Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23488 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23488 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14461/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE ( già RAGIONE_SOCIALE) in persona del Commissario straordinario elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria del ramo di azienda RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante -intimato-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI PALERMO n. 2029/2017 depositata il 07/11/2017 Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/06/2024
dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Ne l presente giudizio sono confluiti tre giudizi riuniti, aventi ad oggetto diverse domande in relazione ad un contratto di appalto stipulato tra la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE) e la RAGIONE_SOCIALE formata da RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE) e RAGIONE_SOCIALE
Nei predetti giudizi la RAGIONE_SOCIALE lamentava di essere stata ingiustamente esclusa dall’esecuzione dei lavori del contratto di appalto e chiedeva la condanna, tanto della RAGIONE_SOCIALE che della RAGIONE_SOCIALE, al risarcimento del danno; la RAGIONE_SOCIALE chiedeva il pagamento delle somme risultanti del secondo SAL del contratto di appalto; la RAGIONE_SOCIALE opponeva di avere legittimamente risolto il contratto per inadempimento delle due imprese aggiudicatrici costituite in ATI, chiedendo il risarcimento del danno; a questa domanda la RAGIONE_SOCIALE si opponeva, contestando la illegittimità della risoluzione in danno e chiedendo l’accertamento della nullità del contratto di appalto.
Il Tribunale affermava che il contratto di appalto si era risolto per grave inadempimento dell’ATI e condannava la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di 146.459,67 euro (operata la compensazione tra quanto dovuto dalla RAGIONE_SOCIALE e l’importo dei danni dovuti dalla RAGIONE_SOCIALE), e la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di euro 44.838,40 euro.
Le due imprese costruttrici proponevano due distinti appelli che la Corte d’appello di Palermo riuniva. La Corte dichiarava la inammissibilità dell’autonomo appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, poiché
non era stato rispettato il termine breve, ex art. 325 c.p.c., imposto dalla notifica del primo appello, proposto dalla RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE); esaminava, quindi, soltanto i motivi di appello prospettati da RAGIONE_SOCIALE, rilevando che né la RAGIONE_SOCIALE né la RAGIONE_SOCIALE avevano proposto gravame incidentale.
In accoglimento dell’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, la Corte distrettuale determinava il credito della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in euro 510.931,35, determinando, inoltre, il credito risarcitorio complessivamente spettante alla RAGIONE_SOCIALE in euro 168.090,78. La Corte d’appello riteneva altresì -anche in questo caso accogliendo il motivo di appello della RAGIONE_SOCIALE -che la responsabilità per il risarcimento del danno nei confronti della RAGIONE_SOCIALE andasse ripartita in parti uguali tra le due imprese, e quindi suddivideva due la somma di euro 168.090,78, con la conseguenza che condannava la RAGIONE_SOCIALE al pagamento della complessiva somma di euro 426.885,96 in favore di RAGIONE_SOCIALE (operata la compensazione con la metà della somma di euro 168.090, 68, pari a euro 84.045,39) e la RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE della somma di euro 84.045,39 (pari sempre alla metà della somma complessivamente dovuta a titolo di danno alla RAGIONE_SOCIALE).
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, affidato ad un motivo.
Il RAGIONE_SOCIALE, subentrato alla RAGIONE_SOCIALE Regionale, ha svolto difese con controricorso eccependo la sussistenza di un giudicato interno.
E’ rimasta intimata la RAGIONE_SOCIALE. Il RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
La causa è stata trattata alla udienza camerale non partecipata del 13 giugno 2024.
RILEVATO CHE
1. -Con il primo ed unico motivo del ricorso si lamenta, ai sensi dell’art 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 93 comma quarto e 95 comma sesto del DPR 554/2000, nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 1292 c.c.
La ricorrente osserva che nel secondo grado del giudizio non è emersa in alcun modo la sua responsabilità diretta, che è l’unica che può dare luogo all’applicazione della norma citata nella vicenda contrattuale; rileva che, di contro, sono emerse circostanze idonee a escludere qualsivoglia responsabilità della ricorrente, sottovalutate dalla Corte d’appello, secondo l’art 95 comma 6 del DPR 554/200 ratione temporis vigente, in virtù del quale al mandatario spetta la rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti nei confronti della stazione appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo dei lavori, fino alla estinzione di ogni rapporto. La stazione appaltante, tuttavia, può far valere direttamente le responsabilità facenti capo alle imprese mandanti, in forza della norma succitata, ma solo per l’attività posta in essere autonomamente dalle stesse, nell’ambito della vicenda contrattuale. La ricorrente deduce che, per contro, la stessa Corte d’appello aveva rilevato come dall’istruttoria espletata era emerso che la RAGIONE_SOCIALE non aveva preso parte alcuna alle lavorazioni. Di conseguenza, la medesima ritiene che contraddittoriamente le sia stata addossata una responsabilità pari a quella della mandataria, pur dandosi atto che ella non aveva partecipato alla esecuzione dei lavori.
Deduce la istante che la capogruppo, oltre ad agire nel proprio interesse, deve operare diligentemente secondo i principi di buona fede e buona amministrazione nell’interesse dell’ente appaltante,
ma anche nell’interesse delle altre imprese riunite. Lamenta, pertanto, che ad essa ricorrente sia stata addossata una responsabilità pari a quella della mandataria, pur essendosi dato atto che la stessa non aveva partecipato all’esecuzione dei lavori e non aveva assunto alcun comportamento inadempiente nei confronti del soggetto pubblico.
Osserva – conclusivamente -che, pertanto, nel caso concreto, manca completamente il presupposto della solidarietà, erroneamente ritenuta ed applicata dalla Corte d’appello.
2. -Il motivo è inammissibile.
La parte resistente ha, per vero, correttamente eccepito il giudicato sul punto dell’affermazione di responsabilità, atteso che l’appello della RAGIONE_SOCIALE era stato dichiarato inammissibile per tardività, mentre l’appello della AR riguardava la affermazione dell’esclusiva responsabilità della RAGIONE_SOCIALE ed, in subordine, la diversa ripartizione della responsabilità.
L’eccezione è fondata, ed in ogni caso, il giudicato interno è rilevabile anche d’ufficio anche in cassazione (Cass. S.U. n. 13916/2006)
Il giudice di primo grado aveva affermato la responsabilità per inadempimento contrattuale di entrambe le imprese, condannando la RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno, sulla scorta della conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, richiamate dalla Corte d’appello nella sentenza impugnata, le quali evidenziavano che i ritardi nelle lavorazioni e le manchevolezze erano dipese dalla mancata collaborazione tra le due imprese, ad entrambe in pari misura imputabile. Si tratta pertanto di una responsabilità per omissione, così come risulta dalla pagina 4 del controricorso, ove è trascritta l’affermazione del giudice di primo grado, il quale aveva osservato che ‘ E’ più evidente che entrambe -al di là di una nutrita corrispondenza tra di loro e con la stazione appaltante -si siano
limitate a lasciare trascorrere infruttuosamente i mesi, senza adottare un piano concreto per dare esecuzione all’appalto ‘.
Nel secondo grado, una volta dichiarato dalla Corte territoriale inammissibile per tardività l’appello della RAGIONE_SOCIALE -di cui peraltro il ricorso tralascia di riportare i motivi, nel rispetto del principio di autosufficienza -il thema decidendum si era giocoforza ristretto alle pretese fatte valere in via di gravame da RAGIONE_SOCIALE, e cioè alla dedotta esclusione di responsabilità della medesima, con la conseguente esclusione della solidarietà del risarcimento del danno in favore della stazione appaltante, derivante dalla affermazione di responsabilità per inadempimento.
Orbene, il ricorso non censura in alcun modo la dichiarazione di inammissibilità dell’appello, operata dal giudice di seconde cure, che è quindi passata in giudicato, ma attraverso la contestazione della asseritamente erronea applicazione dell’art 1292 c.c. intende rimettere in discussione la questione dell’affermata responsabilità solidale, che a suo dire ricadrebbe, invece, in via esclusiva sulla mandataria, posto che la RAGIONE_SOCIALE ‘non aveva mai chiesto alla ricorrente alcun intervento finalizzato a superare le criticità dell’appalto’. Assume, invero, la istante che, pur mancando il presupposto stesso della responsabilità solidale, ‘si è pervenuti ugualmente alla conclusione di ritenere responsabile la ricorrente di danni che non ha concorso a provocare’.
La questione della responsabilità della RAGIONE_SOCIALE, tuttavia, non può essere riproposta in questa sede, difettando l’ impugnazione della dichiarazione di inammissibilità dell’appello, per il che è venuto meno l’interesse della parte a far valere in sede di legittimità l’erroneità delle ulteriori statuizioni della decisione impugnata. La mancata rimozione della ragione in rito che aveva impedita la valutazione delle ragioni di merito da parte del giudice di appello, determina -per vero – il passaggio in giudicato della statuizione di
inammissibilità, ed il conseguente venir meno dell’interesse della parte a far valere in sede di legittimità l’erroneità delle ulteriori statuizioni della decisione impugnata (Cass. 24550/2023).
Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono inoltre i presupposti per applicare l’articolo 96, III comma c.p.c., che non richiede la domanda di parte, né la prova del danno, posto che nel comportamento della ricorrente si ravvisa certamente la colpa grave, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, anche in sede di gravame (Cass. S.U. n. 9912 del 20/04/2018).
Tale forma di responsabilità, nella specie, è agevolmente ravvisabile nell’avere la ricorrente rimesso in discussione in questa sede – senza la dovuta ponderazione della evidente inammissibilità del ricorso -la sua affermata responsabilità risarcitoria, senza, come si è detto, previamente impugnare la dichiarazione di inammissibilità dell’appello. La condotta in parola si traduce innegabilmente in uno sviamento del sistema giurisdizionale dai suoi fini istituzionali ed in un ingiustificato aumento del contenzioso, in ostacolo alla ragionevole durata dei processi pendenti e al corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione (Cass. n. 10327 del 30/04/2018; Cass. n. 29812 del 18/11/2019).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, euro 200,00 per spese non documentabili, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per
cento ed agli accessori di legge, nonché ad euro 6.000,00 ai sensi dell’art . 96 III comma c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 13/06/2024.