Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6816 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6816 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 13475/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliati in INDIRIZZO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, giusta procura in atti;
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), giusta procura in atti;
-controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2957/2020 della CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA, depositata il 13.11.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
La vicenda processuale, per quel che qui ancora rileva, può riassumersi nei termini seguenti:
-il Tribunale di Rimini rigettò l’opposizione proposta da NOME NOME NOME avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore di NOME e NOME, per il rimborso delle spese da quest’ultimi sostenute per l’esecuzione di un obbligo di fare non adempiuto spontaneamente dagli ingiunti;
-la Corte d’appello di Bologna rigettò l’impugnazione degli insoddisfatti opponenti.
Avverso la sentenza d’appello NOME e NOME COGNOME ricorrono sulla base di sei motivi, ulteriormente illustrati da memoria.
Gli intimati resistono con controricorso.
Con il primo motivo viene denunciata nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 832 cod. civ. e 75, co. 1, cod. proc. civ., assumendosi che i NOME non erano legittimati passivi a riguardo del rifacimento del muro e della recinzione, questione questa, soggiungono, eccepibile in ogni stato e grado.
3.1. La doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilità
Senza necessità di soffermarsi sull’inconferenza dell’evocazione delle norme di cui in rubrica, nonché sulla sostanza della critica, tutta incentrata sul riesame del fatto, anche attraverso l’introduzione di una concerie di vicende in questa sede inconoscibili, risulta assorbente evidenziare che con l’esposto motivo i ricorrenti non attingono in alcun modo la ‘ratio decidendi’, avendo la sentenza impugnata spiegato che gli esecutati avrebbero dovuto sollevare le doglianze, ora riproposte, nella competente sede esecutiva.
4. Con il secondo motivo viene denunciata l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, nonché violazione degli artt. 2697 cod. civ., 115, 116, 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., assumendosi di avere liberato il tratto di terreno di cui si trattava, nel mentre la Corte d’appello aveva fatto mal governo delle prescrizioni di cui agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché violato la regola dell’onere probatorio e omesso di <> , così violando l’art. 132 cod. proc. civ. e l’art. 118 delle disposizioni di attuazione del codice di rito civile; infine, i ricorrenti deducono (per la prima volta in questa sede, come da loro stessi affermato) che la controparte aveva omesso di produrre nella causa di opposizione al decreto ingiuntivo la copia conforme della sentenza con la formula esecutiva.
4.1. La doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilità
Anche in questo caso i ricorrenti invocano impropriamente davanti al Giudice della legittimità il riesame di questioni aventi carattere squisitamente di merito e comunque oramai definitivamente decise irrevocabilmente.
Solo per completezza è appena il caso di soggiunger che la ricostruzione probatoria, come noto, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché, come noto, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso
per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. 659037).
La pretesa omessa motivazione per mancata pronuncia <>, costituirebbe violazione del tutto atipica, non contemplata dal numero chiuso di cui all’art. 360 cod. proc. civ. (cfr. fra le ultime, S.U. n. n. 3245, 08/11/2021).
Ovviamente, non è ipotizzabile mancanza o apparenza motivazionale, ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. vigente,
avendo la sentenza reso motivazione sicuramente oltre la soglia del minimo costituzionale.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Qui non ricorre alcuna delle ipotesi sopra richiamate, essendo del tutto evidente la ‘ratio’ portante della decisione, la quale ha evidenziato che le contestazioni sollevate avrebbero dovuto essere coltivate nella competente sede esecutiva.
Con il terzo motivo denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 1156, 116, 132 e 474 cod. civ., per non avere la sentenza d’appello rilevato l’inammissibile contenuto decisorio nel provvedimento del giudice dell’esecuzione del 6/11/2012, avendo, invece, reputato che le modalità di attuazione prescritte dal c.t.u. e fatte proprie dal giudice
dell’esecuzione, costituissero mera interpretazione del titolo, rappresentato dalla sentenza.
5.1. Anche questo motivo non è scrutinabile a causa della sua patente inammissibilità.
Non può che ribadirsi che anche qui il ricorso non attinge la ‘ratio decidendi’ (non poteva più mettersi in discussione la decisione del giudice dell’esecuzione).
La critica, muovendo dal contenuto delle norme evocate, non solo presuppone, in generale, una ricostruzione fattuale alternativa, non proponibile in questa sede, ma, nello specifico, la censura è preclusa dalla intangibilità dell’irrevocabilità della statuizione del giudice dell’esecuzione, ribadita dalla sentenza della Corte d’appello impugnata.
Non meno fuori luogo risulta l’evocazione della regola sull’onere probatorio. Essa perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito manifesti la prospettata violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente. Evenienza che qui non è neppure ipotizzabile neppure in remota tesi, tenuto conto della ragione della decisione.
Con il quarto motivo viene denunciato l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, nonché violazione degli artt. 887, 888, 1227, 2697, 2907 cod. civ., nonché 115, 116 e 132 cod. proc. civ. e 118 disp. attuaz. cod. proc. civ.
Si assume che, nonostante la Corte d’appello avesse affermato che in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, emesso ai sensi dell’art. 614 cod. proc. civ., potesse contestarsi la congruità della spese, non aveva statuito sul punto, nonostante che con l’atto d’appello fossero state indicate dettagliatamente le debenze.
6.1. Anche quest’ultimo motivo è inammissibile.
La censura non individua la norma che, seguendo l’assunto, sarebbe stata violata o falsa mente applicata.
La pluralità ed eterogeneità delle norme denunciate dissona dall’argomento posto a sostegno del motivo, secondo il quale la Corte di merito avrebbe omesso di pronunciarsi almeno su una parte delle doglianze che le sarebbero state sottoposte.
Né alla Corte è permesso sostituirsi alla parte individuando essa il vizio pertinente.
Di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, comma 2, cod. proc. civ., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis cod. proc. civ. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio