SENTENZA CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI N. 373 2025 – N. R.G. 00000326 2022 DEPOSITO MINUTA 02 10 2025 PUBBLICAZIONE 02 10 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI
SEZIONE CIVILE
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Presidente
AVV_NOTAIO NOME COGNOME Consigliere
AVV_NOTAIO NOME COGNOME Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 326 del RAGIONE_SOCIALE contenziosi civili per l’anno 2022, promossa da
(c.f. ) , residente ad Assemini ed elettivamente domiciliata a Carbonia, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO e dell’AVV_NOTAIO, che la rappresentano e difendono in virtù di procura in atti C.F.
appellante
contro
(p.i. ), con sede a Sestu ed elettivamente domiciliata a Cagliari , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, dell’AVV_NOTAIO e dell’AVV_NOTAIO , che la rappresentano e difendono in virtù di procura in atti, P.
appellata
La causa è decisa sulle seguenti
CONCLUSIONI
Nell’interesse dell’ appellante: voglia la Corte di Appello di Cagliari adita, contrariis reiectis ,
In via principale e nel merito:
accogliere per tutti i motivi dedotti in narrativa il proposto appello e, per l’effetto, in riforma integrale della sentenza n. 1199/2022 pubbl. il 04/05/2022, pronunciata dal Tribunale Ordinario di Cagliari nel procedimento contraddistinto al n. NUMERO_DOCUMENTO, accogliere tutte le conclusioni avanzate in primo grado che qui si riportano:
in via principale e nel merito, rigettare le domande formulate da parte attrice in quanto infondate in fatto ed in diritto per i motivi in espositiva;
accertare la presenza di gravi difetti nell’immobile di cui in premessa, difetti dovuti a difetto di costruzione e, per l’effetto, accertato il grave inadempimento della società dichiararne la responsabilità della società stessa;
accertare e dichiarare legittimo il recesso della signora dal contratto preliminare e per l’effetto condannare la società alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria versata;
in via subordinata, dichiarare la risoluzione del contratto preliminare di compravendita e condannare la società alla restituzione di tutte le somme loro versate a qualsiasi titolo dalla convenuta o per suo conto riferite al contratto;
condannare la società attrice al pagamento di una somma a titolo di
risarcimento di tutti i danni, patrimoniali, non patrimoniali patiti e patendi, che saranno accertati in corso di causa.
Con vittoria di spese, onorari, IVA e CPA come per legge relativi ad entrambi i gradi del giudizio.
Nell’interesse di parte appellata: voglia la Corte adita, disattesa ogni contraria istanza e conclusione:
-respingere l’avverso gravame perché infondato in fatto ed in diritto, confermando integralmente le statuizioni della sentenza di primo grado;
con vittoria di spese e compensi di causa.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
La convenne in giudizio davanti al Tribunale di Cagliari (proc. n. 6105/2017 RG), deducendo di essere proprietaria di un appartamento sito in INDIRIZZO, con annessa cantina e posto auto, oggetto di contratto preliminare di compravendita stipulato tra le parti in data 18 marzo 2015.
Il prezzo complessivo dell’operazione -illustrò l’attrice – era stato fissato in euro 138.320,00, di cui euro 13.300,00 da versare a titolo di caparra confirmatoria alla stipula del preliminare, euro 13.300,00 da corrispondere in 36 rate mensili di euro 369,45 ciascuna a titolo di integrazione di caparra, e il saldo all’atto definitivo da stipularsi entro il 26 marzo 2018.
La società attrice espose che:
-a seguito della stipula del preliminare, aveva consegnato l’immobile alla promissaria acquirente, la quale, però, a decorrere dal marzo 2016, aveva interrotto il pagamento delle rate nonché RAGIONE_SOCIALE oneri condominiali
–
senza titolo e senza corrispondere quanto dovuto.
e dell’IMU che in forza dello stesso preliminare erano a suo carico;
stante l’inutilità dei ripetuti solleciti, in data 16 dicembre 2016, essa aveva esercitato il diritto di recesso ai sensi dell’art. 2 del preliminare e comunicato formalmente la risoluzione per grave inadempimento della la quale tuttavia aveva continuato a occupare l’immobile
La società attrice chiese, dunque, l’accertamento della legittimità del recesso e della ritenzione della caparra confirmatoria nonché la condanna della convenuta al pagamento di un’indennità per l’occupazione dell’immobile e delle somme dovute per IMU, oneri condominiali e consumi idrici.
Nel resistere, lamentò la presenza di gravi vizi costruttivi (individuabili in diffusa muffa e umidità) ed eccepì che tali difetti, riscontrati anche dal proprio tecnico, avevano giustificato la sospensione dei pagamenti e la richiesta di risoluzione del contratto per inadempimento della venditrice, con restituzione del doppio della caparra e risarcimento danni.
Nel corso del giudizio, il Tribunale dispose consulenza tecnica d’ufficio, la quale accertò essere i difetti di modesta entità e risolvibili con interventi minimi, ossia con una pittura speciale o l’installazione di un piccolo sistema di ventilazione meccanica controllata di potenzialità adeguata ai ridotti volumi da trattare, del costo di euro 200,00 più installazione.
Persistendo l’occupazione dell’immobile da parte della convenuta,
ottenne in via cautelare in corso di causa, con ordinanza del 20 maggio 2019, il rilascio dell’immobile.
Con provvedimento del 12 marzo 2021, l’Ufficio formulò alle parti una
proposta conciliativa che prevedeva, in realtà, due percorsi di definizione della causa (uno incentrato sul trasferimento dell’immobile e l’altro sulla risoluzione del contratto), che, nel silenzio dell’attrice, venne accettata dalla sola nella versione che prevedeva la stipula del contratto definitivo.
*
All’esito dell’istruttoria, con sentenza n. 1199, pubblicata il 4 maggio 2022, il Tribunale:
-accertò la legittimità del recesso esercitato da per grave inadempimento della e la legittimità della ritenzione della caparra confirmatoria;
-condannò la convenuta al pagamento dell’indennità di occupazione, RAGIONE_SOCIALE oneri condominiali, IMU, canoni idrici e spese di lite;
-rigettò le ulteriori domande dell’attrice e le domande riconvenzionali della convenuta.
Per quanto rileva in questa sede, il primo giudice, a fronte delle reciproche contestazioni di inadempimento, procedette a una valutazione comparativa delle condotte delle parti, rilevando come l’inadempimento della (la quale aveva versato solo una parte della caparra confirmatoria, pur occupando l’immobile dal marzo 2015 fino al rilascio avvenuto nel maggio 2019, e aveva interrotto i pagamenti delle rate e RAGIONE_SOCIALE oneri accessori dal marzo 2016) si era protratto per oltre tre anni e aveva riguardato somme rilevanti, mentre i vizi lamentati dalla convenuta erano risultati di modesta entità e risolvibili con interventi minimi, come risultante dalla c.t.u.
Il Tribunale ritenne, pertanto, che l’inadempimento della convenuta legittimasse il recesso della promittente venditrice e il conseguente scioglimento del contratto preliminare e la legittimità della ritenzione della caparra confirmatoria.
Sul rilievo che la somma versata a titolo di caparra confirmatoria assolvesse la funzione di liquidazione del danno per il mancato pagamento del prezzo e che il danno da illegittima occupazione dell’immobile, protrattasi anche dopo il recesso, costituisse un fatto illecito distinto, il giudice determinò l’indennità in euro 500,00 mensili per il periodo di occupazione (cinquanta mensilità), per un totale di euro 25.000,00, e, ancora, condannò la convenuta al pagamento delle somme dovute per oneri condominiali, IMU e consumi idrici.
Avverso tale sentenza, ha proposto impugnazione.
2.1 Con il primo motivo , l’ appellante ha censurato la valutazione della rilevanza sul sinallagma RAGIONE_SOCIALE inadempimenti delle parti, svolta su un piano di mera comparazione economica tra il costo per la risoluzione dei vizi lamentati (pari a circa euro 200,00 per una pittura speciale o un sistema di ventilazione) e l’importo non corrisposto dalla promissaria acquirente (superiore a euro 14.000,00).
L’appellante ha contestato tale impostazione, poiché il giudice avrebbe dovuto considerare anche le somme da ella già versate (euro 17.071,14) nonché i disagi subiti, tra cui la necessità di cercare una nuova abitazione e le condizioni abitative non salubri che hanno inciso sulla salute dei figli minori.
Inoltre, la parte ha evidenziato come i vizi dell’immobile fossero gravi e
strutturali, accertati sia dal consulente tecnico di parte che dal c.t.u., il quale aveva rilevato difformità tra il progetto e quanto effettivamente realizzato, presenza di muffa in tutte le stanze perimetrali, ponti termici, isolamento insufficiente nei pilastri e tamponature non conformi ai requisiti di legge, tali da compromettere la salubrità e la qualità dell’immobile, promesso come di nuova costruzione .
ha contestato, inoltre, la quantificazione dei costi di soluzione del problema operata dal c.t.u., ritenuta irrisoria rispetto alla reale entità dei vizi.
2.2 Con il secondo motivo , l’appellante ha censurato la sentenza nella parte in cui il Tribunale l’aveva condannata al pagamento dell’indennità di occupazione per l’intero periodo dal marzo 2015 al maggio 2019, eccependo che fino al marzo 2016 aveva regolarmente versato le somme pattuite e che solo successivamente si sarebbe potuta configurare un’occupazione senza titolo.
2.3 Con il terzo motivo di appello, ha lamentato l’erroneità della sentenza in merito all’omessa valutazione sulla proposta conciliativa del giudicante, non accettata dalla società attrice, ai fini della regolamentazione delle spese processuali.
L’appellante ha lamentato che il Tribunale non aveva adeguatamente motivato in ordine al rifiuto, da parte di della proposta conciliativa formulata dal giudice, che la aveva invece accettato.
Conseguentemente, l’appellante ha sostenuto che la sentenza avrebbe dovuto tenere conto di tale circostanza, almeno ai fini della statuizione sulle
spese processuali, e che la condanna integrale della convenuta sarebbe risultata sproporzionata e ingiustificata.
Nel resistere, l’appellata ha rilevato l’infondatezza dell’avversa prospettazione, chiedendo il rigetto dell’appello, avendo il Tribunale accertato il grave inadempimento della consistente nel mancato pagamento delle rate, dell’IMU e RAGIONE_SOCIALE oneri condominiali, nonché nell’occupazione dell’immobile senza titolo per oltre tre anni.
ha inoltre evidenziato come i vizi costruttivi lamentati dall’appellante fossero stati ritenuti dal CTU di modesta entità e facilmente eliminabili e che la caparra confirmatoria fosse autonoma rispetto all’indennità di occupazione, dovuta per il periodo di detenzione senza titolo.
Nel contestare la rilevanza della proposta conciliativa ai fini della decisione, l’appellata ha sottolineato che il rifiuto della stessa era stato giustificato dall’esito favorevole del giudizio
Ha chiesto, dunque, la condanna dell’appellante alle spese del grado di appello e la condanna per responsabilità aggravata per lite temeraria ex art. 96, terzo comma, c.p.c.
4. Il primo motivo non merita accoglimento.
La sentenza impugnata ha correttamente applicato i principi in materia di contratti con prestazioni corrispettive, effettuando una comparazione equilibrata e convincente dell’incidenza RAGIONE_SOCIALE inadempimenti delle parti.
Il Tribunale ha accertato che, pur avendo ricevuto la disponibilità
dell’immobile sin dal marzo 2015, l’odierna appellante aveva omesso ogni pagamento a decorrere dal marzo 2016 (rate residue della caparra confirmatoria, IMU, oneri condominiali e consumi idrici), per un importo complessivo superiore a euro 14.000,00.
Al contrario, i vizi lamentati sono risultati, effettivamente, sussistenti ma di modesta entità, risolvibili con interventi di basso impatto economico (pittura speciale o ventilazione meccanica controllata), stimati dal c.t.u. in euro 200,00 oltre installazione.
La decisione del Tribunale è condivisibile, ancorché necessiti di integrazione sul piano della motivazione: la comparazione tra gli inadempimenti non può limitarsi al mero raffronto economico, ma deve considerare l’assetto complessivo del rapporto contrattuale, la funzione economico-sociale del contratto, la proporzionalità tra le prestazioni e l’incidenza delle condotte sull’equilibrio negoziale.
In conformità alla giurisprudenza di legittimità (Cass., ord. 14 dicembre 2023, n. 35029; Cass., 26 maggio 2025, n. 14030), nei contratti sinallagmatici è necessario valutare comparativamente le condotte delle parti, non secondo un criterio cronologico, ma in base alla gravità e all’incidenza sull’equilibrio contrattuale.
Nel caso di specie, il rifiuto dell’appellante di adempiere alle obbligazioni assunte appare sproporzionato e pretestuoso, tenuto conto, non tanto della disparità tra costo economico dell’intervento necessario per ovviare all’inadempimento della promittente venditrice e valore della prestazione mancata da parte della quanto piuttosto del fatto che, a fronte di vizio
che non era tale da rendere la cosa inidonea all’uso o da diminuirne in modo apprezzabile il valore (come accertato dal c.t.u., malgrado la diversa opinione della , l’odierna opponente si sia resa totalmente inadempiente alle obbligazioni di pagamento assunte con il preliminare.
La condotta dell’appellante ha inciso in modo più significativo sull’equilibrio contrattuale, legittimando il recesso della promittente venditrice, tanto più ove si consideri che, sospesi i pagamenti, la non ha neanche sollecitato la venditrice a risolvere il problema, neanche a fronte della richiesta di questa di provvedere ai pagamenti dovuti.
Solo a marzo 2017, ricevuta la comunicazione del recesso da parte della la si è munita di una perizia tecnica di verifica dello stato dei luoghi.
La consulenza tecnica, in realtà, non ha neanche adombrato l’inutilizzabilità dell’immobile lamentata (in maniera del tutto vaga dalla , anche se ha confermato la presenza di un doppio ponte termico in corrispondenza di un pilastro di un unico ambiente, causa di alone di muffa.
Quanto alla difformità dei materiali, il c.t.u. ha rilevato miglioramenti rispetto al progetto originario (poliuretano anziché polistirene; serramenti in legno massello anziché PVC).
Le doglianze dell’appellante non giustificano la nomina di un nuovo c.t.u. per la riquantificazione dei costi di ripristino (contestati in maniera generica) né intaccano la coerenza logico-giuridica della decisione impugnata, fondata su adeguata istruttoria e conforme ai principi di legittimità
5. Il secondo motivo di appello è infondato.
La sentenza impugnata ha correttamente distinto tra la funzione della caparra confirmatoria e la funzione dell’indennità di occupazione:
-la prima consiste nella liquidazione anticipata del danno da inadempimento contrattuale;
-la seconda è correlata al godimento del bene dopo il recesso, il quale ha efficacia retroattiva.
In tal senso, la giurisprudenza di legittimità, richiamata anche nella sentenza del primo grado, riconosce al promittente venditore il diritto di trattenere la caparra e, al contempo, di ottenere l’indennità per l’occupazione illegittima dell’immobile.
Il motivo, pertanto, non coglie nel segno, in quanto l’argomentazione dell’appellante, secondo cui l’indennità non dovrebbe essere calcolata per il periodo in cui sono stati effettuati i versamenti, non tiene conto dell’effetto retroattivo del recesso e della natura autonoma del danno da illegittima occupazione.
A tale proposito, merita considerare come ancora recentemente la S.C. abbia ribadito, proprio con riguardo al recesso esercitato per inadempimento del promissario acquirente, che il danno da illegittima occupazione dell’immobile, frattanto consegnato al promissario, discendendo da un distinto fatto illecito, costituito dal mancato rilascio del bene dopo il recesso dal contratto del promittente, legittima quest’ultimo a richiedere un autonomo risarcimento.
Ne consegue che il promittente venditore ha diritto non solo a recedere dal contratto e a incamerare la caparra, ma anche ad ottenere dal promissario
acquirente inadempiente il pagamento dell’indennità di occupazione dalla data di immissione dello stesso nella detenzione del bene sino al momento della restituzione, attesa l’efficacia retroattiva del recesso tra le parti ( cfr . ord. 27 febbraio 2025, n. 5201).
6. Il terzo motivo di appello non è meritevole di accoglimento.
La proposta conciliativa formulata dal giudice con provvedimento del 12 marzo 2021 avrebbe potuto al più comportare, in caso di ingiustificato rifiuto, la soccombenza della al pagamento delle fasi processuali successive alla proposta stessa, a termini dell’art. 91 c.p.c.
Nella fattispecie, però, la mancata accettazione risultava affatto giustificata, atteso che la sentenza ha riconosciuto alla società attrice in primo grado un importo significativamente più elevato di quello proposto dal giudice.
La condanna alle spese processuali è, poi, coerente con il principio della soccombenza, tenuto conto dell’accoglimento integrale delle domande attoree.
Quanto alla inadempienza di entrambe le parti, ripetutamente invocata dall’appellante anche nell’ambito del motivo in esame, deve osservarsi come il Tribunale abbia operato una valutazione comparativa, ritenendo prevalente l’inadempimento della convenuta.
Tanto giustifica la sua soccombenza.
Tale giudizio, fondato su elementi documentali e tecnici, non risulta illogico né arbitrario, mentre la doglianza non invalida la motivazione della sentenza impugnata.
Deve essere respinta la domanda dell’appellata di condanna dell’appellante ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. per responsabilità processuale aggravata.
L’appellata non ha svolto attività assertiva in ordine ai presupposti della responsabilità.
La mera proposizione di una eccezione (o la proposizione di un’impugnazione) che possa risultare infondata non può di per sé far scattare la sanzione, giacché nel nostro sistema la proposizione di una domanda o di una eccezione infondata non integra di per sé violazione del grado minimo di diligenza.
Si deve evitare di confondere l’infondatezza con la temerarietà, giacché diversamente si arriverebbe a comprimere, per ciò solo, il diritto di difesa (di cui è espressione il potere di impugnazione), sanzionando chi abbia partecipato al contraddittorio per l’essere, infine, l’esito a lui non favorevole.
La difesa esercitata, invece, è la sostanza del processo, onde il suo abuso non può che essere una assoluta e in quanto tale peculiare eccezione, la cui sussistenza deve fondarsi su un’intensa e specifica individuazione RAGIONE_SOCIALE elementi integranti l’abuso, a evitare che, con una motivazione apparente, si fondi una decisione priva di concretezza di argomentazione (argomentando da Cass., 20 luglio 2023, n. 21667).
Le spese seguono la soccombenza, sicché l’appellante deve essere condannata alla rifusione delle spese del giudizio, liquidate ai valori minimi, dato lo svolgimento di attività difensive o istruttorie non di particolare
complessità, per le fasi studio, introduttiva e conclusionale sullo scaglione a euro 26.000,01- 52.000,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sussistono i presupposti per porre a carico dell’appellante il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Cagliari definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e richiesta disattesa:
rigetta l’appello proposto da contro la sentenza n. 1199/2022 del Tribunale di Cagliari;
condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite che vengono liquidate in euro 3.473,00, per compensi, oltre spese generali, c.p.a. e i.v.a.;
dichiara che, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sussistono i presupposti per porre a carico dell’appellante il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
Cagliari, 2 ottobre 2025
Il consigliere estensore dottAVV_NOTAIO NOME COGNOME
Il Presidente AVV_NOTAIO NOME COGNOME