la domanda.
Per quanto ancora qui di interesse, riteneva: – che la causa petendi della pretesa risarcitoria avanzata in giudizio trovava fondamento nelle infiltrazioni (che si assumono) verificatesi nel febbraio 2012, integranti fatto nuovo ed ulteriormente lesivo rispetto a quello già prospettato ed azionato in
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precedente giudizio dinanzi allo stesso Tribunale, espressamente richiamato, già definito con sentenza (n. 840/2016), trascorsa in giudicato; – che le emergenze processuali non consentivano di ritenere che i danni lamentati fossero riconducibili ai nuovi fenomeni infiltrativi (da sopravvenuta rottura della colonna montante) prospettati ed azionati dalla società RAGIONE_SOCIALE; il Tribunale riteneneva infatti che il pregiudizio economico derivante dalla ‘perdita del volume di affari’ fosse escluso dalla stessa prospettazione formulata dalla società attrice nella citazione ove era stato dedotto che il pregiudizio economico in parola fosse conseguito alla sospensione ed alla successiva revoca dell’autorizzazione amministrativa all’esercizio dell’attività di revisione ed assistenza meccanica, comminate dal Ministero competente in ragione dello stato dei locali rispettivamente in data 26.7.2010 e 27.1.2012 «e, dunque, in epoca pacificamente precedente alla verificazione delle infiltrazioni oggetto di doglianza nell’atto di citazione in esame » (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata); – che in ogni caso, trattandosi di pregiudizio astrattamente riconducibile ai fatti prospettati nel precedente giudizio, definito con sentenza passata in giudicato, esso non risulterebbe comunque ulteriormente azionabile, perché coperto da detto giudicato, che copre il dedotto e il deducibile; – che ad analoghe conclusioni deve pervenirsi quanto ai danni all’immobile, posto che la perizia allegata (composta da tre elaborati, redatti successivamente) «non riscontra però la riferibilità dei danni quantificati ai fenomeni infiltrativi (che si assumono) registrati nel febbraio 2012 e neanche la disposta c.t.u. ha acclarato una tale sopravvenienza»; che «alla luce delle emergenze in esame la quantificazione del danno operata in citazione è risultata essere piuttosto, esclusivamente, il frutto di una diversa parametrazione e liquidazione dei costi di ripristino dei pregiudizi strutturali già accertati in sede di A.T.P. e nel giudizio di merito ad essa conseguito» (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).
Avverso la sentenza di prime cure, ha proposto appello RAGIONE_SOCIALE non in proprio ma quale mandataria della RAGIONE_SOCIALE del Gruppo Bancario Banca Popolare dell’Emilia Romagna . Si è costituito il Condominio
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‘F.lli COGNOME NOME e NOME‘ chiedendo il rigetto del gravame; l’assicurazione RAGIONE_SOCIALE è rimasta contumace .
La Corte d’appello di Catanzaro , con la sentenza n. 1318/2022 qui impugnata, ha dichiarato l’appello inammissibile per difetto di interesse e ha condannato la società appellante al pagamento delle spese del grado.
Avverso la sentenza d ‘ appello, ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE sorretto da tre motivi; si è costituita con controricorso il Condominio ‘F.RAGIONE_SOCIALE COGNOME Cristiano e NOMECOGNOME sebbene intimata, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione non ha ritenuto di svolgere proprie difese nel presente giudizio di legittimità.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art . 380bis .1, cod. proc. civ..
Il Condominio controricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente lamenta la ‘ nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4) e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c. ‘ ; nello specifico, assume che il percorso motivazionale della Corte d’appello con la decisione impugnata non appai a supportato da una adeguata disamina logico-giuridica ma risulti, invece, essere il frutto di una mera e generica ricostruzione dei fatti e delle argomentazioni svolte dal precedente giudicante in primo grado, senza alcun esame critico di esse alla luce dei motivi di gravame.
Con il secondo motivo, denuncia l’ ‘ omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 n. 3 ) c.p.c.’ e contesta che la Corte d’appello non abbia esaminato l’intero quadro istruttorio di primo grado, limitandosi a ribadire che la causa petendi delle pretese risarcitorie avanzate dalla RAGIONE_SOCIALE fossero ascrivibili a nuovi fenomeni infiltrativi da sopravvenuta rottura della colonna montante e che, pertanto, le emergenze processuali non permettessero di ritenere che i danni lamentati da ll’attrice in primo grado fossero riconducibili a tali nuovi fenomeni infiltrativi ma a fatti prospettati in altro precedente giudizio definito con sentenza passata in giudicato.
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3. Con il terzo motivo denuncia la ‘ nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 c.p.c. e dell’art. 132 n. 4) c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 e 5) c.p.c. ‘ e lamenta che la sentenza impugnata non tiene conto della censura mossa in ordine alla diversità tra la pretesa risarcitoria avanzata nel giudizio per cui si discute e quella precedentemente definita con sentenza n. 840/2016 e passata in giudicato.
4. I tre motivi di ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati stante l’evidente vincolo di connessione, sono tutti e tre inammissibili rispetto a ciascuno dei profili censurati.
In via generale, la società ricorrente con tutte e tre le censure tende a formulare una tipica censura diretta a denunciare un vizio di motivazione (sebbene nel secondo motivo impugni l” omesso esame ‘ formalmente ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.), per un verso, non più denunciabili secondo il vigente dettato dell’art. 360 comma 1 n. 5 (insufficienza) e, per l’altro, insussistenti (nullità della sentenza per omessa o apparente motivazione) atteso che la motivazione resa dal giudice d’appello, lungi dall’essere nulla e omessa, spiega in modo piano e adeguato il percorso logico giuridico seguito al fine di condivere la decisione del Tribunale.
In particolare, va evidenziato che la stessa ricorrente nell’esposizione delle censure non si confronta con quanto motivato dalla sentenza impugnata, limitandosi ad insistere sul fatto che la motivazione sarebbe redatta per relationem rispetto alla decisione di primo grado ‘ attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame ‘ (pag. 10 del ricorso). La società ricorrente, nello specifico contesta che entrambi i Giudici di merito avrebbero erroneamente ritenuto che il giudizio vertesse su fenomeni infiltrativi derivanti dalla sopravvenuta rottura di una colonna montante, senza esaminare l’intero libello introduttivo ‘ ad esempio, i fotogrammi ed i filmati contenuti nella pen drive ‘ (pag. 11 del ricorso) e insiste nel ribadire che nell’atto di appello si era intes o censurare la decisione del primo giudice che aveva ritenuto il pregiudizio lamentato astrattamente
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riconducibile ai fatti prospettati nel precedente giudizio deciso tra le parti con sentenza 840/2016 (pagg. 18 e 19 del ricorso).
Ebbene, la stessa confezione della censura qui riproposta dalla parte ricorrente convince dell’adeguatezza e completezza della decisione impugnata che in modo sintetico ed esauriente ha dato conto delle ragioni per cui ha ritenuto il gravame inammissibile per difetto di interesse; in particolare, ha ritenuto che dall’esame dell’atto di citazione in appello fosse agevole osservare come la ratio decidendi incentrata sul richiamato principio della preclusione del principio del dedotto e deducibile, non fosse stata oggetto di censura di alcuna da parte dell’appellante, che aveva incentrato le sue doglianze unicamente «sulla ravvisata, dal Tribunale, carenza probatoria circa la riconducibilità dei danni lamentati ai nuovi fenomeni infiltrativi da sopravvenuta rottura della colonna montante. A dire di RAGIONE_SOCIALE invero, il tribunale avrebbe fondato il proprio convincimento sulla falsa convinzione che la causa petendi fosse da identificarsi nelle infiltrazioni avvenute il giorno 8 febbraio 2012 e derivanti dalla rottura della colonna montante, laddove invece la domanda sarebbe circoscritta al periodo che va dal mese di luglio dell’anno 2010 ‘ al momento della presentazione della domanda giudiziale ‘ , ma soprattutto che i danni richiesti con il giudizio di primo grado riguardassero i soli danni arrecati alla struttura in uso alla RAGIONE_SOCIALE oltre al danno patrimoniale derivante dal mancato esercizio della propria attività commerciale, prima sospesa e poi revocata» (pag. 7 della sentenza impugnata).
La Corte d’appello ha poi soggiunto che «nessuna censura è stata invece mossa dall’appellante alla sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale, «fermo quanto rilevato», e in dichiarata adesione al principio di diritto enunciato da Cass. n. 26687/2005, ha statuito che, in ogni caso, trattandosi di pregiudizio astrattamente riconducibile ai fatti prospettati nel precedente giudizio, definito con sentenza n. 840/2016, passata in giudicato, esso non risulterebbe comunque ulteriormente azionabile, perché coperto dal
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giudicato (principio della preclusione da cd. dedotto e deducibile)» (ancora, pag. 7 della sentenza impugnata).
Inoltre, nel denunciare formalmente il vizio di omesso esame e l’omessa pronuncia per violazione degli artt. 115 c.p.c. e dell’art. 132 n. 4) c.p.c., la società ricorrente tende ad introdurre, nella sostanza, profili di fatto richiedendo dalla Corte di cassazione un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello formulato dal giudice di merito, debitamente motivato e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 04/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).
Omette infine la ricorrente di considerare che tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento – ad esso funzionale – delle risultanze istruttorie è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 04/07/2017, n. 16467; Cass. 23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono il principio di soccombenza e vengono poste a carico della società ricorrente in favore del controricorrente così come liquidate in dispositivo. Non luogo a provvedere sulle spese della intimata che non ritenuto di svolgere difese nel presente giudizio di legittimità.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002 (Cass. Sez. U. 20/02/2020 n. 4315).
Per questi motivi
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la società ricorrente incidentale al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore del controricorrente che si
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liquidano in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione