Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33466 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33466 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23558/2023 R.G. proposto da
NOME COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , e per essa, quale mandataria, RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro
Oggetto: Contratti bancari – Conto corrente – Clausole – Nullità – Rilevabilità d’ufficio – Presupposti – Cessione crediti – Prova – – Sussistenza – Valutazione di merito
R.G.N. 23558/2023
Ud. 06/12/2024 CC
tempore , elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende
-controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO ROMA n. 5891/2023 depositata il 19/09/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 06/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 5891/2023, pubblicata in data 19 settembre 2023, la Corte d’Appello di Roma, nella contumacia di RAGIONE_SOCIALE ed in contraddittorio con l’intervenuta RAGIONE_SOCIALEe, per essa, della mandataria RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello proposto da NOMECOGNOME NOME e NOME avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 8863/2019.
Quest’ultima, a propria volta, aveva respinto la domanda originariamente proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE (successivamente fallita), volta ad accertare l’applicazione di tassi superiori a quello legale e di clausole anatocistiche e quindi a conseguire la ripetizione di somme addebitate in eccesso su rapporti di conto corrente intrattenuti con RAGIONE_SOCIALE
Nel corso del giudizio, su istanza di quest’ultima, era stata autorizzata la chiamata in giudizio di NOME
NOME e NOMECOGNOME nella loro veste di fideiussori della società attrice.
Il Tribunale di Roma aveva respinto la domanda di quest’ultima mentre aveva parzialmente accolto la domanda riconvenzionale di RAGIONE_SOCIALE condannando sia l’attrice sia i terzi chiamati alla corresponsione della complessiva somma di € 280.334,15 quale sommatoria del saldo passivo dei conti correnti.
Proposto appello dai tre fideiussori, rimasta contumace la RAGIONE_SOCIALE ed intervenuta in giudizio RAGIONE_SOCIALE e, per essa, la mandataria RAGIONE_SOCIALE la Corte d’appello di Roma ha disatteso il gravame, ritenendo preliminarmente infondata l’eccezione di difetto di legittimazione dell’intervenuta, avendo la Corte ritenuto che quest’ultima avesse fornito adeguata prova della cessione del credito originariamente vantato da RAGIONE_SOCIALE
La Corte territoriale, poi, ha affermato l’assoluta novità delle deduzioni poste alla base dei primi due motivi di appello -con i quali veniva, da un lato, dedotta l’inesistenza di uno dei contratti di apertura di conto corrente e, dall’altro lato, la nullità dei negozi di apertura di credito contenuti in due dei contratti di conto corrente -dichiarando per l’effetto i due motivi inammissibili ex art. 345 c.p.c.
La Corte d’appello, poi, ha disatteso terzo e quarto motivo di gravame -i quali censuravano la decisione di prime cure per aver escluso la natura usuraria delle pattuizioni contenute nei contratti di conto corrente -osservando che i motivi di appello si basavano su una perizia di parte tardivamente prodotta solo in sede di gravame e che gli stessi si traducevano in mere censure alla consulenza tecnica d’ufficio basate su fatti integralmente diversi da quelli addotti in primo grado e quindi tardivamente dedotti.
La Corte d’appello, infine, ha disatteso il motivo di gravame con il quale veniva dedotta la violazione dell’art. 118 TUB, rilevando che nel giudizio di primo grado era già stata operata l’espunzione degli addebiti derivanti da modifiche operate dalla Banca in modo difforme dalla previsione di legge ed escludendo che l’art. 118 TUB debba applicarsi ‘nel caso in cui la modifica apportata unilateralmente dalla Banca sia comunque migliorativa rispetto all’originaria pattuizione, anche se peggiorativa rispetto all’ultima variazione antecedentemente apportata’ .
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorrono NOME e NOMECOGNOME puntualizzando di non agire anche nella veste di eredi di NOME -deceduto -non avendone accettato l’eredità.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE e, per essa, la mandataria RAGIONE_SOCIALE
È rimasta intimata RAGIONE_SOCIALE
In data 20 giugno 2024, il Consigliere delegato, ha formulato proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. segnalando la inammissibilità del ricorso.
A detta proposta ha fatto seguito istanza dei ricorrenti per la definizione del giudizio.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno entrambe depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 58 TUB.
I ricorrenti censurano la decisione impugnata, argomentando che l’odierna controricorrente non avrebbe fornito adeguata prova della propria veste di cessionaria dei crediti contestati.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., ‘ Omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. e al contempo omessa rilevabilità d’ufficio delle nullità, come proposte, sia in primo che in secondo grado, per violazione degli artt. 1325 e 1418 c.c. con riferimento ai contratti di conto corrente e di apertura di credito ‘ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d’appello avrebbe erroneamente omesso di pronunciarsi sulla domanda di ‘inesistenza’ di uno dei rapporti di conto corrente per violazione dell’art. 1325 c.c., dell’art. 1418 c.c., e dell’art. 117 TUB, dichiarando tale domanda nuova ed inammissibile ex art. 345 c.p.c. e quindi omettendo di rilevare d’ufficio il profilo di nullità del contratto stesso.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte d’appello omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame con il quale veniva dedotta la nullità per indeterminatezza della pattuizione concernente la commissione di massimo scoperto.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, testualmente, ‘ Nullità della sentenza che fonda le difficilmente individuabili rationes decidendi su una chiara ipotesi di motivazione apparente in base alle categorie formali elaborate da Codesta Suprema Corte a Sezioni Unite con la pronuncia n. 8053/2014 ‘ .
I ricorrenti censurano la decisione impugnata deducendo il carattere apodittico e generico delle argomentazioni con le quali la decisione avrebbe disatteso i motivi di gravame e, in particolare, i rilievi mossi con la consulenza tecnica di parte.
Il ricorso è, nel complesso, inammissibile.
2.1. Quanto al primo motivo, infatti, lo stesso, ben lungi dal dedurre in concreto una violazione o falsa applicazione dell’art. 58 TUB , si sostanzia nel sindacare -inammissibilmente l’accertamento in fatto compiuto da lla Corte d’appello in ordine alla effettiva sussistenza della cessione del credito in contestazione.
Come anche rammentato nella proposta ex art. 380bis c.p.c., infatti, l’accertamento in ordine alla sussistenza di adeguata prova della riconducibilità del credito in contestazione a ll’ambito dei crediti ceduti costituisce -contrariamente a quanto dedotti dai ricorrenti in memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. quaestio facti riservata al giudice del merito, cui è rimessa la valutazione dell’idoneità asseverativa della documentazione prodotta, compreso l’avviso ex art. 58 TUB, con accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità in mancanza dei presupposti di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c. (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 4277 del 10/02/2023; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 17944 del 22/06/2023; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 31188 del 29/12/2017).
Nella specie, il giudice di merito ha congruamente motivato -sulla base della documentazione disponibile – le ragioni in virtù delle quali il credito in contestazione deve ritenersi rientrante tra quelli oggetto della cessione alla controricorrente ed è a tale accertamento -e non alla corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 58 TUB -che le censure dei ricorrenti si vengono -inammissibilmente -ad appuntare.
2.2. L’inammissibilità del secondo motivo discende dalla sua incapacità di aggredire correttamente una delle rationes decidendi della sentenza impugnata.
Si deve, infatti, rilevare che la Corte non ha omesso di rilevare la nullità di uno dei contratti di conto corrente, bensì (pag. 10 della
motivazione) ha evidenziato la novità dei fatti dedotti dai ricorrenti ed ai quali la sanzione della nullità (o inesistenza, come dedotto dai ricorrenti) avrebbe dovuto essere collegata, rimarcando, in particolare, la mancata produzione del documento contrattuale sulla cui scorta si sarebbe dovuta verificare la fondatezza della deduzione di nullità e che era onere dei ricorrenti produrre.
Tale ratio decidendi -che risulta pienamente conforme al principio espresso da questa Corte per cui la nullità del contratto per violazione di norme imperative, siccome oggetto di un’eccezione in senso lato, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, a condizione che i relativi presupposti di fatto, anche se non interessati da specifica deduzione della parte interessata, siano stati acquisiti al giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni assertive e istruttorie, ferma restando l’impossibilità di ammettere nuove prove funzionali alla dimostrazione degli stessi (solo per citare le più recenti Cass. Sez. 3 Ordinanza n. 4867 del 23/02/2024; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 2963 del 01/02/2023; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 20713 del 17/07/2023; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 34590 del 11/12/2023; Cass. Sez. 3 Ordinanza n. 28983 del 18/10/2023) -non è stata impugnata dal ricorso sulla base dell’erroneo postulato sostanzialmente riproposto in memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. che la Corte d’ appello avesse semplicemente dichiarato inammissibile per tardività la deduzione della nullità del contratto, laddove, come appena esplicitato, il perno della motivazione è costituito dalla indisponibilità degli imprescindibili elementi fattuali sulla cui scorta la Corte stessa sarebbe dovuta pervenire alla declaratoria di nullità
2.3. Quanto al terzo motivo, si deve, in primo luogo, confermare la valutazione espressa nella proposta ex art. 380bis c.p.c. in ordine all a insussistenza dei presupposti di cui all’art. 112 c.p.c.
Infatti, per integrare vizio di omessa pronuncia occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 12652 del 25/06/2020; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15255 del 04/06/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 18491 del 12/07/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014), ipotesi che si verifica quando il giudice non decida su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili ovvero pronunci solo nei confronti di alcune parti, e non nel caso in cui il giudice d’appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 452 del 14/01/2015), così come il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio (Cass. Sez. 6 -L, Ordinanza n. 5730 del 03/03/2020; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017; Cass. Sez. L, Sentenza n. 1360 del 26/01/2016).
Come ulteriormente chiarito da questa Corte, il vizio di omessa pronuncia non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 2151 del 29/01/2021; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15255 del 04/06/2019; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20718 del 13/08/2018).
Vi è da rilevare, ulteriormente, che il motivo -ancora una volta -omette di indirizzarsi ad una fondamentale ratio decidendi della sentenza impugnata, avendo la Corte d’appello rilevato che le deduzioni dei ricorrenti si fondavano ‘ su fatti integralmente diversi da quelli addotti in primo grado (…) introducendo un tema d’indagine del
tutto diverso da quello oggetto del giudizio di primo grado ‘ , e quindi su allegazioni evidentemente inammissibili ex art. 345 c.p.c.
Al di là, quindi, della produzione della consulenza tecnica di parte in sede di appello, a risultare preclusi all’esame della Corte territoriale ex art. 345 c.p.c. -fondando in tal modo la ratio decidendi -erano i fatti sui quali tale consulenza veniva a fondarsi e che, per la loro -non contestata -divergenza rispetto alle allegazioni iniziali, venivano inevitabilmente a ricadere nell’area di inammissibilità ex art. 354 c.p.c.
2.4. Quanto al quarto ed ultimo motivo, non può che rammentarsi che questa Corte a Sezioni Unite ha chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con Legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022) così come esula dal vizio di violazione di legge la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.
Nessuna di dette carenze estreme risulta ravvisabile nella motivazione della decisione impugnata, la quale espone il proprio percorso argomentativo in modo completo, univoco, comprensibile ed immune da affermazioni reciprocamente inconciliabili, di talché risulta inevitabile constatare che, ancora una volta, le doglianze del ricorrente si sostanziano in una critica del merito della decisione.
Ciò di cui i ricorrenti in concreto si vengono a dolere è che la Corte territoriale non abbia dato riscontro ai rilievi mossi alla consulenza tecnica d’ufficio dalla consulenza tecnica di parte, ma l’assoluta inconciliabilità di tale deduzione con l’impian to argomentativo della decisione impugnata è ben testimoniato da quanto rilevato in relazione al terzo motivo: la sentenza gravata, infatti, è chiarissima nel disattendere le censure formulate con la consulenza di parte in virtù della constatazione -nella presente sede non impugnata -per cui le deduzioni della consulenza di parte si venivano a basare su fatti nuovi ed anzi diversi da quelli inizialmente dedotti dai ricorrenti, essendo tale constatazione più che sufficiente a motivare il decisum della Corte territoriale.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
4 . Avendo questa Corte deciso in conformità della proposta, deve trovare applicazione l’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., il quale richiama, in caso di decisione conforme alla proposta, il disposto di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c. con la conseguente condanna ulteriore dei ricorrenti soccombenti al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata nonché, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma di denaro non
inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00, somme che si liquidano come da dispositivo.
5. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 6.700,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente , della somma equitativamente determinata in € 6.500,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.;
condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di € 2.500,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione