Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14038 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14038 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14550/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME
–
intimati –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 578/2021 depositata il 22/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio, dinanzi il Tribunale di Salerno, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per ottenere la pronuncia di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di vendita stipulato il 27 giugno 1991 tra l’attore e NOME COGNOME, dante causa dei convenuti, relativo a beni immobili siti in Salerno, località Lamia e in INDIRIZZO.
I convenuti si costituivano in giudizio resistendo alla domanda ed eccependo l’inadempimento del promissario acquirente atteso il mancato pagamento del saldo del prezzo e, in via riconvenzionale, chiedevano la risoluzione del preliminare per inadempimento del promissario acquirente per avere questi realizzato una costruzione abusiva in muratura mai condonata, rendendo il bene oggetto del contratto non commerciabile con richiesta di condanna dell’attore al risarcimento dei danni causati dagli abusi edilizi commessi.
Il Tribunale di Salerno accoglieva la domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento proposta dai convenuti e dichiarava risolto il contratto, mentre rigettava la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno e riteneva inammissibile la domanda di rilascio del fondo.
Secondo il giudice di primo grado, lo stesso attore in sede di precisazione delle conclusioni aveva preso atto che dalla consulenza era emerso che l’immobile non era commerciabile e aveva dichiarato espressamente di non insistere sulla domanda
proposta ex articolo 2932 c.c., pertanto, tale domanda doveva ritenersi abbandonata per rinuncia. Quanto invece alle domande riconvenzionali doveva accogliersi quella di risoluzione per l’ inadempimento consistito nella realizzazione di opere abusive da parte del promissario acquirente che era in possesso del bene e che lo aveva reso non commerciabile.
NOME COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
Gli originari convenuti resistevano al gravame.
La C orte d’ Appello di Salerno rigettava l’appello .
Il primo motivo si fondava sul fatto che le opere abusive erano state poste in essere dai promittenti venditori e non dal promissario acquirente sicché a loro carico avrebbe dovuto porsi l’inadempimento agli obblighi derivanti dal contratto preliminare.
Secondo la Corte d’Appello, invece, era pacifico e non controverso il fatto che la madre del promissario acquirente, NOME COGNOME, era già detentrice dei beni in oggetto, in qualità di affittuaria e, dunque, lo stato dei luoghi era ben noto all’acquirente . Infatti, alla data di sottoscrizione del preliminare, il 27 giugno 1991, la madre aveva reso apposita dichiarazione di non voler esercitare il suo diritto di prelazione, precisando di essere disponibile a confermare ta le rinuncia davanti al notaio in vista dell’acquisto da parte del figlio. Di conseguenza non poteva addebitarsi alla parte venditrice, che non aveva avuto il possesso materiale del suolo, la responsabilità per la realizzazione dei manufatti. Peraltro, le circostanze dedotte dai convenuti circa il fatto che le opere erano state realizzate dall’originario attore non erano stat e neanche contestate e risultavano essere fatti pacifiche tra le parti. I
medesimi fatti erano ulteriormente confermati dalle conclusioni del perito che aveva ritenuto che le opere abusive erano successive alla stipula del preliminare . D’altra parte , l’attore aveva depositato anche copia della richiesta di sanatoria che ulteriormente evidenziava la paternità delle opere abusive.
In base alle circostanze emerse, doveva confermarsi l’inadempimento del promissario acquirente rispetto agli obblighi nascenti dal preliminare.
Quanto poi al secondo motivo di ricorso secondo cui non si trattava di un abuso ma di una mera irregolarità urbanistica relativa alla ripartizione interna dei locali, da un lato la tesi era smentita da quanto dedotto con il primo motivo circa il fatto che gli abusi erano ascrivibili alla controparte e, in ogni caso, il consulente aveva accertato la presenza di immobili completamente diversi da quelli oggetto del preliminare, in particolare la realizzazione di un maggior corpo di fabbrica in cemento armato di tre piani.
In conclusione, era provato l’inadempimento dell’originario attore che non aveva dimostrato la presenza del caseggiato che assumeva di aver solo ristrutturato.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla scorta di tre motivi
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
Il ricorrente, con memoria depositata in prossimità dell’udienza , ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli articoli 111 Costituzione e 132 c.p.c.
La censura attiene alla mancanza di motivazione della sentenza impugnata. In particolare, la C orte d’ Appello avrebbe ritenuto in modo contraddittorio ed incomprensibile che la responsabilità degli abusi riscontrati dovesse ricadere sul ricorrente. Ciò sulla base del fatto che la madre era affittuaria e che la parte promittente venditrice non aveva il possesso del suolo. In altra parte della sentenza, invece, la stessa C orte d’ Appello ha evidenziato come la signora COGNOME ha restituito il fondo ai proprietari prima della stipula del preliminare. Peraltro, secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe confuso le diverse situazioni della detenzione e del possesso. Infatti, NOME COGNOME era mera detentrice in qualità di affittuaria.
Inoltre, n essuna rilevanza poteva avere l’istanza di condono che peraltro aveva ad oggetto immobili diversi come accertato dalla consulenza.
Allo stesso modo il rigetto del secondo motivo circa la mera irregolarità urbanistica delle opere realizzate mancherebbe di motivazione.
Infine, anche la ritenuta inutilizzabiltà del documento sarebbe erronea in quanto era richiamato nella consulenza unitamente ad altri documenti forniti dalla controparte e in assenza di qualsiasi eccezione da parte dei resistenti.
In conclusione, secondo parte ricorrente, la motivazione sarebbe palesemente incomprensibile in quanto da un lato si afferma che gli abusi erano stati realizzati all’epoca di vigenza del rapporto di affitto e dall’altro si dice che non sussistevano al momento della sottoscrizione del preliminare.
1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
La censura proposta come mancanza di motivazione è infondata.
Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014); – nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste. In particolare, l a Corte d’Appello si riferisce alla disponibilità materiale del bene per escludere che l’abuso sia stato posto in essere dai promittenti venditori sicché la qualificazione giuridica di tale disponibilità in termini di detenzione e non di possesso non assume alcuna rilevanza ai fini della decisione.
Per le stesse ragioni, dalla lettura della sentenza non risulta alcuna contraddittorietà della motivazione perché la Corte d’Appello da un lato ha escluso l’ascrivibilità dell’abuso ai promittenti venditori perché gli stessi non avevano la disponibilità materiale del bene che era locato dalla madre del ricorrente e poi ha anche accertato che l’abuso era stato fatto in epoca successiva al
preliminare, come risultava dalla CTU e non era neanche contestato.
Allo stesso modo nessuna contraddizione può riscontrarsi dall’aver dato atto della restituzione del bene da parte di NOME COGNOME con la rinuncia al diritto di prelazione, risultando invece che la stessa NOME contestualmente alla stipula da parte del figlio del preliminare di acquisto del suolo aveva sottoscritto un documento in cui si dava atto che restituiva solo formalmente ai proprietari il fondo in questione, che veniva immesso nel possesso materiale ai sensi dell’articolo 7 del preliminare di vendita il promissario acquirente NOME COGNOME.
Quanto al rigetto del secondo motivo di appello relativo alla mera irregolarità degli abusi, è sufficiente richiamare quanto si legge nella sentenza impugnata circa il fatto che lo stesso ricorrente nel giudizio di primo grado, in sede di precisazione delle conclusioni, aveva preso atto che dalla consulenza era emerso che l’immobile non era commerciabile e aveva dichiarato espressamente di non insistere sulla domanda proposta ex articolo 2932 c.c., pertanto, tale domanda doveva ritenersi abbandonata per rinuncia.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli articoli 112, 115, 116, 342 e 345 c.p.c. nonché degli articoli 1140, 2729, 2909 c.c.
La motivazione con la quale è stata attribuita al ricorrente la paternità delle opere abusive si fonderebbe su semplici presunzioni smentite da fatti diversi ammessi dagli stessi resistenti nella loro comparsa di costituzione in appello.
La prova per presunzioni non sarebbe ammessa quando vi è una prova certa del fatto. Peraltro, con la sentenza si sarebbero poste a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti e in ogni caso sarebbe pacifico che l’opera già esiste sse al momento del contratto preliminare. Tanto che per l’abuso era stata adita la sezione speciale agraria per la risoluzione del rapporto in danno dell’affittuaria , circostanza accertata anche dalla sentenza di primo grado confermata nella comparsa di costituzione in appello dagli stessi resistenti. Ivi si legge che il manufatto al grezzo esisteva già nell’anno 1988. Dunque, i fatti non erano contestati e la preesistenza del manufatto al grezzo rendeva imputabile l’ inadempimento alla controparte.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Nel ricorso per cassazione, i motivi di impugnazione che prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Sez. 5, Sentenza n. 18021 del 14/09/2016, Rv. 641127 – 01).
Questa Corte a Sezioni Unite, infatti, ha chiarito che: In tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute
nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa. (Sez. U – , Sentenza n. 23745 del 28/10/2020, Rv. 659448 – 01)
Per queste ragioni la censura di violazione di legge in relazione al lungo elenco di articoli del codice civile e di procedura indicati in rubrica è inammissibile.
Le uniche censure che dalla lettura del motivo è possibile individuare sono quella di violazione della disciplina in materia di prova presuntiva e di erronea violazione del materiale probatorio dai quali emergerebbe come incontestata la preesistenza del manufatto al grezzo che renderebbe l’inadempimento imputabile alla controparte.
2.2 Anche queste censure, tuttavia, sono inammissibili.
In primo luogo, l’accertamento dell’inadempimento del ricorrente non è fondato esclusivamente sulla prova presuntiva. Infatti, la Corte d’Appello dopo aver accertato che i promittenti venditori non avevano la materiale disponibilità dell’immobile e , dunque, non potevano essere gli autori degli abusi, ha riscontrato tale deduzione sulla base di altre prove acquisite. Si legge in sentenza che i medesimi fatti oltre ad essere sostanzialmente non contestati erano ulteriormente confermati dalle conclusioni del perito che aveva ritenuto che le opere abusive erano successive alla stipula del preliminare. D’altra parte, l’attore aveva depositato
anche copia della richiesta di sanatoria che ulteriormente evidenziava la paternità delle opere abusive.
Inoltre, non può che ribadirsi che: Con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, e neppure occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Sez. L , Ordinanza n. 22366 del 05/08/2021, Rv. 662103 – 01).
In altri termini, il libero convincimento del giudice di merito in tema di presunzioni nel giudizio di cassazione è sindacabile nei ristretti limiti di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., e cioè per mancato esame di fatti storici, anche quando veicolati da elementi indiziari non esaminati e dunque non considerati dal giudice sebbene
decisivi, con l’effetto di invalidare l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato, nonché quando la motivazione non sia rispettosa del minimo costituzionale (Sez.
1 – , Ordinanza n. 10253 del 19/04/2021, Rv. 661151 – 01).
Ciò premesso, anche volendo riqualificare la censura sotto il profilo dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, la stessa non sarebbe ammessa in un caso come quello in esame in cui la sentenza della Corte d’Appello è del tutto conforme a quella di primo grado (c.d. ‘doppia conforme’).
Deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: Nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare l e ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento nella specie non svolto. Va invero ripetuto che ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, le regole sulla pronuncia cd. doppia conforme si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto (id est, ai giudizi di appello introdotti dal giorno 11 settembre 2012).
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli articoli 112, 342, 345 c.p.c. nonché degli articoli 1455, 1460, 1476, 1491 e 2697 c.c.
La censura attiene alla valutazione del l’ inadempimento con inversione dell’onere probatorio in quanto era onere degli allora convenuti in riconvenzionale di dare prova dell’imputabilità dell’inadempimento alla controparte ai sensi dell’articolo 1476 c.c.
3.1 Il terzo motivo di ricorso è in parte inammissibile in parte infondato.
Anche in questo caso valgono le considerazioni di cui al precedente motivo circa l’inammissibilità delle censure di violazione di legge in riferimento ad un elenco di articoli del codice civile e di procedura asseritamente violati senza alcun riferimento concreto agli stessi nel corpo del motivo.
L’unica censura che può desumersi è quella sopra esposta di erronea inversione dell’onere probatorio che risulta manifestamente infondata.
Nella specie, infatti, non vi è stata alcuna inversione dell’onere probatorio quanto piuttosto una valutazione delle risultanze istruttorie che, peraltro, è stata condivisa tanto dal Giudice di primo grado che da quello di appello, assumendo decisivo rilievo il fatto che i promittenti venditori non potevano aver posto in essere l’abuso perché non avevano la disponibilità dell’immobile passato dalla detenzione a titolo di locazione di NOME COGNOME, madre del ricorrente, a quest’ultimo a seguito della stipula del preliminare. In ogni caso, anche dalla consulenza era emerso che l’ abuso era successivo al contratto preliminare. D’altra parte, l’attore aveva depositato anche copia della richiesta di sanatoria che ulteriormente evidenziava la paternità delle opere abusive.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 4000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione