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Inammissibilità appello: quando la domanda è nuova

Una lavoratrice ha visto dichiarare l’inammissibilità dell’appello perché ha introdotto per la prima volta in secondo grado una domanda di licenziamento discriminatorio, diversa da quella iniziale. La Corte di Cassazione, a seguito della rinuncia al ricorso da parte della lavoratrice, ha dichiarato l’inammissibilità per carenza di interesse, condannandola comunque alle spese legali per il principio di soccombenza virtuale, dato che i motivi del ricorso erano palesemente infondati.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Inammissibilità dell’Appello per Nuova Domanda: Analisi di un Caso Pratico

Nel processo civile vige una regola fondamentale: non è possibile modificare l’oggetto della contesa nel passaggio dal primo al secondo grado di giudizio. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, chiarendo le conseguenze dell’inammissibilità dell’appello quando vengono introdotte censure completamente nuove. L’analisi di questo caso offre spunti cruciali per comprendere i limiti del giudizio di appello e il funzionamento del principio di soccombenza virtuale.

I Fatti del Caso: dal Licenziamento all’Appello

Una lavoratrice impugnava il proprio licenziamento sostenendo, in primo grado, unicamente la violazione della sospensione dei licenziamenti imposta dalla normativa emergenziale (art. 46 del d.l. n. 18 del 2020). Il Tribunale rigettava la sua domanda.

Successivamente, la lavoratrice proponeva appello, ma con una strategia difensiva completamente diversa: sosteneva per la prima volta che il licenziamento avesse natura discriminatoria. Questo cambio di rotta rappresentava una sostanziale novità rispetto alla linea tenuta nel primo giudizio.

La Decisione della Corte d’Appello e l’Inammissibilità dell’Appello

La Corte d’Appello di Milano dichiarava l’inammissibilità dell’appello. Secondo i giudici, il combinato disposto degli articoli 342 e 434 del Codice di procedura civile impone all’appellante di formulare una critica specifica e motivata alla sentenza di primo grado. Nel caso di specie, la lavoratrice non aveva confutato le ragioni della prima decisione, ma aveva introdotto una domanda nuova, basata su presupposti (la discriminazione) mai discussi prima. Questo configura un’inammissibile “mutatio libelli”, ovvero un cambiamento della domanda, non consentito in sede di appello.

Il Ricorso in Cassazione e la Rinuncia

Contro la decisione della Corte d’Appello, la lavoratrice proponeva ricorso per cassazione. Tuttavia, in un secondo momento, depositava un atto di rinuncia al ricorso stesso. Questo atto, pur non essendo stato notificato formalmente alla controparte, ha avuto un effetto decisivo sull’esito del procedimento.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per “sopravvenuto difetto di interesse”. La rinuncia, infatti, fa venir meno l’interesse della parte a ottenere una pronuncia nel merito.

Tuttavia, la questione più interessante riguarda la condanna alle spese. Pur in presenza di una rinuncia, la Corte ha applicato il principio di “causalità e soccombenza virtuale”. Ha cioè valutato, in via ipotetica, quale sarebbe stato l’esito del ricorso se fosse stato deciso. Poiché i motivi del ricorso erano considerati manifestamente infondati (essendo palese la novità della domanda introdotta in appello), la lavoratrice è stata ritenuta la parte virtualmente soccombente e, di conseguenza, è stata condannata a rimborsare le spese legali alla controparte.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione

Questa ordinanza offre due importanti lezioni. In primo luogo, conferma in modo netto che l’appello non è una sede per modificare la strategia processuale o introdurre nuove domande. Le censure devono essere mirate a criticare la decisione del primo giudice, non a impostare una nuova causa. In secondo luogo, dimostra che la rinuncia a un ricorso palesemente infondato non mette al riparo dalla condanna alle spese. Il principio di soccombenza virtuale permette al giudice di addebitare i costi alla parte che ha avviato un’impugnazione senza reali possibilità di successo, garantendo così equità e scoraggiando liti temerarie.

È possibile modificare la causa della domanda in appello?
No, la Corte ha stabilito che introdurre in appello una nuova impostazione della domanda, come sostenere per la prima volta la natura discriminatoria di un licenziamento, rende l’appello inammissibile.

Cosa succede se si rinuncia a un ricorso in Cassazione?
Se si rinuncia al ricorso, la Corte lo dichiara inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse. Tuttavia, questo non esonera dal pagamento delle spese legali.

Chi paga le spese se il ricorso viene ritirato?
Le spese sono a carico della parte che rinuncia, in base al principio di “soccombenza virtuale”. La Corte valuta se i motivi del ricorso erano manifestamente infondati e, in caso affermativo, condanna il rinunciante al pagamento delle spese come se avesse perso la causa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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