Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18362 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 18362 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
RAGIONE_SOCIALE pubblicazione: 04/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18514/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MESSINA n. 495/2023 depositata il 07/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/06/2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio RAGIONE_SOCIALE innanzi al Tribunale di Messina chiedendo la declaratoria di risoluzione della locazione stipulata in data 30 gennaio 2014, per avere la locatrice intenzionalmente omesso di rappresentare che l’immobile non avrebbe potuto essere correttamente fruito. Successivamente la locatrice RAGIONE_SOCIALE intimò lo sfratto per morosità nei confronti di RAGIONE_SOCIALE innanzi al medesimo Tribunale. Convalidato lo sfratto, e disposto il mutamento del rito nonché la riunione delle cause, il Tribunale adito condannò RAGIONE_SOCIALE a corrispondere a RAGIONE_SOCIALE la somma di Euro 5.000,00, con condanna alla rifusione delle spese. Avverso detta sentenza propose appello RAGIONE_SOCIALE. Con sentenza di data 7 giugno 2023 la Corte d’appello di Messina accolse l’appello, dichiarando risolto il contratto per inadempimento della conduttrice e condannando quest’ultima al pagamento della somma di Euro 5.734,00 per canoni non corrisposti e della somma di Euro 575,24 per oneri condominiali e spese di consumo idrico, oltre accessori, rigettando altresì la domanda risarcitoria proposta dalla medesima conduttrice, con la condanna alla rifusione delle spese del doppio grado.
Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, premesso che il Tribunale aveva omesso di esaminare la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore avanzata dalla locatrice e di condanna della società conduttrice al pagamento dei canoni non corrisposti, non essendosi definito il procedimento per convalida di sfratto con la ordinanza provvisoria di rilascio, che nella comparazione fra gli inadempimenti, da una parte la costrizione a tenere chiuse le
finestre per la presenza di immissioni provenienti dall’impianto di climatizzazione a servizio di locali sempre di proprietà dell’originario locatore, dall’altra il mancato pagamento dei canoni, maggiore valenza assumeva l’inadempienza del conduttore. Aggi unse che, se non era in linea con il dovere di buona fede l’avere da parte del locatore taciuto sulla problematica delle molestie, «pur tuttavia, la riduzione del canone nella misura del 40% circa per il semplice fatto che l’impianto di condizionamento sopra descritto non consentiva di tenere aperte le finestre, appare sicuramente eccessivo, e non conforme a buona fede, considerato, che, comunque, la conduttrice continuava a fruire dei locali nella loro interezza. A fortiori, ingiustificato è il mancato pagamento dei canoni relativi ai mesi di aprile e maggio 2018». Puntualizzò che «la domanda di pagamento dei canoni e delle ulteriori voci sopra indicate non costituisce domanda nuova, avendo la RAGIONE_SOCIALE chiesto con la intimazione di sfratto il pagamento ‘di tutte le somme che risulteranno dovute al momento dell’emissione del provvedimento stesso, e ciò per canoni scaduti, oneri accessori ed interessi, oltre alle ulteriori somme per canoni e spese che matureranno fino alla data del rilascio’».
Osservò ancora, in relazione ai motivi di appello relativi alla condanna della locatrice al risarcimento del danno, quanto segue: «in primo grado la società RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto solo riduzione del canone, limitandosi a dedurre, a giustificazione della sua richiesta, fra le altre cose, i maggiori costi sostenuti per il mantenimento in funzione dell’impianto di aerazione interna per l’intera giornata lavorativa. Nella prospettiva proposizione di una domanda risarcitoria da parte della RAGIONE_SOCIALE, la sentenza impugnata nel liquidare in via equitativa la di € 5.000,00 non specifica, comunque, quale fosse il danno conseguenza al quale ancorare la determinazione in questa sede non si ravvisano le conseguenze dannose suscettibili di risarcimento. invero, di un
danno subito società (ad es. per maggiori spese o esborsi riconducibili alla situazione denunciata), non vi è prova».
Ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE sulla base di quattro motivi e resiste con controricorso la parte intimata. Il consigliere delegato dal Presidente della Sezione ha formulato sintetica proposta di infondatezza del ricorso per le seguenti ragioni: il primo motivo è infondato non ricorrendo la novità della domanda per essere stata chiesta con l’intimazione di sfratto la condanna al pagamento degli importi dovuti; il secondo motivo è per un verso infondato nella parte in cui denuncia il vizio di ultrapetizione per la dichiarazione di risoluzione del contratto per inadempimento, per l’altro inammissibile sotto più profili (inosservanza degli artt. 366 n. 6 e 349 n. 2 c.p.c.; violazione del principio di non contestazione in relazione al contenuto di documenti; non si aggredisce la motivazione ove si ritiene non conforme a buona fede la riduzione del canone nella misura del 40% per l’impossibilità di tenere aperte le finestre; non vi è stata applicazione di presunzioni); il terzo motivo è inammissibile per inosservanza dell’art. 366 n. 4 c.p.c.; il quarto motivo è inammissibile per essere riservata al giudice del merito la valutazione sull’opportunità della compensazione. E’ stata chiesta la decisione dalla parte ricorrente.
E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ.. E’ stata presentata memoria dalla parte resistente.
Considerato che:
con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la locatrice non ha mai nel giudizio di primo grado proposto la domanda di condanna al pagamento della somma di Euro 5.734,00 per canoni non corrisposti, oltre per oneri successivi, avendone fatto richiesta solo con l’atto di appello, quale nuova domanda e perciò inammissibile (solo
nell’intimazione di sfratto era stata chiesta la condanna con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo), ed avendo omesso di depositare memorie nel corso del giudizio di merito.
Il motivo è infondato. Come afferma la stessa parte ricorrente, con l’intimazione di sfratto era stata chiesta la condanna con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. La corte territoriale al riguardo ha puntualizzato che «la domanda di pagamento dei canoni e delle ulteriori voci sopra indicate non costituisce domanda nuova, avendo la RAGIONE_SOCIALE chiesto con la intimazione di sfratto il pagamento ‘di tutte le somme che risulteranno dovute al momento dell’emissione del provvedimento stesso, e ciò per canoni scaduti, oneri accessori ed interessi, oltre alle ulteriori somme per canoni e spese che matureranno fino alla data del rilascio’». E’ indubbio pertanto che la domanda di condanna al pagamento di somme sia stata proposta con l’intimazione di sfratto per morosità e che alcuna novità possa ascriversi alle conclusioni dell’atto di appello da questo punto di vista.
Resta così fermo che «anche in caso di mancato deposito di memorie ex art. 426 cod. proc. civ., il giudizio a cognizione piena che si apre con l’ordinanza di mutamento di rito ex art. 667 cod. proc. civ., rimane pur sempre retto dalla domanda proposta con l’atto di intimazione di sfratto e contestuale citazione per convalida, sul presupposto che tale domanda non ha contenuto sostanziale diverso da quello di una domanda di risoluzione e che per converso questa può certamente leggersi per implicito in quella» (Cass. n. 41236 del 2021).
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345, 115 e 116 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente, ribadito che non risulta proposta in primo grado la domanda di condanna al pagamento dei canoni non corrisposti, che risulta omesso l’esame delle ricevute di pagamento (anche in relazione al precedente immobile ove la RAGIONE_SOCIALEerativa svolgeva l’attività, per verificare l’aumento
indiscriminato delle bollette da Euro 185 a Euro 650 mensili), oggetto di non contestazione, a comprova del danno economico subito a causa dell’uso continuativo dell’impianto di aerazione richiesto dall’impossibilità di aprire le finestre dell’immobile. Ag giunge che risulta violata anche la disciplina sulle presunzioni.
Il motivo è inammissibile. Quanto alla denuncia di ultrapetizione, trattasi di mera reiterazione del motivo precedente. Il fatto storico di cui si denuncia la pretermissione sarebbero le ricevute di pagamento, in relazione alle quali si assume pure la ricorrenza della non contestazione. In violazione dell’onere processuale di cui all’art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c. non vi è alcuna specificazione circa la sede di ingresso nel processo di merito delle dette ricevute. In ogni caso, vi è una valutazione del giudice del merito sulla mancanza di prova di un danno subito società (ad es. per maggiori spese o esborsi riconducibili alla situazione denunciata), rispetto alla quale la censura si colloca quale confutazione del giudizio di fatto, non consentita nella presente sede di legittimità. Né può farsi applicazione del principio di non contestazione, il quale opera rispetto ai fatti allegati, e non rispetto al mero documento (Cass. n. 22055 del 2017). Infine, si denuncia come violazione della disciplina sulla presunzione semplice quella che è una mera valutazione delle risultanze processuali, in termini sfavorevoli per la parte su cui incombeva l’onere probatorio.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ., 1226 e 1578 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale avrebbe dovuto considerare il fatto che parte locatrice non ha provato di avere ignorato i vizi denunciati dal conduttore, pur avendo la medesima corte più volte affermato che « … la condotta della locatrice non è esente da censure sotto il profilo della violazione della
buona fede nel corso delle trattative … », così disapplicando quanto previsto dall ‘art. 157 8.
Il motivo è inammissibile. Trattasi di censura che ricade nell’alveo del giudizio di fatto, ed in particolare in quello relativo al giudizio di comparazione fra inadempimenti che il giudice del merito ha reputato avente un esito sfavorevole per il conduttore. Il giudizio di fatto, riservato al giudice del merito e non sindacabile nella presente sede di legittimità, è stato infatti nel senso che se non è in linea con il dovere di buona fede l’avere da parte del locatore taciuto sulla problematica delle molestie, «pur tuttavia, la riduzione del canone nella misura del 40% circa per il semplice fatto che l’impianto di condizionamento sopra descritto non consentiva di tenere aperte le finestre, appare sicuramente eccessivo, e non conforme a buona fede».
Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale, avendo dato atto della fondatezza delle ragioni della conduttrice e di vizi della cosa locata, avrebbe dovuto disporre la compensazione delle spese.
Il motivo è inammissibile. La valutazione circa l’opportunità della compensazione delle spese processuali resta riservata al giudice del merito e non è sindacabile nella presente sede di legittimità.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Essendo stato definito il giudizio in conformità della proposta, si applicano il terzo ed il quarto comma dell’art. 96 c.p.c.
Poiché il ricorso viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per la stessa impugnazione.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, nonché al pagamento della somma di Euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 96, comma terzo, c.p.c.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 500,00.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza sezione civile, il giorno 18 giugno 2024.
Il Presidente AVV_NOTAIO NOME COGNOME