Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5985 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5985 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 06/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26721/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato in INDIRIZZO, presso l ‘ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che lo rappresenta e difende ope legis
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 5814/2016 depositata il 04/10/2016;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato in data 19.10.2004, RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale Civile di Roma, il RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE esponeva che era aggiudicataria, per il quadriennio 1999-2003, della concessione per la gestione integrata di servizi di ristoro presso Villa d’Este e Villa Adriana a Tivoli (da esercitare nelle seguenti aree: mq. 312 di superficie coperta e mq. 556 di superficie scoperta in Villa d’Este; mq. 70 di superficie coperta esclusi i bagni- e mq. 200 di superficie scoperta nell’area archeologica di Villa Adriana), che detto servizio veniva affidato alla società attrice mediante atto di concessione e convenzione accessoria, sottoscritta dalle parti in data 20.12.1999, e che la RAGIONE_SOCIALE non aveva adempiuto agli obblighi derivanti dalla convenzione. Tanto premesso, la RAGIONE_SOCIALE chiedeva al Tribunale adito di condannare la RAGIONE_SOCIALE a consegnare le aree interne alla Villa Adriana individuate nella concessione e di condannare la RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno subito per il lamentato inadempimento, oltre interessi e rivalutazione sino al soddisfo.
2.Con sentenza n. 8464/2011, pubblicata in data 27 aprile 2011, il Tribunale di Roma respingeva la domanda avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE e dichiarava inammissibile quella riconvenzionale avanzata dal RAGIONE_SOCIALE, che aveva chiesto la risoluzione della convenzione, il pagamento dei canoni dovuti ed il risarcimento del danno.
3.Con atto notificato in data 22.12.2011, la RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la citata sentenza innanzi alla Corte di Appello di Roma, chiedendo di dichiarare risolto il contratto per grave inadempimento del RAGIONE_SOCIALE, nonché di condannare que st’ultimo al risarcimento dei danni nella misura indicata dalla CTU, pari ad €
733.809,25, oltre interessi e maggior danno. Il RAGIONE_SOCIALE, costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto delle domande ex adverso proposte, in quanto infondate in fatto ed in diritto.
4.Con sentenza n. 5814/2016, pubblicata in data 04.10.2016, la Corte di Appello di Roma rigettava l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, che condannava al pagamento, in favore del RAGIONE_SOCIALE convenuto, delle spese del giudizio. La Corte di merito, in via preliminare, dichiarava l’inammissibilità della domanda di risoluzione contrattuale proposta dalla RAGIONE_SOCIALE per la prima volta con l’atto di appello, in violazione del divieto di domande ed eccezioni nuove in appello ex art. 345 cod. proc. civ.. La Corte di appello, quanto al merito della controversia, affermava che: a) la convenzione stipulata inter partes non contemplava alcun termine per la consegna dei complessi monumentali di Villa d’Este e di Villa Adriana in Tivoli, ma l’unico termine previsto era quello dell’attivazione del servizio ( art.13 quaranta giorni dalla consegna degli spazi); b) quanto al complesso di Villa Adriana, la società aveva deciso di dare inizio all’esecuzione del contratto e iniziare la gestione del servizio, benché fossero state consegnate le sole aree coperte nel febbraio 2020, e il mancato pagamento della seconda rata semestrale del canone provvisorio, asseritamente giustificato dall’interruzione, in data 10.12.2001, del servizio di caffetteria a causa di infiltrazioni di acqua, fosse qualificabile in termini di inadempimento contrattuale della concessionaria, poiché le infiltrazioni, che, a detta di quest’ultima, avrebbero imposto la chiusura dei locali, non erano state constatate dalle parti in contraddittorio e al momento della consegna la RAGIONE_SOCIALE non aveva espresse riserve, sicché l’iniziativa unilaterale della concessionaria di sospendere l’esercizio di bar caffetteria era stata del tutto arbitraria, ponendosi in contrasto con l’obbligo della concessionaria di garantire la continuità del servizio pubblico oggetto della concessione; a favore della concedente erano dovuti anche i diritti maturati per il volume
di affari complessivo formatosi per la gestione del servizio di bar caffetteria, stante l’autonoma determinazione della società di dare concretamente inizio alla gestione di detto servizio; c) era provato anche il comportamento negativo della concessionaria, consistente nel suo ingiustificato rifiuto di reimmettersi nel possesso dei locali dopo il ripristino della copertura, avvenuto solo a seguito di atto formale di diffida del RAGIONE_SOCIALE; d) la concessionaria si era altresì resa inadempiente agli obblighi di manutenzione dei servizi igienici, quantomeno per un solo gazebo, e l’appellante non aveva censurato l’addebito che le era stato contestato dal RAGIONE_SOCIALE costituito dalla tardiva consegna del progetto relativo alle due zone di ristoro, sostanzialmente, anzi, ammesso dalla concessionaria, che aveva addotto che il ritardo era stato di soli tre mesi; e) la gravità dell’inadempimento, poiché relativo solo al mancato versamento della rata di £ 18.000.000, era stata contestata dall’appellante in modo generico, ed in ogni caso la doglianza era irrilevante considerato il complesso delle inadempienze verificatesi anche prima dell’arbitraria interruzione del servizio di bar caffetteria.
5. La RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza, affidato a quattro motivi, resistito con controricorso dal RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai
sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.. Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 1321 e ss. cod. civ. in relazione al mancato rilievo da parte della Corte d’appello dell’esistenza, nell’atto di concessione e convenzione accessoria, dei termini di consegna delle aree site in Tivoli oggetto della concessione previsti rispettivamente per Villa d’Este per il
dicembre 1999 e per Villa Adriana per il maggio 1999, entrambi violati dalla RAGIONE_SOCIALE, con conseguente inadempimento di quest’ultima e grave danno per l’odierna ricorrente. L’esistenza di tali termini, secondo la ricorrente ignorati dalla Corte d’Appello, si evincerebbe dal richiamo della Convenzione alla lettera d’invito, costituente parte integrante della convenzione. La lettera di invito, che, a dire della ricorrente, costituirebbe parte integrante della convenzione, prevedeva, all’art. 3, che la consegna degli spazi ove esercitare i servizi di ristoro sarebbe dovuta avvenire ‘per il dicembre 1999 a Villa d’Este e per il maggio 1999 a Villa Adriana’. Conseguentemente, la ricorrente ritiene che la Corte di Appello abbia errato nell’affermare l’inesistenza dei termini contrattuali previsti per la consegna degli spazi di Villa d’Este e di Villa Adriana, mentre non assumerebbe alcun rilievo, ai fini della decisione il termine, a cui aveva fatto riferimento la Corte di Appello, per l’attivazione del servizio, perché diverso da quello della consegna delle aree indicato nella lettera di invito.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
La censura è inammissibile nella parte in cui non si confronta con la ratio decidendi , avendo la Corte di merito affermato al riguardo l’incompatibilità temporale tra il termine di consegna asseritamente non rispettato (maggio 1999), con riguardo ad una delle ville nelle quali esercitare il servizio di ristorazione, e la data (20 dicembre 1999) della convenzione accessoria alla concessione. Sotto ulteriore profilo, va aggiunto che l a ricorrente non precisa come, dove e quando abbia sostenuto, nei giudizi di merito, la decisiva rilevanza, ai fini interpretativi, della lettera d’invito nel senso ora invocato, atteso che non vi è cenno, nella sentenza impugnata, del termine di cui alla lettera d’invito, ma di un termine fissato a maggio 1999 e ritenuto ‘privo di obiettivi riscontri’ -pag.8 sentenza-. Come si è detto, la Corte di merito ha valorizzato il fatto che la convenzione era di data successiva (dicembre 1999) e che l’unico termine previsto in
detta convenzione era quello stabilito nell’art.13 (attivazione del servizio entro 40 giorni dalla consegna) e la doglianza non solo non si confronta compiutamente con dette argomentazioni, ma è anche generica e diretta a sollecitare una nuova interpretazione del regolamento contrattuale, che è rimessa al giudice del merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione (cfr. tra le tante da ultimo Cass. 15707/2021). Neppure coglie nel segno la doglianza riferita all’art.1321 cod. civ., in assenza di indicazioni precise e compiute da parte della ricorrente dei criteri ermeneutici asseritamente violati.
La censura presenta altresì profili di infondatezza, nella parte in cui invoca, come parte integrante del regolamento negoziale, la dizione dell’art.1 della convenzione, stante il riferimento ivi contenuto alle previsioni della lettera d’invito.
Al riguardo occorre ribadire che le obbligazioni assunte dall’amministrazione nei contratti da essa stipulati , compresi quelli accessori alle concessioni, devono risultare da atto scritto, che, sebbene possa consistere in più documenti non contestuali, deve contenere la chiara indicazione delle obbligazioni assunte dalla p.a., e non è surrogabile da elementi probatori diversi (Cass. 2091/2022; Cass. S.U. 9775/2022). Tanto non è dato rinvenire nel citato art. 1 della convenzione, il cui testo è riportato in ricorso (pag.11), che richiama la lettera di invito ai soli fini del servizio da svolgere ( «nell’esecuzione di quanto descritto nella lettera di invito e relativo capitolato e nell’offerta presentata» ), senza nulla, invece, prevedere chiaramente ed espressamente su obblighi di consegna ‘anticipati’ rispetto alla data della convenzione, sicché la tesi interpretativa della ricorrente difetta anche del supporto dell’atto scritto, fonte delle obbligazioni assunte dalla PRAGIONE_SOCIALE., indispensabile alla stregua del principio suesposto.
3. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame, ex art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.., del fatto, integrante inadempimento della RAGIONE_SOCIALE, relativo alla consegna da parte di quest’ultima di un locale, sito all’interno di Villa Adriana, difforme da quello descritto all’art. 3 del capitolato speciale. La RAGIONE_SOCIALE deduce di aver lamentato, sin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado, che l’art. 3 del capitolato speciale, costituente, a suo dire, parte integrante della convenzione, aveva previsto la consegna di un locale dotato di impiantistica di base, composto da ‘quattro vani tra loro comunicanti per un totale mq 70 in cui ricavare il locale caffetteria, la cucina e la dispensa ripostiglio dotati di impiantistica di base e previsti di finiture architettoniche’, mentre la RAGIONE_SOCIALE avrebbe consegnato un ‘locale composto da due soli vani e privo di alcun impianto di base’. La ricorrente afferma che, sul punto, la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe offerto la prova, su di essa incombente ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., di aver adempiuto alla detta obbligazione negoziale, ovvero di aver consegnato un locale conforme a quello indicato nel capitolato speciale. La ricorrente ritiene, inoltre, che su tale questione la Corte d’Appello non si sarebbe pronunciata e tanto avrebbe dovuto fare nell’esaminare le inadempienze contestate dalla ricorrente all’Amministrazione concedente.
Il motivo è inammissibile.
La censura difetta di autosufficienza, non essendo stato trascritto o riassunto, sul punto, l’atto di appello, nel quale la RAGIONE_SOCIALE avrebbe lamentato la consegna di due vani, anziché quattro. In particolare, l a Corte d’appello ha dato conto del fatto che l’odierna ricorrente lamentava che non fosse avvenuta la consegna totale degli spazi, ma al riguardo, come si è già evidenziato scrutinando il primo motivo, ha ritenuto che non fosse stabilito il termine di consegna, anzi affermando che fosse stata la RAGIONE_SOCIALE a rifiutare, successivamente, la re-immissione in possesso perché da questa e dall’attivazione del
servizio di ristoro sarebbe maturato il diritto ai canoni definitivi (pag.8 sentenza: i canoni provvisori fissi erano un’anticipazione del canone complessivo- diritti per il volume d’affari-, che invece maturava dopo 40 giorni dalla consegna totale delle porzioni dei due complessi monumentali). Non è menzionata nella sentenza la circostanza dei due vani consegnati, invece di quattro, di Villa Adriana, l’odierna ricorrente assume che detto fatto fosse stato contestato con lettera del luglio 2000, richiama sul punto un documento (pag.14 ricorso), ma non trascrive compiutamente quale fosse il contenuto di quella lettera e se fosse stato, perciò, contestato come inadempimento per consegna di locale difforme da quello previsto nella convenzione, né precisa compiutamente in quali esatti termini la questione fosse stata sottoposta ai giudici di merito.
Va infine aggiunto, sotto ulteriore profilo di inammissibilità, che la doglianza di cui trattasi, formulata sub specie del vizio di cui all’art.360 comma 1 n.5 cod. proc. civ., non si sostanzia, in realtà, nella denuncia di omesso esame di un fatto, quanto, piuttosto, in quella di omesso esame di domande o di difese (Cass. 2268/2022), ma non è dedotto in ricorso il vizio di omessa pronuncia.
5. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.. , la violazione dell’articolo 115 cod. proc. civ.. in relazione all’errore di percezione commesso dalla Corte d’Appello nell’individuazione del cedimento del tetto del locale bar di Villa Adriana. Conseguentemente, denuncia, altresì, la violazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.. , degli articoli 2967, 1321 e 1460 cod. civ.. Nell’atto introduttivo la RAGIONE_SOCIALE lamentava, tra l’altro, che, a causa del cedimento parziale del tetto dovuto alle infiltrazioni d’acqua, il locale era divenuto materialmente inutilizzabile e pericoloso per l’incolumità di clienti e dipendenti, sì da costringere l’esponente ad interrompere il servizio bar. Con riferimento a tali doglianze, la Corte d’Appello avrebbe confermato la sentenza di primo grado nella parte di cui aveva ritenuto che la
chiusura del bar fosse stata pretestuosa, non avendo la ricorrente dimostrato l’esistenza delle infiltrazioni che avevano determinato lo smottamento del tetto, altresì rilevando che la RAGIONE_SOCIALE si sarebbe resa inadempiente per il mancato versamento della seconda rata semestrale. La Corte di Appello, a dire della ricorrente, sarebbe, dunque, incorsa in un errore di percezione laddove ha ritenuto che non fosse stata offerta dalla deducente la prova delle infiltrazioni che avevano provocato lo smottamento del tetto. La Corte di Appello, secondo la ricorrente, avrebbe, altresì, violato l’accordo delle parti, nonché fatto malgoverno del principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 cod. civ., ritenendo che incombesse sulla RAGIONE_SOCIALE l’onere di dimostrare che il cedimento del tetto era stato determinato dalle infiltrazioni o che fosse riconducibile a un vizio di costruzione, mentre ad avviso della ricorrente gravava sull’Amministrazione l’onere di dimostrare che il detto slittamento del tetto fosse imputabile ai lavori asseritamente eseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE. La mancata immediata riparazione del tetto configurerebbe, inoltre, inadempimento della RAGIONE_SOCIALE, da cui discenderebbe la violazione dell’art. 1460 cod. civ., avendo la Corte d’appello erroneamente ritenuto illegittima sia l’interruzione della attività di ristorazione, sia l’interruzione del pagamento del canone provvisorio e dei diritti maturati a favore della concedente.
6. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. , la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.. A dire della ricorrente, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che il mancato versamento da parte della RAGIONE_SOCIALE della rata di £. 18.000.000,00 costituirebbe un inadempimento della deducente ostativo alla richiesta risarcitoria dalla stessa avanzata. Tale assunto, secondo la ricorrente, violerebbe l’art. 112 cod. proc. civ.. , in quanto non risulterebbe che l’Amministrazione concedente abbia fatto valere tale supposto inadempimento con la domanda di risoluzione del contratto al fine di
ottenere la condanna al pagamento dei canoni di concessione insoluti ed il risarcimento del danno. Infine, ad avviso della ricorrente, la mancata proposizione della detta domanda di risoluzione impedisce anche la valutazione sulla gravità dell’inadempimento, ai sensi dell’art. 1455 cod. civ.. In ogni caso, la ricorrente sostiene che il mancato pagamento di tale tranche non potrebbe mai costituire un grave inadempimento in considerazione dell’importo e della natura del contratto, né tanto meno potrebbe giustificare le condotte successivamente poste in essere dalla RAGIONE_SOCIALE.
I motivi terzo e quarto, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.
Mediante l’apparente denuncia di vizi di violazione di legge (artt. 115 e 112 cod. proc. civ., 2697, 1321, 1460 cod. civ.), le censure tendono ad un riesame degli accertamenti di merito effettuati dalla Corte d’appello in ordine a gli adempimenti o inadempimenti allegati dalle parti. In disparte le domande di risoluzione reciprocamente proposte, che sono state dichiarate tutte inammissibili dai giudici di merito, il rigetto della pretesa risarcitoria azionata dall’odierna ricorrente (essenzialmente per ritardata consegna dei locali e per le infiltrazioni) è derivata, ai sensi dell’art. 1218 c od. civ., dalla ritenuta insussistenza -sulla base di accertamenti in fatto -dell’inadempimento dell’amministrazion e concedente. Infatti i giudici di merito hanno ritenuto dimostrato l’adempimento della P.A. e l’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE nel mancato pagamento dei canoni provvisori. Nello specifico, la Corte di merito ha ritenuto non provata l’inagibilità dell’area bar, tale da giustificare la chiusura dello stesso bar, a novembre 2001 (pag.10 e 11 della sentenza impugnata), con motivazione idonea, ossia sul rilievo che il difetto non era stato constatato nel contraddittorio e la concessionaria non ne aveva dato atto al momento della consegna, né aveva espresso riserva al riguardo in quel momento, nonché ha ravvisato non rilevante ai fini invocati dalla RAGIONE_SOCIALE la circostanza dell’avvenuta successiva
riparazione da parte della concedente e quanto riferito da un teste, la cui deposizione ha ritenuto anche generica. Inoltre la Corte d’appello ha accertato, ritenendole ulteriori inadempimenti, anche le condotte dell’odierna ricorrente descritte a pag.12 e 13 della sentenza (rifiuto di reimmettersi nel possesso, ritardo di presentazione del progetto delle due zone di ristoro e mancata esecuzione di lavori di manutenzione dei servizi igienici) e su questo passaggio argomentativo non si rinviene nel ricorso specifica e compiuta censura.
Occorre, inoltre, ribadire che, nel delibare la fondatezza della domanda di accertamento dell’inadempimento di uno dei contraenti, ovvero di risoluzione contrattuale per inadempimento (ove proposta), il giudice deve tener conto, anche in difetto di una formale eccezione ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., delle difese con cui la parte contro la quale la domanda viene proposta opponga a sua volta l’inadempienza dell’altra (da ultimo Cass. 7649/2023).
Nel caso di specie, la Corte di merito si è attenuta a detto principio, scrutinando il quadro probatorio in base alle contrapposte allegazioni delle parti e pervenendo, all’esito, alle conclusioni suesposte, con motivazione idonea (Cass. S.U. 8053/2014).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, la denuncia, espressa con il quarto motivo, del vizio di ultra-petizione non coglie affatto nel segno, poiché la Corte di merito ha valutato complessivamente il rapporto tra le parti e i reciproci adempimenti e inadempimenti, con valutazioni che pertengono al merito della vicenda, e che non sono pertanto censurabili in questa sede.
In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato e le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per
cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto (Cass. S.U. n.5314/2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in € 8.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 15/11/2023.