Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 32080 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 32080 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11189/2022 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE NOMERAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 1489/2022 depositata il 04/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/10/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso notificato in data 30/03/2022, illustrato da successiva memoria, NOME COGNOME ha impugnato per cassazione la sentenza n.1489/2022 della Corte d’Appello di Roma; parte controricorrente RAGIONE_SOCIALE ha notificato controricorso.
Nel giudizio di primo grado, svoltosi innanzi al tribunale di Roma, il ricorrente ha visto rigettare la domanda volta a ottenere la risoluzione del contratto di formazione professionale stipulato con CEDEL poiché, dopo la prima fase didattica, CEDEL non avrebbe adempiuto l’obbligo di avviarlo presso una delle aziende consorziate per svolgere uno stage retribuito, come previsto nel programma formativo che si era impegnata a far svolgere.
Per quanto ancora di interesse, con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello avverso l’ordinanza emessa ex art. 702 bis c.p.c. nel primo grado per carenza dei requisiti di cui all’art. 342 c.p.c. e, nel merito, lo ha rigettato. Avverso la sentenza sono formulati quattro motivi di censura riguardo sia alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello che alla statuizione di rigetto nel merito.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo (‘per violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cpc sotto il profilo dell’art. 360, 3) cpc) ‘, il ricorrente impugna la declaratoria d’inammissibilità dell’appello per
mancanza di specificità del motivo di censura della sentenza gravata assumendo che esso, invece, sarebbe stato ‘ evidente ‘ e coincidente con la ‘ mancata risoluzione del rapporto per fatto e colpa della RAGIONE_SOCIALE ed al riconoscimento del relativo risarcimento del danno ‘.
Il motivo pone una questione pregiudiziale che, se fondata, determina l’assorbimento degli ulteriori motivi, inerenti alla decisione di merito. La censura ivi contenuta è avverso la statuizione di inammissibilità dell’appello, pronunciata ai sensi dell’art. 342 c.p.c., in base alla quale il giudice, una volta definito il giudizio con una statuizione, in rito, di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), normalmente si spoglia della potestas decidendi sul merito della controversia.
Nella fattispecie in esame occorre pertanto dare seguito al principio in base al quale, qualora il giudice, dopo il rilievo di inammissibilità dell’impugnazione, abbia impropriamente inserito nella decisione anche delle argomentazioni di merito, rese ‘ ad abundantiam ‘, la parte soccombente non ha l’onere, né l’interesse, a richiedere, con il mezzo di impugnazione, un sindacato in ordine a tale parte di motivazione, siccome ininfluente ai fini della decisione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007).
In tale eventualità, effettivamente verificatasi – dato il carattere scarno della motivazione di rigetto del merito -, è ammissibile solo l’impugnazione che si rivolga alla statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ” ad abundantiam ” nella sentenza gravata. ( Cass. Sez. 2 – , Sentenza n. 101 del 04/01/2017; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17004 del 20/08/2015; Sez. U, Sentenza n. 15122 del 17/06/2013; Cass. Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007).
Posto quanto sopra, la censura del ricorrente è nel senso che la Corte territoriale abbia errato nel dichiarare -in rito -inammissibile l’appello per violazione del requisito di specificità dei motivi di cui all’art. 342 c.p.c., essendosi limitata a citare giurisprudenza risalente ad un periodo antecedente alla riforma della normativa sull’appello, intervenuta nell’anno 2012.
La decisione impugnata, dopo avere fatto riferimento alla corrente giurisprudenziale sul requisito di specificità dei motivi, ha rilevato che, nel caso di specie, l’atto di appello non riportava con precisione quali parti della sentenza si intendono censurare, riproducendo soltanto alcune frasi della sentenza, senza però ricostruire l’ iter argomentativo seguito dal Tribunale. Deduce, invece, il ricorrente che il motivo di appello sarebbe stato ‘ evidente ‘ in quanto coincidente con la ‘ mancata risoluzione del rapporto per fatto e colpa della NOME ed il riconoscimento del relativo risarcimento del danno ‘ chiesta dall’attore appellante.
La censura è inammissibile in quanto aspecifica.
Si osserva che il principio di diritto affermato e applicato nella pronuncia impugnata non ha perso d’ importanza e attualità, pur se riferito a giurisprudenza espressasi ante riforma. Invero, il legislatore delle riforme del 2012 ha recepito, a livello di diritto positivo, i contenuti dei principali orientamenti giurisprudenziali affermati in relazione alla specificità dei motivi dell’impugnazione nel merito, rafforzandoli. L’art. 342 c.p.c., come novellato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito con modifiche nella l. n. 134 del 2012, non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il ” quantum appellatum “, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza
impugnata, nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono, e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21336 del 14/09/2017).
In linea di principio oggi, ancor di più di allora, il grado di specificità dei motivi di appello esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico giuridico delle prime, sì da consentire una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di ” revisio prioris instantiae ” del giudizio di appello, il quale in ogni caso mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. U – , Ordinanza n. 36481 del 13/12/2022; Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 10916 del 05/05/2017; Cass. Sez. 1 – , Sentenza n. 18932 del 27/09/2016).
A ffinché l’appello sia ammissibile occorre pertanto che le censure mosse alla sentenza di prime cure siano puntuali, determinate ed univoche. E’, così, certamente inammissibile, un atto di appello che, limitandosi a riprodurre le argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado, senza il minimo riferimento alle statuizioni di cui è chiesta la riforma, non contenga alcuna parte argomentativa che, mediante censura espressa e motivata, miri a contestare il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata (Sez. U,
Sentenza n. 23299 del 09/11/2011; Sez. 3, Sentenza n. 12280 del 15/06/2016; Sez. L – , Ordinanza n. 3194 del 04/02/2019).
per
Posto quanto sopra in tema di presupposto l’ammissibilità dell’appello, correttamente enunciato dalla sentenza impugnata, la censura si rivela inammissibile per difetto di autosufficienza ex art. 366 n. 6 cod. proc. civ., perché al giudice di legittimità non offre elementi, tratti dall’atto di appello, idonei a scalfire l’ iter logico seguito dalla Corte di merito nell’applicare i principi di cui sopra , correttamente richiamati. Ed invero, quando il giudice d’appello ha dichiarato inammissibili i motivi di gravame, ritenendoli privi di specificità, la parte rimasta soccombente che ricorra in cassazione contro tale sentenza ha l’onere di denunziare l’errore in cui è incorsa la sentenza gravata e di dimostrare che il motivo d’appello, ritenuto non specifico, aveva invece i requisiti richiesti dell’art. 342 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 18776 del 04/07/2023; Cass., sez.2, 20/08/2019, n. 21514; Cass., sez. 3, 09/03/1995, n. 2749 Cass., sez. L, 14/05/2004, n. 9243).
Il ricorrente, di contro, non ha formulato una specifica censura della statuizione di inammissibilità, ma si è limitato a denunziare come non conformi al diritto vivente i requisiti di ammissibilità pretesi dalla Corte di merito, rispetto a un atto d’appello il cui contenuto, invece, non risulta trascritto per la parte che rileva ai fini dello scrutinio di questa Suprema Corte (Cass. SU. Sentenza n. 34469 del 27/12/2019).
Conclusivamente, il ricorso è inammissibile quanto al primo motivo, assorbiti i restanti motivi, con ogni conseguenza in ordine alle spese , che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore della parte resistente
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese , liquidate in € 1.500,00, oltre € 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13 .
Così deciso in Roma, il 25/10/2024.