Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23592 Anno 2025
SENTENZA
sul ricorso 19382-2020 proposto da: COGNOME rappresentato e difeso in proprio
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME
– intimato –
Civile Sent. Sez. 2 Num. 23592 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/08/2025
avverso la sentenza n. 6658/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata in data 04/11/2019
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto dott.ssa NOME COGNOME
udito l’avv. COGNOME ricorrente
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato l’11.11.2015 COGNOME NOME evocava in giudizio COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE innanzi il Tribunale di Roma, esponendo di aver sottoscritto con il convenuto COGNOME con la mediazione dell’agenzia RAGIONE_SOCIALE, un contratto preliminare di acquisto di un immobile in Ardea, versando come acconto la somma di € 12.000 e di non aver però potuto sottoscrivere il definitivo in quanto sull’immobile era pendente una domanda di sanatoria edilizia, non definita dal Comune a causa della mancanza della documentazione attestante il pagamento dei diritti di segreteria, del nulla osta paesistico-ambientale e dell’affrancazione del lotto sul quale insiste l’immobile dagli usi civici. Chiedeva quindi dichiararsi la legittimità del suo recesso dal contratto predetto per inadempimento del promittente venditore e la condanna di quest’ultimo, unitamente all’agente immobiliare, al risarcimento del danno, nonché, limitatamente al Besi, al versamento del doppio della caparra.
Si costituivano separatamente i convenuti, resistendo alla domanda. Il COGNOME deduceva che l’attore era a conoscenza del fatto che dalla pratica di sanatoria mancassero i documenti suindicati e che comunque, trattandosi di cespite realizzato prima del 1967, esso
poteva essere commercializzato anche in assenza della definizione della pratica predetta.
Con sentenza n. 4598/2013 il Tribunale accoglieva in parte la domanda, accertando la legittimità del recesso del Baldassarre dal contratto preliminare oggetto di causa, condannando il COGNOME alla sola restituzione dell’acconto percepito e rigettando ogni altra domanda. Condannava rispettivamente il COGNOME alla refusione delle spese nei confronti dell’attore, e questi al pagamento delle stesse in favore del mediatore immobiliare. Il Tribunale riteneva, in particolare, irrilevante la circostanza che il bene fosse stato realizzato anteriormente al 1967, a fronte della rilevata carenza documentale della pratica di condono edilizio sullo stesso incidente, ritenendo quindi legittimo il recesso del promissario acquirente; rigettava invece la domanda risarcitoria da quest’ultimo proposta, nei confronti del mediatore, poiché questi aveva operato senza incorrere in alcuna negligenza, e nei confronti del COGNOME, per assenza di prova del danno risarcibile.
Con la sentenza impugnata, n. 6658/2019, la Corte di Appello di Roma riformava parzialmente la decisione di prime cure, rigettando il gravame principale del COGNOME ed accogliendo invece quello incidentale spiegato dal COGNOME, con condanna del predetto COGNOME al pagamento della maggior somma di € 24.000, oltre alle spese del secondo grado del giudizio di merito. La Corte distrettuale riteneva irrilevante, nella pendenza di una pratica di condono edilizio sul cespite, la circostanza che esso fosse stato edificato prima del 1967, poiché comunque difettavano i documenti richiesti dal Comune per la definizione della pratica predetta. Considerava invece fondato il gravame incidentale, poiché nella fattispecie la somma versata dal COGNOME contestualmente alla firma del contratto preliminare era stata qualificata come ‘caparra confirmatoria ed acconto prezzo’ ,
espressione, questa, con la quale, secondo il giudice di seconda istanza, le parti avevano inteso richiamare la sua duplice funzione di liquidazione anticipata del danno, nell’ipotesi di inadempimento di una delle parti, e di anticipazione del corrispettivo, nell’opposto caso di esecuzione del preliminare e sottoscrizione del rogito definitivo di compravendita.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME, affidandosi a dieci motivi.
Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
In prossimità dell’udienza pubblica, il P.G. ha depositato requisitoria scritta, insistendo per il rigetto del ricorso, e la parte ricorrente ha depositato memoria.
Sono comparsi all’udienza pubblica il P.G., nella persona del sostituto dott. ssa NOME COGNOME la quale ha insistito nelle proprie conclusioni, invocando il rigetto del ricorso, e l’avv. NOME COGNOME ricorrente, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso, mancante -almeno in parte -dello svolgimento del fatto, poiché il ricorrente, dopo aver elencato i momenti salienti della vicenda, nulla dice in relazione al giudizio di prime cure, limitandosi a richiamare, al riguardo, quanto esposto nell’atto di appello (cfr. pag. 1 del ricorso), si articola in dieci motivi, alcuni dei quali suscettibili di esame congiunto.
In particolare, con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 40 della legge n. 47 del 1985, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte capitolina avrebbe trascurato di considerare che gli immobili edificati
anteriormente al 1967 possono essere liberamente compravenduti in assenza di titolo autorizzativo alla loro realizzazione. La richiesta di sanatoria edilizia indicherebbe espressamente che il bene era stato edificato nel 1954, e dunque ben prima del 1967; di conseguenza, anche a prescindere dall’esito della predetta pratica, il rogito avrebbe potuto essere stipulato.
Con il secondo motivo, invece, il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione al l ‘art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe trascurato di rilevare che il profilo della carenza del certificato di agibilità non era stato tempestivamente sollevato dal COGNOME nel corso del giudizio di prime cure.
Con il terzo e quarto motivo, il COGNOME contesta la violazione o falsa applicazione dell’art. 40 della legge n. 47 del 1985, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perchè il giudice del gravame avrebbe dovuto ritenere comunque commerciabile il cespite oggetto di causa, in funzione del fatto che esso era stato edificato prima del 1967, e precisamente nel 1954.
Le censure sono infondate.
La Corte di Appello, dopo aver dato atto che, in forza della clausola contenuta nell’art. 2 del contratto preliminare di compravendita intercorso tra le parti, il COGNOME, promittente venditore, si era impegnato ad assicurare la totale libertà dell’immobile da ‘… pesi, debiti, liti, vincoli, oneri reali e fiscali in genere, privilegi tributari, ipoteche e trascrizioni pregiudizievoli in genere ad eccezione degli usi civici se esistenti ed ulteriore affrancazione entro i tempi previsti dalla legge a cura e spese della parte promittente venditrice’ (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata), ha ritenuto che lo stesso non si fosse ‘…
tempestivamente adoperato per ottenere il rilascio del provvedimento in sanatoria, non avendo provveduto ad assolvere le incombenze mancanti, quali il pagamento dei diritti di segreteria e istruttoria, affrancazione usi civici e nulla osta paesistico, entro la data fissata per la stipula del rogito, così come promesso nel contratto preliminare. Tale condotta negligente è perdurata oltre la data fissata nella diffida ad adempiere, facendo spirare inutilmente anche il termine ultimo fissato dal COGNOME per la stipula del definitivo. Invero, il promittente venditore neppure ha informato il promissario acquirente circa l’esito del procedimento amministrativo presso la Regione Lazio, nè ha fornito la prova dell’affrancazione da usi e vincoli, prima del decorso del termine ultimo previsto nella diffida ad adempiere (30.9.2005), costringendo così il promissario acquirente a rivolgersi al Tribunale e chiedere la pronuncia di dichiarazione di legittimità del recesso dal preliminare ‘ (cfr. pagg. 10 ed 11 della sentenza impugnata).
Nel contestare tale statuizione, il ricorrente non si confronta in modo adeguato con la sua ratio , poiché non deduce, nè tantomeno indica di aver adeguatamente dimostrato nel corso del giudizio di merito, di essersi, per l’appunto, ‘tempestivamente attivato’ per ottenere la definizione della pratica di sanatoria edilizia insistente sul cespite, per chiedere l’affrancazione degli usi civici, ove esistenti, e per ottenere il nulla osta paesistico.
Deve osservarsi, al riguardo, che costituisce onere della parte promittente venditrice, che si sia impegnata ad assicurare la totale libertà del cespite compravenduto, senza alcuna eccezione o esclusione, dar prova di essersi quantomeno attivata per richiedere, presso le competenti Autorità, il rilascio dei documenti, o l’attivazione e/o la definizione delle procedure, necessarie per il completamento del progetto negoziale.
Va altresì considerato che rientra nell’ambito della diligenza nell’adempimento imposta ex art. 1176 c.c. al promittente venditore non soltanto il comportamento attivo nella richiesta della concessione edilizia, o nella coltivazione della pratica di sanatoria, ma anche la dimostrazione di aver confidato senza colpa nella legittimità dei titoli domandati ed ottenuti, in modo tale da escludere che il promissario acquirente possa subire conseguenze negative, anche a fronte di iniziative giudiziarie eventualmente promosse da terzi (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15712 del 08/11/2002, Rv. 558354).
Era dunque onere del COGNOME dimostrare di aver diligentemente operato per assicurare non soltanto la possibilità di concludere il definitivo, ma anche di ottenere la liberazione del bene da pesi, oneri e vincoli di ogni genere, per come si era in ogni caso contrattualmente obbligato.
Al riguardo, con riferimento alla deduzione contenuta nel secondo motivo, secondo cui la carenza del certificato di abitabilità non sarebbe stata specificamente dedotta dal COGNOME in prime cure, occorre evidenziare che rientra nell’ambito della diligenza richiesta al promittente venditore anche la consegna del certificato di abitabilità o agibilità, ovvero l’assicurazione della sussistenza delle condizioni per il suo ottenimento, salvo che il promissario acquirente non abbia espressamente rinunciato al requisito dell’abitabilità o comunque esonerato il venditore dall’obbligo di ottenere la relativa documentazione (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 10665 del 05/06/2020, Rv. 657889). Ciò esclude la sussistenza del vizio di cui all’art. 112 c.p.c., denunziato dal COGNOME con la doglianza in esame, posto che la legittimità del recesso del COGNOME, giustificato dalla non conseguita prova della regolarità del cespite, sotto il profilo del rispetto delle prescrizioni urbanistico -edilizie, costituiva l’oggetto stesso della
domanda dal medesimo proposta in primo grado, ed accolta dal Tribunale.
Va infine considerato che, laddove su un immobile insista un diritto di uso civico (come nel caso di terre possedute dai comuni, frazioni di comune, comunanze, partecipanze, università ed altre associazioni agrarie), il regime di inalienabilità e di indisponibilità cui il bene è assoggettato permane fino all’affrancazione del diritto (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 19941 del 21/06/2022, Rv. 665010). Anche sotto questo specifico profilo, quindi, il COGNOME avrebbe dovuto almeno dar conto di aver presentato la richiesta di affrancazione; cosa che, dalla sentenza impugnata, non risulta, e che il ricorrente non deduce specificamente di aver fatto, né entro la data fissata per la stipula del rogito, né entro il termine contenuto nella diffida ad adempiere inviatagli dal COGNOME.
In relazione all’incidenza del diritto di uso civico sul bene immobile, peraltro, va considerato che la Corte costituzionale, con la recente sentenza n. 119 del 2023, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge n. 168 del 2017 ‘nella parte in cui, riferendosi ai beni indicati dall’art. 3, comma 1, non esclude dal regime della inalienabilità le terre di proprietà di privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati’ , ha ribadito che il divieto, per chiunque acquisti il fondo gravato da uso civico, di compiere alcun atto che possa compromettere il pieno godimento promiscuo, nonché il valore paesistico-ambientale correlato alla conservazione degli usi civici. Ne consegue che l’esistenza di un diritto di uso civico sul bene compromesso in vendita, se da un lato non ne esclude tout court la commerciabilità, costituisce tuttavia circostanza rilevante ai fine della libertà del cespite da oneri e pesi. Poiché nella specie le parti avevano
espressamente previsto, nel contratto preliminare, che il bene sarebbe stato libero da pesi al momento del rogito, la persistenza del vincolo di cui si discute dimostra il mancato rispetto, da parte del COGNOME, del previso obbligo dallo stesso convenzionalmente assunto.
Non giova, a contrario , il fatto che nella clausola convenzionale contenuta nel contratto preliminare di cui è causa il COGNOME si fosse riservato di provvedere all’affrancazione degli usi civici, se esistenti, ‘nei tempi di legge’ , poiché, proprio alla luce dell’o bbligo di diligenza attiva imposta al promittente venditore, declinato nei termini appena esposti, i ‘tempi di legge’ non potevano che coincidere con la data prevista per il rogito, o quantomeno con quella della diffida ad adempiere, entro cui il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare di aver compiuto tutti gli atti necessari ad assicurare il rispetto del predetto obbligo.
In definitiva, in assenza di prova di un comportamento attivo, idoneo ad integrare gli obblighi di diligenza imposti al promittente venditore, così come previsti dalla legge e dalla specifica clausola negoziale esistente nella fattispecie, la Corte di Appello ha ritenuto legittimo il recesso del COGNOME dal contratto preliminare di compravendita oggetto di causa, all’esito di una valutazione delle risultanze dell’istruttoria che, di per sè, non è sindacabile in questa sede, essendo scevra da errori di diritto e non potendo il motivo di ricorso risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la
valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
Con il quinto motivo, il COGNOME lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente declinato gli obblighi di diligenza imposti a carico della parte promissaria acquirente, la quale avrebbe dovuto attivarsi per ricercare un istituto di credito disposto ad erogargli il finanziamento necessario per concludere la progettata compravendita, anziché comunicare il recesso dal preliminare. Tanto più che lo stesso promittente venditore aveva reperito una banca disposta ad eseguire l’operazione finanziaria.
Con il sesto motivo, il ricorrente si duole della violazione dell’art. 132 c.p.c. , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché il giudice di seconde cure avrebbe mancato totalmente di motivare in
relazione alla condotta, asseritamente negligente, tenuta dal COGNOME.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili, poiché esse non si confrontano con la ratio della decisione. La Corte territoriale, come già esposto in occasione dell’esame dei primi quattro motivi del ricorso, ha ritenuto giustificato il recesso del COGNOME a fronte del mancato adempimento, da parte del COGNOME, agli obblighi posti a carico del promittente venditore e declinati dall’art. 2 del contratto preliminare concluso inter partes . Oggetto della valutazione del giudice di merito, dunque, non è stata la condotta del promissario acquirente, bensì quella del promittente venditore, che è stata accertata non idonea ad integrare gli obblighi di attivazione e collaborazione che gravavano sullo stesso, al fine di consentire il buon esito del progetto negoziale. In altre parole, la Corte di merito ha ravvisato la prevalenza dell’inadempimento del COGNOME, rispetto alla condotta tenuta dal promissario acquirente COGNOME con un giudizio di fatto, fondato sulla valutazione delle risultanze istruttorie, che è insuscettibile di riesame in sede di legittimità.
La motivazione della sentenza impugnata, peraltro, oltre ad essere coerente con l’insegnamento di questa Corte, richiamato in relazione ai primi quattro motivi del ricorso, non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico -argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Va aggiunto a quanto precede che non risulta rilevante il fatto, dedotto dal COGNOME con il sesto motivo di ricorso, che lo stesso si sarebbe attivato per individuare un istituto di credito alternativo a quello interpellato dal COGNOME, disposto ad erogare al promissario acquirente il finanziamento occorrente per perfezionale la compravendita. Da un lato, infatti, la scelta della banca con la quale contrarre il finanziamento spetta alla parte che assume l’onere di provvedere alla restituzione del prestito, e non ad altri, ancorchè interessati acché il progetto negoziale previsto dal contratto preliminare di compravendita abbia esecuzi one. Dall’altro lato, non risulta alcun obbligo del COGNOME di provvedere alla ricerca dell’istituto finanziario, né del COGNOME di accettare l’esito di detta attività, onde l’eventuale dimostrazione della circostanza di cui si discute non è idonea ad incidere sul sinallagma contrattuale, essendo essa estranea agli obblighi reciprocamente assunti dalle parti con il preliminare di cui è causa. Inoltre, il COGNOME non deduce, né prova, che le condizioni finanziarie offerte dalla banca che egli avrebbe reperito fossero analoghe a quelle che il COGNOME avrebbe potuto da avere da altro istituto di sua scelta. Neppure è provato che il COGNOME non fosse in grado di procedere alla stipula del definitivo in assenza del finanziamento. Ed infine, la circostanza ch e quest’ultimo potesse essere erogato da un qualsiasi istituto di credito non dimostra né che l’atto di compravendita fosse lecitamente rogabile, né che il cespite fosse libero da pesi ed oneri, essendo astrattamente possibile, sotto il primo profilo, che la banca possa erogare un finanziamento sulla base di un errore di valutazione, e, sotto il secondo aspetto, che l’erogazione possa essere assistita da garanzia costituita su un bene gravato da altri vincoli. La valutazione che l’istituto di credito esegue ai fini dell’erogabilità del finanziamento richiesto per un acquisto immobiliare
non ha quindi alcuna diretta incidenza sul rispetto, da parte dei paciscenti, delle obbligazioni da essi rispettivamente assunte con il contratto preliminare di compravendita da essi sottoscritto.
Con il settimo motivo, il ricorrente si duole della violazione degli artt. 1362/1367 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe optato per una interpretazione del contenuto del contratto preliminare intercorso tra le parti contraria al suo tenore letterale.
La censura è inammissibile.
Va ribadito, in tema di interpretazione del contratto, che ‘… il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima -consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti -è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt.1362 e ss. c.c., mentre la seconda -concernente l’inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente -risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo’ (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 29111 del 05/12/2017, Rv. 646340; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 420 del 12/01/2006, Rv. 586972). La censura in esame non attiene al secondo profilo, ma è limitata al primo, essendo pacifica la correttezza della qualificazione, operata sia dal ricorrente che dalla
sentenza impugnata, del contratto di cui è causa come preliminare di compravendita immobiliare. Di conseguenza, la censura attinente il procedimento interpretativo seguito dal giudice di merito non può risolversi nella mera prospettazione di una soluzione alternativa, poiché ‘La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c. c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpr etazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677; in precedenza, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013, Rv. 628585).
Nella fattispecie, il ricorrente lamenta, genericamente, la violazione dei canoni di ermeneutica previsti dal codice civile, facendo riferimento al criterio letterale, che tuttavia, nel caso specifico, non risulta affatto violato dalla Corte di Appello, la quale si è limitata a dar atto degli impegni e delle garanzie assunte dalle parti con la sottoscrizione del contratto di cui è causa e a ravvisare l’inadempimento del Besi a quelle su di lui gravanti.
Con l’ottavo motiv o , il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente ravvisato un impegno, assunto da esso promittente venditore, di assicurare l’affrancazione del bene dagli usi civici entro la data prevista dal rogito. Secondo il COGNOME, infatti, l’obbligo sarebbe stato assunto ‘entro i tempi previsti dalla legge’ e dunque non necessariamente entro la data prevista per il rogito di compravendita.
La censura non è fondata.
Possono essere richiamate, al riguardo, le considerazioni già esposte in relazione ai primi quattro motivi di ricorso: il riferimento ai ‘tempi di legge’ va interpretato in necessaria correlazione con gli obblighi di diligenza e di collaborazione imposti al promittente venditore, il quale dunque, entro la data prevista per il rogito, o comunque entro quella indicata nella diffida ad adempiere, avrebbe dovuto at tivarsi per ottenere l’affrancazione, quantomeno dimostrando di aver presentato la relativa richiesta alle competenti Autorità. Non rileva, a contrario , il fatto che l’affrancazione del bene non costituisca ostacolo alla rogabilità del contratto definitivo di compravendita, poiché, in presenza di un obbligo specificamente assunto dalla parte promittente venditrice, questa doveva, come già detto, dimostrare di essersi diligentemente attivata per rispettarlo: cosa che, nel caso specifico, secondo la Corte di Appello il Besi non ha fatto; nè dal ricorso emerge la dimostrazione del contrario, posto che il ricorrente non indica alcun elemento che sarebbe stato trascurato, o erroneamente valutato, dal giudice di merito, idoneo a comprovare che egli si fosse attivato nei suddetti termini. Sotto quest’ultimo profilo, dunque, la censura è anche carente del richiesto grado di specificità.
Con il nono motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1454 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe dovuto tener conto che il COGNOME, nel momento in cui aveva inviato la diffida ad adempiere, era già in possesso di tutta la documentazione necessaria per dar corso al rogito di compravendita.
La censura è inammissibile, perché essa, analogamente a quanto evidenziato in relazione al quinto ed al sesto motivo, non si confronta con la ratio della decisione. La Corte del gravame, infatti, ha ritenuto conseguita la prova del mancato rispetto, da parte del Besi, dei suoi obblighi di garanzia convenzionalmente assunti, e non dimostrata, per altro verso, la sua fattiva collaborazione per far sì che l’operazione negoziale potesse essere completata. Non è dunque rilevante il fatto che la compravendita potesse essere stipulata, come sostiene l’odierno ricorrente, a fronte del ravvisato mancato rispetto, da parte del Besi, degli obblighi convenzionali assunti dallo stesso con la clausola di cui all’art. 2 del contratto preliminare oggetto di causa, o comunque su di lui gravanti in funzione dell’obbligo generale di diligenza e di necessaria collaborazione delle parti per assicurare il buon esito del progetto negoziale dalle stesse delineato.
Con il decimo ed ultimo motivo, infine, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1346/1418 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto ritenere nullo il contratto preliminare di cui è causa, a fronte della ravvisata carenza documentale afferente all’immobile che ne costituiva oggetto, e comunque non avrebbe potuto configurare il versamento eseguito dal COGNOME contestualmente all’impegno di acquisto sub specie di caparra, trattandosi di mero acconto prezzo.
La censura è inammissibile nella prima parte, trattandosi di questione mai posta nel corso del giudizio di merito, il cui esame presuppone accertamenti in fatto; mentre è infondata nella seconda parte, poiché la Corte distrettuale ha ritenuto che ‘Chiara … era stata la volontà delle parti di assegnare alla somma di euro 12.000 versata al momento della stipula del compromesso la qualifica giuridica di caparra confirmatoria ex art, 1385 c.c., oltre che di acconto prezzo. Più specificamente, nel preliminare di vendita le parti avevano espressamente dichiarato che la somma di euro 12.000 sarebbe stata versata contestualmente alla stipula del preliminare ‘ a titolo di caparra confirmatoria ed acconto prezzo ‘ … l’uso di espressioni con cui le parti negoziali attribuiscono una doppia qualificazione … alla somma eventualmente versata da una di esse al momento della stipula del contratto va inteso come richiamo alla duplice funzione, alternativa, della caparra confirmatoria, la quale da un lato è volta a garantire l’esecuzione del contratto, venendo incamerata ed imputata alla prestazione eseguita, in caso di adempimento, dall’altro, nel caso di inadempimento, costituisce una liquidazione anticipata del danno s ubito dalla parte non inadempiente’ (cfr. pagg. 11 e 12 della sentenza impugnata). La statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, richiamato anche dal giudice capitolino, secondo cui ‘ La somma di denaro che, all’atto della conclusione di un contratto di compravendita, una parte consegna all’altra ‘ a titolo di caparra confirmatoria e principio di pagamento ‘ va intesa -alla stregua di un diretto procedimento ermeneutico della cennata espressione contrattuale -impiegata per la sua intera entità per assolvere alla duplice funzione, alternativa, della caparra confirmatoria, di preventiva liquidazione del danno, per il caso di inadempimento, ovvero di anticipato parziale pagamento, per l’ipotesi di adempimento; salvo che
da elementi intrinseci ed estrinseci al contratto, possa desumersi che i contraenti abbiano voluto limitare ad una parte soltanto della somma versata la funzione di caparra, attribuendo all’altra parte della somma la qualifica di mero acconto del prezzo dovuto ‘ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 727 del 30/01/1980, Rv. 404174; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1101 del 04/02/1988, Rv. 457361; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7935 del 23/08/1997, Rv. 507048; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12768 del 17/11/1999, Rv. 531245).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva dalla parte intimata nel presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda