Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3530 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3530 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 35597/2019 R.G. proposto da:
IMPRESA EDILE NOME COGNOME, in persona del suo omonimo titolare NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende con l’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME, NOMECOGNOME NOMECOGNOME tutti quali eredi di NOME ed il primo anche in proprio, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrenti e ricorrenti incidentali -avverso la sentenza n. 1948/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 17/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
I coniugi NOME COGNOME NOME COGNOME convennero in giudizio NOME COGNOME chiedendo farsi luogo del consenso mancante del convenuto, resosi promittente alienante d’un immobile di nuova costruzione, nonostante gli esponenti avessero pagato l’intero prezzo, salvo l’importo di € 3.615,00, oltre IVA, che offrivano alla prima udienza, costituente corrispettivo per taluni lavori previsti nella scrittura integrativa del 18/10/2002. Soggiungevano di non essersi presentati davanti al notaio, davanti al quale erano stati convocati dal promittente alienante per il 28/11/2002, mancando il certificato di abitabilità.
Il convenuto, oltre ad opporsi alla domanda avanzò pretesa riconvenzionale, assumendo che i promissari acquirenti fossero ancora debitori della somma di €43.437,46, siccome stabilito nella scrittura del 16/6/2000, chiedendo, di conseguenza, la risoluzione del contratto, condanna al risarcimento dei danni e al pagamento della penale, fissata in £. 20.000 al giorno e, in via gradata, in caso di accoglimento dell’avversa domanda, subordinare il trasferimento al pagamento di quanto ancora dovuto, con condanna al pagamento del conguaglio determinato in € 64.593,77.
Il Tribunale adito, rigettata la domanda principale, accolte in parte quelle riconvenzionali, risolse il contratto per grave inadempimento dei promissari acquirenti, che condannò al pagamento della somma di € 15.493,71.
La Corte d’appello di Bari, investita dall’impugnazione dei soccombenti attori principali, ribaltò la sentenza di primo grado, della quale sconfessò radicalmente ordito motivazionale e conclusioni e, pertanto, in riforma di quella, accolta, per quanto
giudicato di ragione la domanda principale, dispose il trasferimento dell’unità immobiliare, subordinandolo al pagamento da parte dei promissari acquirenti della somma di € 3.615,00, oltre IVA al 4% e rigettò le domande incidentali, condannando l’appellato al pagamento delle spese del doppio grado.
Queste, in sintesi, per qual che qui ancora rileva, gli argomenti esposti dal Giudice di secondo grado, che qui vengono in rilievo:
la sentenza di primo grado viene giudicata nel suo complesso incongrua e illogica e riportante questioni neppure sollevate dalle parti (in specie al preteso termine essenziale), perdendo di vista il vero oggetto del giudizio, costituito dall’apprezzamento dei reciproci adempimenti/inadempimenti;
la debenza della somma richiesta in via riconvenzionale dal promittente alienante e che trovava conforto nella scrittura privata integrativa del contratto preliminare redatta sempre il 16/6/2000, risultava essere smentita dalla successiva scrittura del 18/10/2002, con la quale, pattuita integrazione nella misura di € 3.615,00 oltre IVA, il Natile aveva dichiarato di non avere null’altro a pretendere, concordandosi la data del 30/11/2002 per la stipula del contratto definitivo;
alla conclusione di cui immediatamente sopra conduceva l’interpretazione del secondo accordo scritto sulla base dei convergenti canoni del contenuto letterale e della comune intenzione delle parti;
già il primo Giudice aveva accertato che alla data del 28/11/2002 era ancora mancante il certificato di abitabilità dell’immobile, restando, così, giustificato il rifiuto di contrarre manifestato dalla parte promissaria acquirente;
la mancanza dell’abitabilità costituiva requisito essenziale, sebbene non invalidante, del contratto di compravendita, poiché
incidente sulla possibilità di adibire legittimamente lo stesso all’uso contrattualmente previsto;
la mancata presentazione presso il notaio della parte promissaria acquirente si giustificava con la perdurante omessa consegna del regolamento condominiale e del certificato di abitabilità (il secondo verrà prodotto dal Natile solo in giudizio, pur se datato 27/5/2003);
il Tribunale, nel giudicare non soddisfattiva l’offerta dei promissari acquirenti, aveva fatto riferimento esclusivo all’integrazione richiesta dal promittente alienante in data 4/2/2003;
gli attori avevano allegato di avere pagato per intero il prezzo pattuito in € 100.709,09, oltre a € 1.206,27 per opere extracontrattuali, di avere pattuito con l’anzidetta scrittura del 18/10/2002 di dovere ancora € 3.615,00, oltre Iva al 4%, da corrispondersi al momento della stipulazione del contratto definitivo; il Natile aveva ammesso che gli attori avevano pagato la complessiva somma di € 105,013,00 (da presumersi comprensiva d’IVA) a fronte di un preteso corrispettivo di € 148.636,60, includente l’importo di € 43.622,93, che trovava fonte nella scrittura del 16/6/2000;
a parte ogni altra considerazione, la consulenza tecnica, non fatta oggetto di alcuna critica in grado d’appello, e condivisa dalla Corte locale, aveva accertato essere state realizzate opere esuberanti rispetto al disciplinare per un valore di € 5.367,09, alla data di ultimazione dei lavori (10/9/2002); a ben vedere trattavasi di somma corrispondente a quella concordata dalle parti con la scrittura del 18/10/2022; né l’ausiliario aveva riscontrato la predisposizione di finiture d’eccellenza che potessero giustificare la pretesa del COGNOME;
la pretesa di revisione prezzi a mente dell’art. 8 l. n. 10/1977 era infondata trattandosi di edilizia convenzionata ex art. 35 l. n. 865/1971; in ogni caso, il citato art. 8 prevedeva la possibilità di periodiche revisioni dei prezzi disposte dall’Amministrazione regionale e il Natile, pur avendo fatto riferimento alla delibera della Giunta regionale n. 1996 del 28/12/2000, non ne aveva curato la produzione; nel mentre il c.t.u., che ne aveva tenuto conto, era giunto alla conclusione che ne risultasse un prezzo non dissimile rispetto a quello convenuto;
<>;
la richiesta di risarcimento del danno avanzata dai promissari acquirenti in forma generica, priva di alcuna specificazione, solo in corso del giudizio, con la memoria istruttoria, era stata colorata dal deposito di ricevute di pagamento e, in sede di precisazione delle conclusioni, con il riferimento agli ulteriori canoni locativi versati.
NOME COGNOME ricorre sulla base di un solo motivo. NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso, in seno al quale propongono ricorso incidentale fondato su un solo motivo, avversato da controricorso del ricorrente principale.
Con atto del 24/10/2024 si costituiscono in giudizio, assistiti e rappresentati dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME NOME NOME e NOME COGNOME tutti eredi di NOME COGNOME
Sono state depositate memorie.
Il ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1218, 2726, 1988, 1199 cod. civ., nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo.
Il Natile, dopo aver riportato ampi stralci della sentenza, la valuta <>.
In sostanza, prosegue il ricorrente, poiché la scrittura del 16/6/2020 costituiva generica ricognizione di debito, svincolata dal contratto preliminare, ben ammissibile nella sua astrattezza, non avrebbe potuto essere privata di validità da quella intervenuta nel 2002.
Di conseguenza, non era stata raggiunta la prova del pagamento dell’ultima ‘tranche’ del prezzo, ammontante a £ 50.000.000 (€ 25.822,84).
4.1. La doglianza è in parte inammissibile e, per altra parte, priva di fondamento.
Con essa il ricorrente perora una versione alternativa, e, peraltro nuova, della vicenda: fermo il prezzo pattuito con il contratto preliminare, con la scrittura del 16/6/2020 i promissari acquirenti si erano obbligati al pagamento dell’importo in essa riportato, non in relazione all’unico rapporto intercorrente fra le due parti, costituito dal contratto preliminare di compravendita immobiliare, ma per una non meglio nota ragione, rimasta astratta e ignota e, perciò, non avrebbe potuto essere modificata dalle parti medesime con la successiva scrittura del 2002.
A parte la già evidenziata novità della prospettazione, peraltro del tutto disancorata dal contesto apprezzabile, è palese il tentativo di ottenere in sede di legittimità una nuova e più favorevole ricostruzione della vicenda fattuale, puntualmente scolpita dalla sentenza impugnata.
Sotto altro profilo, non può in alcun modo condividersi l’opinione del ricorrente secondo la quale il patto del 16/6/2000 non avrebbe potuto essere successivamente modificato dall’autonomia contrattuale delle parti. Anzi, esattamente al contrario del curioso opinamento, con la scrittura del 2002 il Natile dichiarò espressamente di non avere null’altro a pretendere, oltre la somma di € 3,615,00, maggiorata d’IVA.
È appena il caso di soggiungere che qui si è ben lungi dall’ipotesi invocata dell’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, non riscontrandosi un fatto storico o un documento, fatto oggetto del dibattito processuale, il cui esame il giudice abbia omesso, bensì d’una del tutto impropria ricostruzione del fatto (cfr. Cass. nn. 34576/2019, 5987/2021).
Infine, deve ribadirsi che la denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, S.U. n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 3340, 05/02/2019).
I ricorrenti incidentali denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 184 cod. proc. civ., nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 39 -quater d.l. n. 273, 30/12/2005, convertito con modificazioni nella l. n. 51, 23/2/2006, applicabile ‘ratione temporis’.
Si assume l’erroneità della decisione nella parte in cui aveva disatteso la domanda di risarcimento del danno patito dai ricorrenti incidentali a cagione del ritardo nella stipulazione del contratto definitivo e, quindi, nell’assunta indisponibilità dell’immobile.
Riportati i passi salienti della motivazione del Giudice d’appello sul punto, si sostiene che la Corte locale abbia fatto applicazione del testo dell’art. 184 cod. proc. civ., siccome modificato con la disposizione legislativa di cui alla rubrica del motivo.
Invece la norma applicabile ‘ratione temporis’ era quella scaturita dalla riforma di cui alla l. n. 353, 26/11/1990, stante che la novella del 2005/2006 era applicabile ai processi instaurati successivamente all’1/3/2006.
Di conseguenza, sulla base della norma al tempo vigente, le specificazioni non potevano giudicarsi né tardive, né indeterminate. La citazione risaliva al 2003 e le memorie, al 9/9/2005.
Or poiché era stato richiesto col primo atto di causa il risarcimento di tutti i danni patiti, senza ulteriori specificazioni, non sussisteva preclusione per l’accertamento del giudice, preclusione che, peraltro, avrebbe violato il principio dell’unità e infrazionabilità del diritto al risarcimento del danno.
5.1. Il motivo è fondato.
La sentenza d’appello incrocia due ‘rationes decidendi’ reputate convergenti: la domanda di risarcimento dei danni, poiché generica (limitata alla descrizione della condotta colpevole attribuita alla controparte, senza descrizione dei danni patiti), non imponeva al giudice di prenderla in esame.
La specificazione, resa in sede di memoria ex art. 184 cod. proc. civ. era tardiva e, ancor più, se resa in sede di precisazione delle conclusioni, o, addirittura in appello.
Il Giudice di secondo grado afferma la tardività della specificazione successiva senza spiegare la ragione per la quale, applicato il testo dell’art. 184 cod. civ. ‘ratione temporis’ vigente, siccome esattamente individuato dai ricorrenti incidentali, ciò debba ritenersi.
La previsione normativa al tempo applicabile, per vero, consentiva il rinvio ad altra udienza, con assegnazione di termine per indicare nuovi mezzi di prova e produrre documenti e di ulteriore termine per l’eventuale prova contraria.
Cassata la sentenza in relazione al ricorso incidentale accolto, il Giudice del rinvio regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e, accolto il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 4 dicembre 2024.