Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31414 Anno 2024
AULA B
Civile Ord. Sez. L Num. 31414 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18447/2020 R.G. proposto
da
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , e elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME
Oggetto: Lavoro pubblico contrattualizzato –
Medico
radiologo
–
Convenzione
tra
RAGIONE_SOCIALE
e
RAGIONE_SOCIALE
–
Revoca
convenzione
–
Violazione buona fede
R.G.N. 18447/2020
Ud. 22/11/2024 CC
COGNOME che la rappresenta e difende, unitamente a ll’ avvocato COGNOME NOME
-controricorrente e ricorrente incidentale -nonché contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore e domiciliata ope legis in INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO RAGIONE_SOCIALE n. 51/2020 depositata il 26/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 22/11/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 51/2020, pubblicata in data 26 febbraio 2020, la Corte d’appello di Genova, nella regolare costituzione di RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità ‘RAGIONE_SOCIALE“) e RAGIONE_SOCIALE, ha parzialme nte accolto l’appello principale proposto da NOME COGNOME avverso la decisione di prime cure assunta dal Tribunale di Genova e, per l’effetto ha condannato RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno patrimoniale subito da NOME COGNOME.
NOME COGNOME -tecnico radiologo dipendente dell’RAGIONE_SOCIALE – aveva adito una prima volta il Tribunale di Genova riferendo di avere lavorato presso l’RAGIONE_SOCIALE in forza di una convenzione tra RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE; deducendo che, a seguito della chiusura del reparto ove
operava, non era stato più in grado di svolgere le proprie mansioni; chiedendo, quindi, di essere reintegrato nelle stesse.
La domanda era stata respinta in primo grado ma la Corte d’appello di Genova , in riforma della decisione, aveva accertato uno svuotamento quasi totale delle mansioni del lavoratore, riconoscendo allo stesso il conseguente danno, liquidato tuttavia per il periodo sino all’emanazione dell’ordine di servizio del 25 giugno 2015 con cui lo stesso odierno ricorrente, nelle more del giudizio di primo grado, era stato formalmente assegnato da RAGIONE_SOCIALE a mansioni di radiologo presso il INDIRIZZO dell’RAGIONE_SOCIALE.
Successivamente, RAGIONE_SOCIALE aveva attivato presso l’RAGIONE_SOCIALE la procedura di cessazione del regime di convenzionamento, giustificando l’iniziativa con la mancata ottemperanza dello stesso NOME COGNOME al summenzionato ordine di servizio.
Detta richiesta era stata accolta dalla RAGIONE_SOCIALE con effetto retroattivo alla data in cui era intervenuta la sentenza del Tribunale di Genova, e cioè la decisione -poi riformata che aveva respinto le pretese risarcitorie azionate dal lavoratore.
Intervenuta, tuttavia, nel luglio 2017 la già menzionata sentenza della Corte d’appello di Genova, l’RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto ad RAGIONE_SOCIALE – in data 18 giugno 2018 – di procedere sollecitamente alla reintegra di NOME COGNOME nelle mansioni, incontrando tuttavia un diniego, motivato con il fatto che la sentenza della Corte d’appello di Genova aveva accolto la pretesa risarcitoria ma non la domanda di reintegra nelle mansioni.
NOME COGNOME, a questo punto, dopo il proprio pensionamento in data 1° agosto 2018, aveva introdotto un secondo giudizio -all’origine del ricorso ora in esame evocando sia RAGIONE_SOCIALE sia RAGIONE_SOCIALE e chiedendo accertarsi
l’illegittimità del provvedimento che aveva revocato nei propri confronti la convenzione tra i due Enti e la condanna dello stesso RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni.
In prime cure la domanda era stata solo in parte accolta, avendo il Tribunale dichiarato l’illegittimità del rifiuto di RAGIONE_SOCIALE di ripristinare il rapporto di convenzione per il periodo dal 18 giugno 2018 (data della richiesta dell’RAGIONE_SOCIALE di procedere alla reintegra del ricorrente) sino alla data di pensionamento del lavoratore, condannando conseguentemente RAGIONE_SOCIALE alla corresponsione del danno patrimoniale.
Come sintetizzato nella decisione impugnata, il Tribunale aveva ritenuto che la cancellazione del COGNOME dal registro del personale in convenzione fosse avvenuta legittimamente, alla luce della indisponibilità dello stesso NOME COGNOME ad ottemperare a ll’ordine di servizio del 25 giugno 2015 di assegnazione a mansioni di radiologo, ma che, per contro, doveva ritenersi illegittimo il successivo diniego di RAGIONE_SOCIALE di provvedere a reintegrare il ricorrente nel regime di convenzione dopo che era pervenuta la richiesta dell’RAGIONE_SOCIALE, in quanto il diniego era stato motivato da elementi non collegati alla ratio dell’istituto della convenzione.
Proposto appello principale da parte di NOME COGNOME ed appello incidentale da parte sia di RAGIONE_SOCIALE sia di RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’appello ha ritenuto che la stessa cancellazione dell’appellante dal regime di convenzionamento fosse derivata da una condotta non conforme a buona fede di RAGIONE_SOCIALE, la quale, dopo aver motivato una prima volta tale richiesta con la mancata ottemperanza dell’appellante all’ordine di servizio, aveva poi ottenuto l’assenso di RAGIONE_SOCIALE alla cancellazione
solo a seguito della trasmissione della sentenza del Tribunale di Genova che aveva respinto la prima domanda proposta da lavoratore.
Ha osservato la Corte territoriale che tale decisione ultima era stata tuttavia riformata in appello dalla stessa Corte genovese la quale aveva accertato un grave e perdurante demansionamento del lavoratore, concludendo che tale circostanza valeva ad escludere la legittimità della revoca della convenzione anche per il periodo anteriore alla richiesta di reintegra formulata dall’RAGIONE_SOCIALE.
La Corte ha escluso, poi, che la legittimità del provvedimento potesse derivare dalla dedotta inottemperanza del lavoratore all’ordine di servizio di assegnazione a mansioni di radiologo, rilevando che l’appellante era stato assente giustificato per vari t itoli dal 18 maggio 2015 al 31 gennaio 2016.
Ritenuta, quindi, la illegittimità della revoca del convenzionamento, la Corte d’appello ha tuttavia concluso che le pretese risarcitorie risultavano fondate nei confronti della sola RAGIONE_SOCIALE -essendosi RAGIONE_SOCIALE attivata tempestivamente per ottenere la riattivazione della convenzione -e comunque dovevano essere limitate al solo danno patrimoniale derivante dalla perdita di indennità previste dalla contrattazione collettiva.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Genova ricorre NOME COGNOME.
Resiste con controricorso e ricorso incidentale RAGIONE_SOCIALE.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
NOME COGNOME E RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memorie
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso principale è formulato in via subordinata per l’ipotesi in cui il ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE venga accolto, avendo il ricorrente dichiarato che, diversamente, lo stesso deve ritenersi rinunciato.
Lo stesso è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea; 97, Cost.; 3 e 21octies , comma 2, Legge. n. 241/90; 1174, 1374, 1375 c.c.
Il ricorrente censura la decisione della Corte territoriale nella parte in cui quest’ultima ha escluso la responsabilità dell’RAGIONE_SOCIALE, argomentando che il provvedimento con cui è stata disposta dalla controricorrente la cancellazione del ricorrente dal regime di convenzionamento era da ritenersi soggetta alla disciplina degli atti amministrativi e che quindi, anche in virtù della disciplina della convenzione esistente tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, lo stesso doveva essere adeguatamente motivato.
Deduce che, per contro, il provvedimento di cancellazione sarebbe stato assunto sulla base di una motivazione carente e basata su presupposti fattuali incompleti ed incoerenti.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 41 della
Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea; 7, Legge. n. 241/90; 1174, 1374, 1375 c.c.
Sempre in relazione alla decisione che ha escluso la responsabilità dell’RAGIONE_SOCIALE, il ricorrente deduce la illegittimità di tale provvedimento anche perché lo stesso sarebbe stato assunto senza avere la possibilità di esporre le proprie ragioni.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 28 e 113 Cost.; 1218 e 2043 c.c.
Argomenta il ricorrente che la responsabilità dell’RAGIONE_SOCIALE verrebbe a derivare dall’essersi la stessa basata su un provvedimento giudiziale -la sentenza pronunciata dal Tribunale di Genova in relazione alla prima causa promossa dallo stesso ricorrente -ancora suscettibile di impugnazione e di modifica, assumendosi quindi il rischio che la sua caducazione -poi verificatasi per effetto della decisione della Corte d’appello evidenziasse la illegittimità della revoca del convenzionamento.
Deduce, quindi, la responsabilità dell’RAGIONE_SOCIALE per essere venuta meno all’obbligo di mantenere il ricorrente nell’elenco del personale in convenzione, in assenza di fondati motivi di esclusione.
Il ricorso incidentale è affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, testualmente: ‘violazione e falsa applicazione ex art. 360, n. 3 c.p.c. degli artt. 1328, 2043, 2055 cod. civ. Connessa omessa motivazione ex art, 360, n. 5 c.p.c. su punto decisivo della causa ed ex art 360 n. 3 c.p.c. dell’art. 132 n. 4 c.p.c.’.
Anche la ricorrente incidentale impugna la decisione della Corte genovese che ha escluso la responsabilità dell’RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE, deducendo il carattere apparente della motivazione e la violazione dei principi in tema di responsabilità solidale.
2.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, testualmente: ‘Omessa motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. su punto decisivo della causa, connessa violazione di legge ex art. 360, n. 3 c.p.c. dell’art. 132 n. 4 c.p.c. per perplessità della motivazione in relazione alle statuizioni in merito alla intervenuta riforma della prima sentenza ed alla sua incidenza ex post ed ex tunc sul provvedimento di sconvenzionamento’ .
Secondo la ricorrente incidentale la Corte territoriale sarebbe incorsa in motivazione perplessa per aver valorizzato la precedente decisione della Corte d’appello di Genova, omettendo di esaminarne adeguatamente il contenuto.
2.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, testualmente: ‘nullità della sentenza ex art. 360. n. 4 c.p.c. per lesione del diritto di difesa. Contestuale violazione e falsa applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. dell’art. 366 n. 4 c.p.c. e dell’art. 101 II comma c.p.c. e dell’art. 111 Cost.’ .
Argomenta la ricorrente che nessuno dei motivi di appello proposti da NOME COGNOME investiva la valutazione correttezza della condotta del ricorrente medesimo nel non rendere le prestazioni di tecnico di radiologia, mentre, invece, la Corte d’appello, ‘non potendo accogliere le doglienze avversarie del COGNOME circa il supposto diritto a svolgere mansioni di Coordinatore (…) aggiunge una motivazione concorrente e a tal fine sceglie una terza via (…) totalmente estranea ai motivi proposti’ .
Il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile.
Come già evidenziato, infatti, il ricorrente principale ha dichiarato espressamente di proporre impugnazione ‘solo per l’ipotesi che la
stessa venga impugnata dall’RAGIONE_SOCIALE e l’impugnazione venga accolta, mandando l’RAGIONE_SOCIALE assolto’ .
Osserva questa Corte che l’odierno ricorrente principale è risultato vittorioso nel giudizio nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, registrando una soccombenza nei confronti della sola RAGIONE_SOCIALE, la quale, nella presente sede, non ha proposto ricorso incidentale.
Ne consegue che l’odierno ricorrente principale ha proposto una impugnazione condizionata alla mancata impugnazione della parte che nei suoi confronti è risultata soccombente, peraltro riferendo tutte le argomentazioni del gravame ad un’altra parte del giudizio nei cui confronti esso ricorrente principale è, invece, risultato soccombente.
Questa Corte, tuttavia, ha costantemente affermato il principio per cui la parte interamente vittoriosa non può proporre ricorso per cassazione, ancorché condizionato, in quanto quest’ultimo presuppone sempre un interesse dato dalla parziale soccombenza (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4264 del 13/12/1974; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2599 del 04/07/1975).
Ancora più rigorosa, anzi, è la remota posizione assunta da questa Corte nell’affermare che l’interesse della parte vittoriosa a proporre ricorso non può ritenersi sussistente neppure per ragioni di tuziorismo, e cioè per l’eventualità – come nel caso in esame – che sia la parte soccombente a proporre ricorso incidentale ed il ricorso sia accolto, e ciò in quanto il ricorso principale, condizionato all’accoglimento di un ipotetico ricorso incidentale si colloca al di fuori di ogni previsione del nostro sistema processuale (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1285 del 26/04/1968).
Alla luce di tali precedenti, si deve escludere l’ammissibilità del ricorso principale condizionato, precisando che la stessa non può essere affermata neppure in virtù della considerazione che il gravame concerne la posizione di una parte nei cui confronti il ricorrente è risultato soccombente.
Ciò in quanto si deve ritenere l’interesse ad impugnare nei confronti di una parte nei cui confronti si sia rimasti soccombenti dipenda direttamente ed incondizionatamente dalla soccombenza medesima e non possa essere invece ricollegato alla mancata proposizione o al mancato accoglimento dell’impugnazione di un’altra parte nei cui confronti invece si sia risultati vittoriosi.
L’interesse della parte ad impugnare, invero, discende dagli esiti del giudizio a quo e non può invece essere fondata sui potenziali sviluppi o esiti del giudizio ad quem , non essendo alla parte consentito – come invece intenderebbe fare il ricorrente – di far dipendere la propria impugnazione e quindi di riferire l’interesse ad impugnare -dall’esito futuro dell a stessa impugnazione ed anzi, a maggior dall’impugnazione incidentale di un’altra parte del giudizio .
In conclusione deve ritenersi inammissibile il ricorso principale condizionato proposto da una parte che, nel giudizio promosso contro due parti, abbia visto accolta la propria domanda nei confronti di una di esse e non dell’altra, quando tale ricorso, pur se proposto con riferimento alla statuizione di rigetto della domanda nei confronti di una delle parti, sia condizionato alla mancata proposizione di ricorso incidentale ad opera dell’altra parte , risultata invece soccombente, non costituendo una mera prospettiva di tuziorismo difensivo elemento idoneo a fondare l’interesse ad agire in sede di legittimità e non potendo il ricorrente condizionare il ricorso proposto nei confronti di
una parte al mancato accoglimento del ricorso dell’altra parte risultata soccombente.
Passando all’esame del ricorso incidentale, giova operare una duplice premessa.
La prima è che lo stesso non può ritenersi inefficace ex art. 334 c.p.c. in quanto la decisione impugnata risulta essere notificata ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione al solo ricorrente principale ad opera dell’ RAGIONE_SOCIALE, mentre non risulta essere stata notificata ad RAGIONE_SOCIALE, di talché è da ritenersi che in relazione a quest’ultima il termine di impugnazione fosse quello semestrale ex art. 327 c.p.c. con la conseguenza che il ricorso incidentale deve ritenersi tempestivo.
La seconda è che, tuttavia, il ricorso incidentale risulta essere stato notificato ad RAGIONE_SOCIALE presso l’Avvocatura Distrettuale di Genova e non, come invece sarebbe stato corretto, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
Assente qualunque difesa di RAGIONE_SOCIALE in relazione al medesimo ricorso incidentale -essendosi la controricorrente difesa solo in relazione al ricorso principale -ed assente, quindi, alcuna eventuale ipotesi di sanatoria, non vi è, tuttavia, luogo a disporre la rinnovazione della notifica, potendo nella specie trovare applicazione il principio, più volte affermato da questa Corte, per cui il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, con la conseguenza che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare superfluo, pur
potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti. (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 12515 del 21/05/2018; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 11287 del 10/05/2018; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15106 del 17/06/2013).
Il ricorso incidentale, infatti, risulta comunque inammissibile in relazione a tutti i motivi articolati.
5.1. Quanto al primo motivo, un profilo di inammissibilità deriva dal principio, reiteratamente affermato da questa Corte, per cui è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Ciò in quanto l’esposizione diretta e
cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26874 del 23/10/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7009 del 17/03/2017; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011).
Ulteriormente, si deve rammentare, in relazione alla censura di omessa motivazione, che questa Corte a Sezioni Unite ha chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con Legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risulta invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022) così come esula dal vizio di violazione di legge
la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito, laddove nella specie, è proprio tale ultimo profilo che il ricorrente incidentale cerca di dedurre sub specie di omessa motivazione.
Quanto alla deduzione dell’ipotesi di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c., costituisce affermazione fondamentale di questa Corte, quella per cui tale ipotesi deve essere dedotta, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della
sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Nel caso in esame, il motivo di ricorso , dietro l’apparente deduzione della violazione di norme di diritto – peraltro genericamente invocate – mira, in realtà, a sindacare la valutazione in fatto compiuta dalla Corte d’appello in ordine alla conformità , o meno, a buona fede della condotta sia dell’RAGIONE_SOCIALE sia della stessa ricorrente incidentale.
5.2. Quanto al secondo motivo, non possono che riproporsi – in relazione alla deduzione del vizio di motivazione – le medesime considerazioni svolte in relazione al primo motivo: nella specie, pur richiamandosi la categoria della ‘motivazione perplessa’ il motivo si limita a operare una mera censura del percorso motivazione della decisione impugnata, la quale espone il proprio inter argomentativo in modo sintetico ma comunque completo, univoco, comprensibile ed immune da affermazioni reciprocamente inconciliabili, di talché risulta inevitabile constatare che, ancora una volta, le doglianze del ricorrente si sostanziano in una critica del merito della decisione.
5.3. Quanto al terzo motivo, lo stesso risulta, in primo luogo, non prestare ossequio al canone di specificità di cui a ll’art. 366 c.p.c. , in quanto, pur imperniandosi sul tema del contenuto dell’appello proposto dal ricorrente principale, omette di riprodurne i passaggi essenziali o quantomeno di localizzarlo tra gli atti (radicalmente insufficiente essendo l’indicazione della presenza dell’atto ‘nel fascicolo d’ufficio che sarà trasmesso dalla cancelleria’ : pag. 25 ricorso).
Tanto basterebbe per rilevare l’inammissibilità del motivo, ma giova aggiungere che lo stesso non risulta inquadrare adeguatamente la ratio alla base della decisione impugnata, la quale, chiamata a valutare la legittimità della revoca della convenzione ha incentrato la
propria decisione sulla verifica della conformità o meno a buona fede della condotta dell’odierna ricorrente incidentale.
La Corte territoriale, quindi, non ha affermato – come invece opina il ricorrente incidentale – che il lavoratore era legittimato a non riprendere servizio ma ha, più semplicemente, affermato che la revoca della convenzione non poteva essere motivata sulla scorta di tale profilo, rilevando, del resto, che la fondatezza dello stesso era stata contestata anche dalla controricorrente RAGIONE_SOCIALE.
Da ciò consegue che la tematica delle assenze – giustificate o meno – del ricorrente principale è stato, sì, valutato dalla Corte territoriale, ma è stato ritenuto inidoneo a sorreggere la motivazione della richiesta di revoca della convenzione, evidenziando anche che tale motivazione era stata contestata dalla stessa RAGIONE_SOCIALE.
In virtù delle considerazioni che precedono, questa Corte deve dichiarare inammissibile sia il ricorso principale condizionato sia il ricorso incidentale.
Esito , questo, che vale a giustificare l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità tra tutte le parti.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , sia da parte del ricorrente principale, sia da parte del ricorrente incidentale, spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di
cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale;
compensa integralmente tra tutte le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, sia da parte del ricorrente principale, sia da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione