Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 32192 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 32192 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10549/2023 R.G. proposto da : COGNOME UMBERTA, COGNOMERAGIONE_SOCIALE, COGNOME, elettivamente domiciliati in CAULONIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 461/2023 depositata il 28/02/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Bologna ha confermato la decisione del locale Tribunale che aveva respinto le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE e da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, quali fideiussori, volte ad ottenere la condanna di Unicredit spa alla restituzione dell’indebito asseritamente derivante dall’applicazione illegittima, nel rapporto di conto corrente ordinario e nei due rapporti di conto corrente anticipi, di interessi ultralegali, anatocistici, usurari, valute e commissione di massimo scoperto, e, nei tre contratti di mutuo, di interessi usurari; nonché le domande volte alla declaratoria della nullità delle fideiussioni di cui avevano disconosciuto la firma, di inefficacia delle stesse ex art. 1956 c.c., ed, infine, di risarcimento del danno conseguente all’asserito esercizio illegittimo del recesso dell’istituto di credito dagli affidamenti concessi.
1.1- In sintesi il Tribunale – premesso che il correntista che agisce per la ripetizione dell’indebito è onerato della prova del proprio diritto -osservava che che parte attrice: (i) non aveva prodotto, se non con la seconda memoria istruttoria, documentazione peraltro largamente lacunosa relativa ai rapporti in contestazione; (ii) si era limitata ad una contestazione del tutto generica, neppure specificatamente diretta nei confronti di ogni singolo rapporto impugnato, di cui non aveva indicata né la data di apertura e chiusura nè le condizioni applicate; (iii) difettando ogni indicazione agli effetti della natura solutoria o ripristinatoria dei versamenti avvenuti in conto corrente, non aveva dato prova di quali tra questi versamenti avessero natura di pagamenti indebiti; (iv) non aveva indicato se interessi di mora o comunque usurari (frutto asseritamente del cumulo tra tasso corrispettivo e quello di
mora) fossero stati pagati ed in che misura; ovvero per quale motivo gli interessi applicati sui conti correnti non sarebbero stati validamente pattuiti non avendo neppure prodotto il testo dei contratti censurati; né quando e in che misura sarebbe stato violato il divieto di anatocismo; né quando e in che misura sarebbero state applicate commissioni di massimo scoperto non pattuite validamente.
In sostanza il Tribunale rilevava l’assoluta indeterminatezza della domanda che si accompagnava senza alcuna plausibile giustificazione ad una produzione incompleta; sicché l’ammontare dell’indebito preteso era affidato completamente ad una consulenza tecnica di natura francamente esplorativa e perciò inammissibile.
Quanto alla questione della autografia delle sottoscrizioni apposte in calce agli impegni fideiussori osservava, da un lato, che gli attori non avevano disconosciuto la sottoscrizione apposta in data 10 giugno 2014 alla «richiesta» di affidamento presentata dalla società e dagli altri attori in qualità di garanti, il che rappresentava un comportamento in contrasto con la pretesa falsità delle sottoscrizioni, poi, apposte ai moduli in atti; dall’altro, che, non essendo stata la banca ad invocare le fideiussioni, i garanti non erano titolati a proporre l’eccezione di disconoscimento (di documenti peraltro neppure prodotti), poiché, semmai, avrebbero dovuto chiedere in via principale l’accertamento della falsità delle scritture in questione.
Infine osservava che nessuna prova era stata fornita dell’inadempimento della banca al dovere di informazione nei confronti dei fideiussori agli effetti dell’operatività dell’art. 1956 c.c., sottolineando, peraltro, che uno dei fideiussori rivestiva la qualità di legale rappresentante della società affidata e gli altri erano di questo parenti stretti e, quindi, ragionevolmente perfettamente al corrente della situazione patrimoniale della società.
-La Corte d’Appello -premesso che alla luce della giurisprudenza di legittimità (Sez. Un. n. 27199/2017) per l’ammissibilità dell’appello è indispensabile « una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni adottate dal primo giudice», pure senza che occorra l’utilizzo di particolari forme non trattandosi di impugnazione a critica vincolata – ha osservato:
che nel censurare la decisione di primo grado per aver ritenuto non assolto l’onere probatorio e non ammissibile la richiesta CTU contabile, parte appellante si era limitata a dedurre apoditticamente che -al contrario di quanto affermato dal Tribunale -la documentazione prodotta sarebbe completa, nonostante risultasse la mancata produzione della documentazione contrattuale e di parte degli estratti conto;
che nel censurare la decisione in punto validità delle fideiussioni parte appellante si era limitata a ribadire il disconoscimento della sottoscrizione e la richiesta di far luogo a verificazione per mezzo di una perizia grafologica, senza tenere conto e senza sottoporre a specifica censura il capo della sentenza impugnata nel quale si dava atto dell’inammissibilità del disconoscimento in relazione a contratti neppure prodotti dall’allora parte attrice, bensì dalla banca convenuta con la memoria istruttoria che comunque non li aveva posti a fondamento di alcuna domanda verso i garanti;
che, parimenti, reiterando l’eccezione di inefficacia delle fideiussioni ex art. 1956 c.c., parte appellante non aveva mosso alcuna critica specifica alla motivazione resa sul punto dal primo giudice.
2.1- Pertanto ha ritenuto l’appello in larga parte inammissibile ex art. 342 c.p.c. e, comunque, per intervenuto passaggio in
giudicato delle statuizioni non specificamente impugnate, con la sola eccezione della doglianza relativa all’omessa pronuncia circa le eccepita nullità delle fideiussioni in quanto riproducenti alcune clausole dello schema uniforme ABI costituente un’intesa anticoncorrenziale vietata, in ordine alla quale, effettivamente, il primo giudice non si era pronunciato.
Sul punto la Corte d’appello, richiamata la sentenza delle Sezioni Unite n. 41994/2021, ha osservato, da un lato, che secondo la predetta sentenza i contratti «a valle» dell’intesa vietata sono parzialmente nulli in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema ABI, salvo che sia desumibile dal contratto o sia provata dalla parte che invoca la nullità integrale del contratto, che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità; dall’altro che un’eventuale nullità parziale potrebbe comunque riguardare solo le clausole corrispondenti alle clausole n. 2, 6 e 8 dello schema ABI.
2.2- Ciò premesso ha concluso che nella specie nessuna nullità neppure parziale, rilevante, era ravvisabile, poiché la clausola di rinuncia al termine decadenziale di cui all’articolo 1957 c.c. -in tesi corrispondente alla n. 6 del schema ABI alla cui nullità avevano interesse i fideiussori onde eccepire la tardività dell’iniziativa intrapresa nei loro confronti dalla banca – non era presente in alcuna delle quattro fideiussioni prodotte in atti dalla banca, ove la corrispondente clausola non prevedeva affatto una integrale deroga all’articolo 1957 (dunque la rinuncia del garante a fra valere la decadenza della banca) ma unicamente il prolungamento del termine di decadenza da sei mesi a 36 mesi (la cui vana decorrenza non era stata neppure dedotta).
3.- Contro la sentenza hanno proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME affidandolo a tre motivi di cassazione. UniCredit s.p.a. resiste con controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria
E’ stata formulata una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis c.p.c.
La difesa di parte ricorrente ha chiesto la decisione e si è riservata di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 380 bis c.p.c., per violazione degli artt. 3, 24, 25, 111, 117 Cost., senza tuttavia, dare poi seguito all’annunciato proposito.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il ricorso contiene i seguenti motivi.
1.1- Primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 132 n. 4 342 c.p.c. e 111 Cost. in relazione all’art.360 comma 1 n.4 c.p.c. in quanto sia il Tribunale che la Corte d’appello hanno omesso di pronunciarsi sulla domanda di accertamento della falsità delle firme apposte sulle fideiussioni. Reputano i ricorrenti, in sintesi, che erroneamente i giudici di merito abbiano ritenuto che nel giudizio essi avessero proposto solo un’eccezione di disconoscimento e non una domanda di accertamento della falsità delle fideiussioni, la quale, pertanto, in quanto proposta, andava decisa nel merito; anche in appello ove era stata riproposta con espressa richiesta di ammissione della CTU grafologica diretta a verificare se le firme apposte appartenevano o meno agli attori; invece la Corte si sarebbe limitata a parafrasare quanto statuito dal Tribunale ribadendo l’inammissibilità del disconoscimento in relazione a contratti non prodotti dall’allora parte attrice, con una motivazione « omessa o apparente » che « non regge la decisione di rigetto della specifica domanda principale di accertamento della falsità delle firme apposte in calce alle fideiussioni » ( cosi’ pag. 16 ricorso).
1.2- il Secondo motivo denuncia « violazione degli artt. 61, 112, 191, 194, 115, 116, 132 comma 2° n. 4, 345, 356 c.p.c. e art. 111 comma 6° Cost., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e 4 c.p.c. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. ». Con detto motivo i ricorrenti si dolgono del fatto che né il Tribunale di Bologna né la Corte d’appello abbiano ammesso la richiesta CTU contabile, sostenendo che la stessa non era affatto esplorativa poiché il CTU avrebbe dovuto esaminare gli estratti conto dai quali risultavano tutte le illegittimità denunciate; la Corte avrebbe omesso di valutare la documentazione contabile prodotta e avrebbe « travisato la prova dato che dall’esame di decreti ministeriali e degli estratti conto emergevano le violazioni denunciate, vale a dire sia l’usura sia l’anatocismo sia tutte le altre illegittimità denunciate». Pur consapevoli della giurisprudenza di questa Corte circa l’incensurabilità in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione della mancata disposizione di consulenza tecnica d’ufficio laddove essa sia stata ritenuta finalizzata ad esonerare la parte dell’onere della prova o richiesta fini esplorativi alla ricerca di fatti circostanze o elementi non provati, reputano i ricorrenti che, nel caso di specie, a fronte della produzione documentale effettuata, il giudice non potesse qualificare come esplorativa la consulenza senza dimostrare che la documentazione esibita forse irrilevante come pure stabilito dalla Corte di legittimità (cita cass. n. 15219/2007).
1.3- Il terzo motivo denuncia «violazione degli artt. 1418, 1419, 1938, 1939, 1955, 1956, 1957, 1958, c.c. e art. 2 comma 2 lett .a) e comma 3 della l. n. 287/1990 e 101 TFUE, e art. 33, comma 2° lett. t) cod. cons. in contrasto con l’art. 360 n. 3 c.p.c.»; con detto motivo i ricorrenti reputano illegittima la motivazione con cui la Corte ha respinto la nullità parziale delle fideiussioni con riguardo alla deroga all’articolo 1957 c.c., che rappresenterebbe comunque un aggiramento ai termini brevi di cui alla norma, dato che il prolungamento da sei a 36 mesi del termine di decadenza si porrebbe in contrasto con la normativa antitrust; invero, a loro dire, il termine perentorio di sei mesi non era derogabile per
volontà delle parti e detta deroga si porrebbe in contrasto con i principi che hanno portato a ritenere illecito lo schema ABI oggetto di intesa anticoncorrenziale; si dilungano circa le conseguenze dell’accertamento di un’intesa restrittiva della concorrenza in termini di nullità dei contratti «a valle», per concludere che, non avendo la banca agito nel termine di scadenza di sei mesi, i fideiussori devono considerarsi liberati per effetto dell’estinzione dell’obbligazione fideiussoria.
2.- La proposta ha il tenore che segue.
«La Corte d’appello di Bologna, confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto che parte appellante ha articolato motivi aspecifici, in violazione dell’art. 342 c.p.c., in ordine: a) al ritenuto mancato assolvimento dell’onere probatorio e alla non ammissione di c.t.u. da parte del Tribunale, essendosi limitata apoditticamente a sostenere che i documenti in atti sono completi, contrariamente a quanto invece risulta in causa; b) alla inammissibilità della domanda di ripetizione di indebito su conto corrente ancora aperto, limitandosi genericamente ad affermare che i rapporti sono sciolti avendo la banca risolto ogni rapporto, contrariamente a quello che risulta dagli atti di causa; c) alla ritenuta, da parte del primo giudice, inammissibilità del disconoscimento di documenti non prodotti dalla banca, quali le fideiussioni, avendo semmai gli attori facoltà di proporre domanda di accertamento della falsità in via principale, come non è però avvenuto nella specie; d) al rigetto delle eccezioni inefficacia ed invalidità delle fideiussioni ex artt. 1938, 1939 e 1956 c.c., non essendo censurata la statuizione del tribunale in ordine al difetto di prova della violazione dei doveri informativi della banca verso i fideiussori, oltretutto legale rappresentante e parenti degli esponenti della società debitrice principale, né avendo essi provato che la banca abbia continuato a concedere credito nel peggioramento delle condizioni economiche di quella;
ha aggiunto che, quanto al motivo relativo alla omessa pronuncia di nullità delle fideiussioni per riprodurre clausole sanzionate dall’AGCM, le fideiussioni in atti non contengono la clausola di deroga all’art. 1957 c.c., come invece sostenuto dagli istanti, ossia la clausola n. 6 sanzionata dall’Autorità, onde non ne sussiste neppure la nullità parziale, secondo i principi di Cass. SU n. 41944/2021;
il primo motivo -che deduce la omessa pronuncia o omessa motivazione sulla domanda di accertamento della falsità delle firme apposte alle fideiussioni -è inammissibile, in quanto non censura la ‘ratio decidendi’ della sentenza impugnata, che ha ritenuto il motivo aspecifico ex art. 342 c.p.c.;
il secondo motivo -che deduce violazione di legge ed omesso esame, quanto al mancato espletamento di una c.t.u. -è inammissibile, sotto plurimi profili, in quanto: non censura la ‘ratio decidendi’ della sentenza impugnata, che ha ritenuto il motivo aspecifico ex art. 342 c.p.c.; ripropone palesemente un giudizio sul fatto; deduce il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. pur in presenza di una c.d. doppia conforme; non considera, ai sensi dell’art. 360 -bis, n. 1, c.p.c., che disporre l’espletamento di c.t.u. è decisione discrezionale del giudice del merito, ove motivata (cfr. e multis Cass. n. 20264/2022; Cass. n. 21904/2020; Cass. n. 11267/2020; Cass. n. 134/2020; Cass. n. 33230/2019; Cass. n. 21563/2019; Cass. n. 20899/2019) e, pertanto, la motivazione del diniego può addirittura essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato dal giudice (Cass.
n. 22622/2020; Cass. n. 326/2020; Cass. n. 6155/2009; Cass. n. 15219/2007);
il terzo motivo, che deduce il mancato rilievo della nullità delle fideiussioni in violazione di varie disposizioni, è inammissibile,
in quanto si scontra con accertamento di fatto sul testo negoziale, come compiuto dal giudice del merito».
3.- Reputa il Collegio che le ragioni di inammissibilità dei motivi di cassazione illustrati nella PDA siano del tutto condivisibili.
3.1- Invero quanto al primo motivo i ricorrenti si dolgono della decisone (conforme di primo e secondo grado) circa l’inammissibilità del disconoscimento e della verificazione richiesta delle sottoscrizioni apposte ai contratti di fideiussione, senza confrontarsi con la ratio decidendi della pronuncia di secondo grado (unica a poter essere oggetto di censura in questa sede) che ha ritenuto inammissibile il gravame d’appello perché, non corrispondendo ai requisiti di specificità richiesti dall’art. 342 c.p.c., non si confrontava e non sottoponeva a specifica censura il capo della sentenza impugnata nel quale si dava atto dell’inammissibilità della richiesta procedura di verificazione delle disconosciute sottoscrizioni di contratti non prodotti dall’allora parte attrice e, soprattutto, non allegati dalla banca convenuta onde far valere una propria pretesa, oltre che della contraddittorietà del comportamento della parte, che deduceva la falsità della sottoscrizione del modulo fideiussorio, ma non della firma apposta sulla richiesta di concessione dell’affidamento; dolendosi dunque di una omessa pronuncia sulla pretesa domanda di accertamento della falsità di dette sottoscrizioni i ricorrenti non aggrediscono il motivo effettivo di rigetto del gravame.
3.2 Quanto al secondo motivo non può che ribadirsi quanto esaurientemente esposto nella proposta alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità, cui i ricorrenti fanno riferimento parziale e strumentale poiché il precedente citato (cita cass. n. 15219/2007) non si attaglia certo al caso di specie, ove la documentazione è stata motivatamente ritenuta dal giudice largamente lacunosa e incompleta in presenza di andamento di rapporti contabili niente affatto non controversi, per tacere della
palese inammissibilità di un motivo che mescola mezzi di impugnazione eterogenei, e facendo riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3, 4 e n. 5 c.p.c. e, quindi, a questioni logicamente incompatibili (quali l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa), finisce per rimettere impropriamente al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurre ad uno dei mezzi di impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c. (v. per tutte Cass. n. 26874 del 2018). Inoltre i ricorrenti pretendono di invocare il vizio di omesso esame di cui all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. con riguardo non ad un «fatto storico» ma ad una richiesta istruttoria: va invero ribadito che il controllo previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c. novellato, concerne, «l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia)» (Cass. n. 8053/2014).
3.3.Quanto al terzo motivo, che come si afferma nella proposta, mira a rimettere in discussione in questa sede di legittimità un accertamento «in fatto» del giudice di merito che attiene al contenuto negoziale degli atti contestati, si può aggiungere che secondo la pronuncia delle Sezioni Unite n. 41994/2021, la nullità pur parziale delle clausole di una fideiussione per contrasto con la normativa antitrust, presuppone agli atti risultino allegate e dimostrate tutte le circostanze fattuali necessarie alla sua integrazione, e cioè:
il provvedimento della Banca d’Italia;
ii) la natura della fideiussione, giacché il provvedimento della Banca d’Italia è riferito solo ed esclusivamente alle fideiussioni omnibus , non a quelle prestate per un affare particolare,
fideiussioni omnibus le quali vengono specificamente prese in considerazione per la loro attitudine, evidenziata dall’Associazione Bancaria Italiana, quale strumento di tutela macroprudenziale del sistema bancario, sicché l’accertamento effettuato dall’allora Autorità Garante è stato limitato a tale tipologia di fideiussione, e solo rispetto ad essa può possedere l’efficacia probatoria privilegiata che l’ordinamento gli riconosce;
iii) l’epoca di stipulazione della fideiussione, che deve essere stata stipulata entro l’ambito temporale al quale può essere riferito l’accertamento della Banca d’Italia, evidente essendo che detto accertamento, operato nel 2005, non può affatto consentire di reputare esistente, e cioè persistente, in epoca successiva il pregresso accordo anticoncorrenziale, di guisa che, in caso di compresenza delle tre clausole successivamente al 2005, l’interessato ben può dedurre e comprovare che l’intesa anticoncorrenziale c’è, ma non certo in base al provvedimento precedente, bensì offrendone altra e specifica prova;
iv) il contenuto delle clausole contrattuali di cui si invoca la nullità e la loro esatta corrispondenza con quelle oggetto di esame da parte della Banca d’Italia nel provvedimento in precedenza richiamato, esatta corrispondenza da riguardare, beninteso, in termini di compresenza, giacché, nella prospettiva seguita dal provvedimento n. 55, è la compresenza delle clausole ad essere lesiva della concorrenza.
Nella specie i ricorrenti non affrontano alcuno di questi temi decisivi agli effetti della nullità invocata, oltre a dolersi inammissibilmente di una pronuncia che nel merito esclude la corrispondenza delle fideiussioni impugnate alla schema ABI costituente un’intesa vietata. Ma pretendono – con argomentazione del tutto nuova e perciò inammissibile -che nella illiceità della predetta intesa siano ricomprese anche clausole derogatorie dei termini di decadenza di cui all’art. 1957 c.c. che non implicano la
rinuncia a far valere la decadenza in cui sia incorso l’istituto di credito come quella oggetto del modello su cui si è pronunciata l’autorità garante ovvero la Banca d’Italia –
Invero le Sezioni Unite citate hanno affermato a chiare lettere che (in ipotesi) la nullità colpisce le sole « clausole che costituiscono pedissequa applicazione degli articoli dello schema ABI, dichiarati nulli dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 (nn. 2, 6 e 8) che, peraltro, ha espressamente fatto salve le altre clausole », mentre nella specie non risulta alcuna clausola che riproduca il contenuto dell’art. 6; né la ragione della nullità di una clausola di rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c. risulta estendibile ad una clausola che prolunghi il termini di decadenza, dovendo la prima ravvisarsi nell’evitare che il fideiussore sia esposto per un tempo indeterminato all’escussione della garanzia, laddove nel caso di specie l’evenienza è scongiurata per avere le parti comunque individuato un termine entro il quale la banca è tenuta a far valere la garanzia a pena di perdita dei propri diritti.
4.- Il ricorso in conclusione va dichiarato inammissibile.
– Le spese seguono la soccombenza.
6.1- Considerato che la trattazione del procedimento è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. ultimo comma a seguito di proposta di inammissibilità a firma del Consigliere delegato dal Presidente della sezione, la Corte, avendo definito il giudizio in conformità della proposta, deve applicare il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 c.p.c. , come testualmente previsto dall’art. 380 bis ultimo comma (« Se entro il termine indicato al secondo comma la parte chiede la decisione, la Corte procede ai sensi dell’articolo 380-bis.1 e quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 »). L’art. 96 terzo comma, a sua volta, così dispone: « In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore
della controparte, di una somma equitativamente determinata» . Il quarto comma aggiunge: « Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000 ».
Come chiarito dalle Sezoni Unite di questa Corte, si tratta di una disposizione (introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 149/2022) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore delegato, della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96 terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma, ove, appunto il legislatore usa la locuzione «altresì»). In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro già immanente nel sistema processuale (da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale) » (Cass. Sez. Un. n.27433/2023, in motivazione).
In tal senso, i ricorrenti vanno condannati in solido tra loro, nei confronti della controricorrente, al pagamento di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96 terzo comma c.p.c. avuto riguardo alla liquidazione dei compensi dovuti alla parte resistente, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende, ex art, 96 quarto comma c.p.c.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME condanna i ricorrenti in solido fra loro al pagamento, in
favore della parte controricorrente UniCredit s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di euro 4.300,00 in favore della parte controricorrente ai sensi dell’art. 96 cpc e dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende. A i sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª