Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10119 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10119 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27941/2020 R.G. proposto da : COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente- contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 3767/2020 depositata il 27/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 01/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La vicenda trae origine da una proposta di acquisto di un immobile da parte di NOME COGNOME. Il venditore, NOME COGNOME aveva
accettato l’offerta per un importo complessivo di € 650.000 di cui € 70.000 versati a titolo di caparra confirmatoria. L’immobile era provvisto di una veranda costruita dal venditore e oggetto di una richiesta di condono edilizio. Durante i controlli notarili, il compratore aveva scoperto che l’immobile era gravato da vincoli archeologici e paesaggistici che impedivano la sanatoria della veranda, con conseguente rischio di demolizione. Su questa base, il compratore comunicava il recesso e chiedeva la restituzione del doppio della caparra, invocando l’inadempimento del venditore.
Nel giudizio di primo grado, il Tribunale di Roma accertava l’inadempimento del venditore e dichiarava legittimo il recesso del compratore, condannando COGNOME alla restituzione di € 140.000. La decisione si fondava su due elementi principali: l’aver il venditore dichiarato che l’immobile non fosse soggetto a vincoli e l ‘ impossibilità di ottenere la sanatoria per la veranda. In appello, il venditore denunciava che la veranda non era oggetto di vendita, né era menzionata nella descrizione catastale dell’immobile. La Corte territoriale respingeva il gravame, evidenziando essenzialmente che la documentazione e la condotta dello stesso venditore confermavano che la veranda era oggetto dell’accordo.
Ricorre in Cassazione il venditore convenuto con due motivi illustrati da memoria. Resiste il compratore attore con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– In via preliminare, è da rigettare l’eccezione di inammissibilità del ricorso per nullità della procura speciale ex art. 365 c.p.c. Nel caso di specie, la procura è a margine e tanto basta: cfr. Cass SU 36057 del 2022.
– Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 1385 e 1455 c.c. per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto legittimo il recesso dell’acquirente e condannato il venditore alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria. Si afferma che la sentenza
impugnata ha applicato in modo errato il principio secondo cui l’inadempimento di una parte giustifica il recesso dell’altra, omettendo di considerare che la veranda non era parte della compravendita e che il compratore si era obbligato ad acquistare l’immobile nello stato in cui si trovava . È infatti incontrovertibile che tale porzione dell’immobile non è mai stata oggetto di vendita, non essendo nè riportata nella piantina catastale consegnata al COGNOME, nè richiamata nella descrizione dell’immobile. I l preliminare, infatti, indicava dettagliatamente le parti dell’immobile senza alcun riferimento alla veranda. In via subordinata, s i contesta l’ importanza dell’inadempimento, evidenziando che, anche qualora la veranda fosse stata inclusa nella vendita, il suo mancato condono non avrebbe impedito la commerciabilità dell’immobile e l’acquirente avrebbe potuto richiederne la rimozione.
Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 183 c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla qualificazione giuridica della difesa del venditore come mutatio libelli. Si afferma che la Corte di appello ha erroneamente qualificato come modifica del thema decidendum la precisazione, effettuata nel corso del giudizio, secondo cui la veranda non faceva parte dell’oggetto della compravendita. Si sostiene che tale precisazione non abbia introdotto un nuovo fatto costitutivo della domanda, ma si sia limitata a una opportuna interpretazione della dichiarazione di conformità alle norme edilizie e di commerciabilità, nel senso che essa riguardava l’immobile oggetto del preliminare così come descritto nella proposta d’acquisto , quindi senza la veranda.
I due motivi possono essere esaminati contestualmente per connessione.
Il primo motivo è infondato, il secondo è inammissibile.
La Corte accerta che l’attuale ricorrente ha dapprima riconosciuto che la veranda rientrava nella porzione immobiliare promessa in vendita e che la pendenza della pratica di condono che si riteneva
poterne garantire la commerciabilità aveva influito sul prezzo concordato, mentre poi ha sostenuto che la veranda non sarebbe mai stata da lui promessa in vendita. La Corte argomenta che, se non fosse stata ricompresa nella vendita anche la veranda, non vi era alcuna necessità della consegna della detta documentazione. Essa sottolinea che l’attuale ricorrente non può invocare l’ignoranza dell’esistenza dei vincoli e della non condonabilità della veranda .
Quanto al primo motivo, con apprezzamento espresso in una motivazione che non si espone a censure in sede di giudizio di legittimità, i giudici di merito hanno ritenuto quindi che la veranda fosse parte della compravendita (né d’altra parte il ricorrente ha denunciato la violazione di regole legislative dell’ermeneutica contrattuale), che il venditore avesse generato un legittimo affidamento sulla possibilità della sua sanatoria e che tutto ciò costituisse un inadempimento di non scarsa importanza ex art. 1455 c.c.
Quanto al secondo motivo, esso censura un passo della motivazione in cui la Corte usa parole poco appropriate (mutatio libelli per indicare un aspetto dell’articolazione difensiva del convenuto). Esso è però privo di portata decisiva, che invece è da rinvenire nell’accertamento che la veranda era oggetto dell’accordo.
– La Corte rigetta il ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo uni ficato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 6.600 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali,
pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge, da corrispondere all’Avv. NOME COGNOME dichiaratosi antistatario.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 01/04/2025.