Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 106 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 106 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17886/2019 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (indirizzo p.e.c. indicato nel ricorso: EMAIL
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dall ‘ avv. NOME COGNOME (indirizzo p.e.c. indicato nel controricorso: EMAIL)
– controricorrenti – avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO DI VENEZIA n. 1030/2018 pubblicata il 26 aprile 2018
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 2646/2011 del 14 novembre 2011, pronunciando sulle contrapposte domande formulate in via principale dai coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME contro la convenuta NOME COGNOME e in via riconvenzionale da quest ‘ ultima nei confronti degli attori,
l ‘ adìto Tribunale di Vicenza così definitivamente statuiva all ‘ esito della svolta istruttoria: (1)dichiarava valido il recesso esercitato dai Bulai-Cernic dal contratto preliminare di compravendita stipulato con la Fantinato il 2 marzo 2005, avente ad oggetto un appartamento con pertinenziale garage sito in Padova alla INDIRIZZO di proprietà della convenuta; (2)condannava, conseguentemente, la COGNOME a pagare agli attori la somma di 24.000 euro, pari al doppio della caparra da loro versata, nonché a restituire agli stessi l ‘ ulteriore importo di 20.000 euro corrisposto in acconto sul prezzo pattuito, il tutto con l ‘ aggiunta degli interessi maturati e maturandi; (3)respingeva le riconvenzionali spiegate dalla convenuta, intese a sentir accertare il suo diritto di recedere dal contratto e di ritenere la caparra ricevuta, nonché e a sentir condannare i COGNOME al risarcimento dei danni cagionati per aver apportato modifiche all ‘ immobile promesso in vendita; (4)poneva a carico della parte soccombente le spese di lite, comprese quelle relative all ‘ espletata c.t.u..
La decisione veniva impugnata dalla COGNOME davanti alla Corte distrettuale di Venezia, la quale, con sentenza n. 1030/2018 del 26 aprile 2018, rigettava l ‘ esperito gravame, condannando l ‘ appellante alle ulteriori spese del grado.
Rilevava il giudice distrettuale: – che la promittente venditrice si era resa inadempiente alle proprie obbligazioni, in quanto l ‘immobile oggetto del preliminare era risultato privo delle qualità da lei promesse, non potendo essere adibito ad abitazione di due persone, come invece convenuto fra le parti; – che legittimamente, pertanto, i promissari acquirenti si erano avvalsi delle facoltà riconosciute alla parte non inadempiente dall ‘ art. 1385, comma 2, seconda parte, c.c..
La decisione veniva impugnata dalla COGNOME davanti alla Corte distrettuale di Venezia, la quale, con sentenza n. 1030/2018 del 26 aprile 2018, rigettava l ‘ esperito gravame, condannando l ‘ appellante
alle ulteriori spese del grado.
Avverso quest ‘ ultima sentenza la stessa COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi,
I COGNOME hanno resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell ‘art. 380 -bis .1 c.p.c..
La sola ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è denunciata la nullità della sentenza per motivazione apparente o irriducibilmente contradittoria ovvero perplessa e obiettivamente incomprensibile.
Si argomenta, al riguardo: – che a sostegno della decisione assunta, la Corte d ‘ Appello di Venezia ha confusamente richiamato i princìpi di diritto in tema di vendita di aliud pro alio , di vendita di cosa mancante delle qualità essenziali o di quelle promesse e di vizi redibitori; – che dal ragionamento condotto dal collegio lagunare non risulta, però, comprensibile quale delle suddette ipotesi sia stata ritenuta configurabile nel caso di specie e se, pertanto, ricorressero o meno i presupposti per la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento della promittente venditrice, sì da potersi considerare legittimo il recesso operato ex art. 1385, comma 2, c.c. dai promissari acquirenti.
Con il secondo motivo è prospettata la violazione o falsa applicazione degli artt. 1490, 1492, 1497, in relazione all ‘ art. 1453 c.c..
Si contesta alla Corte d ‘ Appello di aver erroneamente ritenuto che l ‘ operata modifica della disposizione interna dei vani dell ‘ appartamento promesso in vendita, peraltro avvenuta su richiesta degli stessi promissari acquirenti, fosse sufficiente a integrare gli estremi dell ‘ aliud pro alio, essendo una simile ipotesi configurabile nel solo caso di accertata mancanza del certificato di abitabilità o delle condizioni necessarie per poterne ottenere il
rilascio.
D ‘ altro canto, l ‘ immobile in questione non poteva considerarsi privo delle qualità essenziali per il fatto che le opere di tramezzatura ivi realizzate avessero determinato la creazione di due camere da letto, di cui soltanto una avente la metratura all ‘ uopo necessaria; né esso risultava mancante delle qualità promesse, giacchè in nessun punto del preliminare si prevedeva che l ‘ immobile dovesse essere abitabile da un numero di persone non inferiore a tre, come invece sostenuto dalla sentenza gravata.
Con il terzo motivo è lamentato l ‘ omesso esame di fatti e documenti decisivi oggetto di discussione fra le parti.
Si rimprovera alla Corte veneta di aver trascurato di considerare quanto inequivocabilmente emerso dall ‘ espletata c.t.u., ovvero che complessiva metratura dell ‘ appartamento promesso in vendita era tale da consentire di adibirlo ad abitazione di almeno tre persone.
Essa, inoltre, non avrebbe tenuto conto della circostanza che il preliminare stipulato inter partes faceva generico riferimento a una e a una , senza specificare che l ‘ una e l ‘ altra dovessero essere adibite a stanze da letto, né tantomeno indicarne le misure; e così pure avrebbe trascurato che la metratura dei singoli vani era la conseguenza di una libera scelta dei promissari acquirenti, i quali ben avrebbero potuto procedere a una diversa distribuzione della superficie interna dell ‘immo bile.
Con il quarto motivo viene dedotta la violazione o falsa applicazione dell ‘ art. 2697 c.c. e degli artt. 116 e 132 c.p.c..
Si addebita alla Corte lagunare di avere del tutto immotivatamente negato l ‘ ammissione della prova testimoniale articolata in primo grado dalla COGNOME e dalla stessa riproposta nel giudizio d ‘ appello.
Con tale mezzo istruttorio l ‘ odierna ricorrente intendeva dimostrare che le modifiche interne all ‘ appartamento di cui trattasi erano state eseguite dall ‘ impresa RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME su richiesta dei
Bulai-Cernic, ai quali l ‘ immobile era stato consegnato .
Con il quinto mezzo vengono denunciati la violazione o falsa applicazione degli artt. 1455 e 2697 c.c., nonché l ‘ omesso esame di fatti e documenti decisivi e oggetto di discussione fra le parti.
Si censura l ‘impugnata sentenza per aver riconosciuto legittimo il recesso operato dai promissari acquirenti, sebbene questi non avessero dimostrato la gravità dell ‘ inadempimento ascritto alla promittente venditrice e nonostante fosse emerso dall ‘e spletata istruttoria: (a)che la superficie dell ‘ appartamento era sufficiente per un numero di quattro posti letto; (b)che lo spostamento del muro di confine, il quale avrebbe determinato un modesto «fuori squadra» e una diminuzione della superficie utile, risaliva a un ‘ epoca anteriore alla stipula del preliminare.
Il primo motivo è infondato.
A sèguito de lla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. disposta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione è ormai da ritenere ristretto alla sola verifica dell ‘inosser vanza del c.d. «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, della Carta fondamentale, individuabile nelle ipotesi -che si tramutano in vizio di nullità della sentenza per difetto del requisito di cui all’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c.- di «mancanza assoluta di motivi sotto il profilo materiale e grafico», di «motivazione apparente», di «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili» e di «motivazione perplessa od incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza della mera «insufficienza» o «contraddittorietà» della motivazione; con la precisazione che l’anomalia motivazionale d eve emergere dal testo del provvedimento impugnato, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr., ex permultis , Cass. n. 20598/2023, Cass. n. 20329/2023, Cass. n. 3799/2023, Cass. Sez. Un. n. 37406/2022, Cass. Sez. Un. n.
32000/2022, Cass. n. 8699/2022, Cass. n. 7090/2022, Cass. n. 24395/2020, Cass. Sez. Un. n. 23746/2020, Cass. n. 12241/2020, Cass. Sez. Un. n. 17564/2019, Cass. Sez. Un. 19881/2014, Cass. Sez. Un. 8053/2014).
Nel caso di specie, deve escludersi che ricorra alcuna delle gravi anomalie motivazionali innanzi indicate.
Anzitutto, non appare configurabile il vizio di apparenza della motivazione, essendo possibile comprendere in modo compiuto dalla lettura della sentenza l ‘ iter logico-giuridico seguìto dalla Corte veneta e le argomentazioni poste a fondamento della decisione (sul concetto di motivazione apparente si veda Cass. Sez. Un. n. 2767/2023, pag. 10, con i riferimenti giurisprudenziali ivi richiamati).
In dichiarata condivisione del ragionamento decisorio svolto dal primo giudice, il giudice distrettuale ha riconosciuto la legittimità del recesso operato dai COGNOME–COGNOME dal contratto preliminare di compravendita stipulato con la COGNOME, ravvisando un inadempimento di non scarsa importanza della promittente venditrice, idoneo a giustificare la risoluzione del negozio, nell ‘aver ella assunto l ‘ impegno di trasferire la proprietà di un appartamento abitabile da due persone, risultato, tuttavia, mancante delle qualità promesse (pag. 10 della sentenza impugnata, quarto capoverso).
Nemmeno, poi, si scorge un ‘ insuperabile inconciliabilità logica nell ‘ operato contestuale richiamo alle fattispecie dell ‘ aliud pro alio e della mancanza delle qualità promesse o essenziali, avendo il collegio lagunare chiarito che in ambedue le ipotesi può comunque essere esperita l ‘azione di risoluzione del contratto per inadempimento -e quindi risulta pure esercitabile il diritto di recesso ex art. 1385, comma 2, c.c.-, con la sola differenza che nel primo caso non trovano applicazione i termini di decadenza e prescrizione stabiliti dall ‘ art. 1495 c.c..
Va, infine, ribadito che il vizio motivazionale tuttora denunciabile in
cassazione deve emergere direttamente dal testo del provvedimento, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, sicchè non può a tal fine attribuirsi rilievo all ‘ eventuale erronea valutazione degli atti e dei documenti da causa da parte del giudice di merito.
Il secondo motivo è infondato.
La Corte d ‘ Appello ha accertato che l ‘ immobile promesso in vendita era privo delle qualità essenziali per l ‘ uso a cui doveva essere destinato dai promissari acquirenti, i quali intendevano adibirlo a propria abitazione, e ha ritenuto sussistenti i presupposti per la risoluzione del contratto preliminare stipulato inter partes , avendo giudicato grave l ‘ inadempimento della promittente venditrice, per le ragioni illustrate sopra.
Alla luce di ciò, deve escludersi che sussista il vizio lamentato dalla ricorrente, avendo il giudice d ‘ appello correttamente interpretato l ‘ astratta previsione di cui all ‘ art. 1497 c.c. -in virtù della quale, quando la cosa venduta non ha le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l ‘ uso a cui è destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento, purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usie altrettanto correttamente sussunto in tale norma la fattispecie concreta, come da lui ricostruita sulla base di un insindacabile apprezzamento delle emergenze processuali.
Si rammenta, in proposito, che le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., descrivono i due momenti nei quali si articola il giudizio di diritto, ovvero quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice della fattispecie concreta e quello afferente all’applicazione della norma stessa , una volta rettamente individuata e interpretata.
Più precisamente, il vizio di violazione di legge consiste nella
inesatta ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e si risolve nell’affermazione erronea dell ‘esistenza o inesistenza di una norma ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non poss iede, mentre il vizio di falsa applicazione di legge consiste o nel sussumere la fattispecie concreta in una norma che non le si addice, perché non idonea a regolarla, o nel trarre da tale norma, in relazione al caso particolare esaminato, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione.
Non rientra, invece, nella sfera applicativa dell’evocato paradigma processuale l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, la quale costituisce questione este rna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al controllo di legittimità (cfr. Cass. n. 9293/2023, Cass. n. 21844/2022, Cass. n. 14199/2021, Cass. n. 22084/2020).
Sull ‘argomento è costante nella giurisprudenza di questa Corte l ‘affermazione secondo cui la pretesa di un migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti al processo involge un aspetto interno all ‘ àmbito di discrezionalità del giudice di merito nell’apprezzamento dei fatti e degli elementi di prova, onde il motivo di ricorso che ad essa tenda si risolve in un’inammiss ibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del detto giudice, id est nella richiesta di una nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (cfr., ex ceteris , Cass. n. 5782/2023, Cass. n. 5573/2023, Cass. n. 4366/2023, Cass. n. 2535/202, Cass. n. 2741/2015).
Alla luce degli esposti princìpi giuridici, la censura in esame non può trovare ingresso nella parte in cui imputa alla Corte territoriale di non aver tenuto presente che le modifiche interne all ‘ immobile erano state richieste dagli stessi promissari acquirenti e che, nel
complesso, andavano considerate di modesta rilevanza, giacchè, dietro il velo della denuncia del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, essa tenta di rimettere in discussione gli accertamenti compiuti e le valutazioni espresse dal giudice di merito, insindacabili in sede di legittimità.
Il terzo motivo -il quale non incorre nella preclusione stabilita dal combinato disposto dei commi 4 e 5 dell ‘ art. 348ter c.p.c. per il caso di c.d. «doppia conforme», non operante rispetto ai giudizi di appello introdotti, come nella specie, con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all ‘ 11 settembre 2012 ( arg. ex art. 54, comma 2, D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012)- è infondato.
A prescindere da ogni rilievo in ordine alla ritualità della deduzione del vizio, non effettuata conformemente alle indicazioni offerte dalla costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 9986/2022, Cass. Sez. Un. n. 21973/2021, Cass. n. 15784/2021, Cass. n. 20625/2020), va notato che i fatti di cui si lamenta l ‘ omesso esame (superficie utile dell ‘ appartamento, metratura dei singoli vani, destinazione a stanze da letto della camera e della cameretta previste in contratto, abitabilità dell ‘ immobile ad opera di un numero minimo di persone, individuazione della parte che aveva richiesto di apportare le modifiche interne) sono stati tutti tenuti in debita considerazione dalla Corte d ‘ Appello, che però li ha apprezzati diversamente da come auspicava la ricorrente.
Appare, quindi, palese come, sotto le mentite spoglie del vizio di omesso esame, il motivo tenda in realtà, anche in questo caso, a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti di causa e una loro rivalutazione nel merito, inammissibile in questa sede (cfr. Cass. n. 4247/2023, Cass. Sez. Un. n. 21973/2021, Cass. Sez. Un. n. 34476/2019, Cass. Sez. Un. n. 19229/2019).
Il quarto mezzo, nella parte in cui contesta la mancata ammissione della prova testimoniale articolata in prime cure dalla COGNOME, è
inammissibile per difetto di autosufficienza, poichè omette di riportare, almeno sinteticamente e per quel che qui rileva, il contenuto dei verbali delle udienze di precisazione delle conclusioni svoltesi nei giudizi di primo e secondo grado o quello degli scritti difensivi depositati dalla COGNOME, al fine di dimostrare che ella abbia in quelle sedi insistito per l ‘ ammissione delle richieste istruttorie non accolte dal Tribunale, sì da manifestare in maniera inequivocabile la propria volontà di tenerle ferme (cfr. Cass. n. 27205/2023, Cass. n. 1224/2023, Cass. n. 10767/2022).
Per il resto, esso è infondato, in quanto, per costante giurisprudenza di questa Corte:
-la violazione dell ‘ art. 115 c.p.c. si configura allorchè il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola fissata da tale norma, abbia fondato la decisione su prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dai poteri officiosi riconosciutigli, non anche quando il medesimo, nel valutare le prove offerte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo quest ‘ attività consentita dall ‘ art. 116 del codice di rito (cfr., ex multis , Cass. n. 10623/2023, Cass. n. 5249/2023, Cass. n. 37839/2022, Cass. n. 15300/2022, Cass. n. 10463/2022, Cass. Sez. Un. n. 20867/2020);
-una censura relativa alla violazione o falsa applicazione dell ‘ art. 116 c.p.c. può essere formulata soltanto ove si alleghi che il giudice di merito abbia disatteso delle prove legali, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, o per contro abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza alcun apprezzamento critico, elementi probatori soggetti a valutazione (cfr. Cass. n. 6774/2022, Cass. n. 4727/2022, Cass. n. 40227/2021, Cass. n. 23534/2020, Cass. n. 3657/2020);
-la violazione del precetto posto dall ‘ art. 2697 c.c. è configurabile nella sola ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l ‘ onere della prova
a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, essendo quest ‘ ultima sindacabile, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti stabiliti dal novellato art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. (cfr. Cass. n. 32923/2022, Cass. n. 25543/2022, Cass. n. 17287/2022).
Il quinto motivo è infondato.
Muovendo dalla premessa che l ‘ appartamento promesso in vendita fosse privo delle qualità essenziali per l ‘ uso a cui era stato destinato dalle parti -questione sulla quale ci si è soffermati sopra in sede di scrutinio del secondo mezzo-, la Corte d ‘ Appello ha giudicato di non scarsa importanza l ‘ inadempimento della promittente venditrice, sulla scorta delle seguenti argomentazioni:
-«( … )la riduzione del 10% della superficie contrattualmente promessa in vendita è evidentemente significativa, in quanto limita radicalmente l ‘ utilizzo dell ‘ immobile oggetto della vendita» , ove si consideri che «l ‘ interesse dei promissari acquirenti consisteva nel divenire proprietari di un appartamento con due camere da letto» ; -«il c.t.u. ha precisato che l ‘ adeguamento dell ‘ appartamento alle condizioni pattuite nel preliminare comporterebbe l ‘ esecuzione in esso di importanti opere» ;
-«la minor superficie calpestabile ed il fuori squadra del muro sono stati stimati dalla stessa signora COGNOME pari a € 36.000,00 , ossia un deprezzamento di oltre il 25% rispetto al valore indicato nel preliminare (€ 142.000,00)» , al quale va aggiunto l ‘ «abuso edilizio rilevato dal CTU» .
A fronte di un giudizio di fatto sorretto da adeguato supporto argomentativo, non può ritenersi sussistente la dedotta violazione o falsa applicazione dell ‘ art. 1455 c.c., costituendo la valutazione della gravità dell ‘ inadempimento, ai fini della risoluzione di un
contratto a prestazioni corrispettive, questione di fatto rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito e insindacabile in sede di legittimità, se non nei ristretti limiti di cui all ‘ art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. (cfr. Cass. n. 13655/2022, Cass. n. 12182/2020, Cass. n. 6401/2015, Cass. n. 14974/2006).
Quanto, invece, alla lamentata violazione dell ‘art. 2697 c.c. , è sufficiente richiamare le argomentazioni sviluppate in sede di scrutinio del motivo precedente, con il quale è stata prospettata analoga censura.
In definitiva, il ricorso va respinto.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Stante l’esito del l ‘ impugnazione, viene resa nei confronti della ricorrente l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1 -quater , D.P .R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controparte le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 3.700 euro (di cui 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , D.P .R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 25 ottobre 2023.
Il Presidente NOME COGNOME