Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5771 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 5771 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2454/2019 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE, quale titolare dell’omonima ditta, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di LECCE n. 976/2018, depositata il 3/10/2018.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, il sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto alla Corte di rigettare il ricorso.
Sentito il difensore del controricorrente, l’avvocato NOME COGNOME che ha chiesto alla Corte di rigettare il ricorso.
FATTI DELLA CAUSA
NOME COGNOME ha proposto due opposizioni, successivamente riunite, avverso due decreti concessi su domanda di NOME COGNOME titolare dell’omonima impresa edile, per il pagamento di lavori edili che l’opponente affermava non essere stati completati e, comunque, essere affetti da gravi vizi, in relazione ai quali chiedeva la riduzione di quanto ingiunto; in via riconvenzionale, l’opponente chiedeva la condanna dell’appaltatore al risarcimento dei danni.
Il Tribunale di Lecce, con la sentenza n. 948/2015, rigettava le opposizioni e la domanda riconvenzionale di COGNOME: essendo la fattispecie disciplinata dall’art. 1667 c.c. e non dal 1669 c.c., l’opponente è decaduto dalla garanzia per vizi e difetti, in quanto non ha effettuato la relativa denuncia nel termine di sessanta giorni; non sono poi stati provati i danni chiesti dall’opponente con la riconvenzionale.
La sentenza di primo grado è stata impugnata in via principale dall’opponente COGNOME e in via incidentale da COGNOME in relazione alla pronuncia sulle spese relative al procedimento di accertamento tecnico preventivo.
La Corte d’appello di Lecce, con la sentenza n. 976/2018, ha rigettato l’appello principale e, per l’effetto, ha confermato la sentenza di primo grado. Il giudice d’appello ha anzitutto puntualizzato che, trattandosi ‘di opere di ristrutturazione eseguite su immobile già da tempo realizzato’, trova ‘comunque’
applicazione la disciplina di cui all’art. 1667 c.c. che impone a pena di decadenza che i difetti dell’opera siano denunciati entro sessanta giorni dalla scoperta dei medesimi; il giudice d’appello ha poi precisato che l’onere della prova circa la tempestività della denuncia spetta al committente e che nel caso in esame il committente tale prova non ha fornito, non potendosi considerare sufficiente il riferimento a una consulenza tecnica di parte e trattandosi d’altro canto di vizi non occulti; il giudice d’appello ha poi ancora sostenuto che ‘dalle risultanze della prova testimoniale emerge come tutte le opere commissionate all’impresa appaltatrice sono state tutte eseguite, tranne alcune di esse che non furono ultimate per l’opposizione del committente nell’ottobre 2006, in conseguenza della quale l’impresa interrompeva i lavori’; da ciò discende -ha concluso il giudice d’appello che la denunzia dei vizi, posta in essere solo con gli atti introduttivi dei giudizi di opposizione ai decreti ingiuntivi, è stata correttamente dichiarata tardiva dal primo giudice. La Corte d’appello ha poi dichiarato l’appello incidentale inammissibile in quanto tardivo.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso NOME COGNOME titolare dell’omonima ditta.
Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità della pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è articolato in sei motivi.
1) Il primo motivo contesta ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c. ed errata applicazione dell’art. 1667 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.’: la Corte d’appello dà atto che i lavori oggetto dell’appalto non sono stati completati, come evidenziato dal consulente tecnico d’ufficio nell’estratto di consulenza che si riporta e come espressamente dichiarato da COGNOME nella lettera del 23 novembre 2006; ciononostante, la Corte
d’appello ha ritenuto di applicare, anziché le norme generali in materia di inadempimento contrattuale, l’art. 1667 c.c. che impone la denuncia dei vizi e difetti dell’opera entro sessanta giorni dalla scoperta.
Il motivo è fondato. La Corte d’appello ha accertato, sulla base ‘delle risultanze della prova testimoniale non smentite sul punto dall’accertamento tecnico preventivo’, che i lavori di ristrutturazione dell’immobile oggetto del contratto d’appalto (così come indicati nel preventivo di spese dell’appaltatore sottoscritto dal committente) non sono stati tutti eseguiti (in particolare, non è stato eseguito il montaggio del mobile scala, non è stato realizzato il soppalco in legno e non vi è stata la posa in opera del lucernaio, v. pag. 6 della sentenza impugnata). Ci troviamo pertanto di fronte a una ipotesi di mancata ultimazione dei lavori: secondo la giurisprudenza costante di questa Corte in tale ipotesi non è invocabile la responsabilità speciale per difformità o vizi prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c. ed è invocabile invece la generale responsabilità per inadempimento contrattuale ex art. 1453 c.c. (in tal senso, da ultimo, Cass. n. 5934/2024 e Cass. n. 421/2024). Le disposizioni speciali in tema di inadempimento del contratto di appalto infatti integrano, ma non escludono i principi generali in tema di inadempimento contrattuale, che sono applicabili quando non ricorrano i presupposti delle norme speciali, nel senso che la comune responsabilità dell’appaltatore ex artt. 1453 e 1455 c.c. sorge allorquando egli non esegue interamente l’opera o, se l’ha eseguita, si rifiuta di consegnarla o vi procede con ritardo rispetto al termine di esecuzione pattuito, mentre la differente responsabilità dell’appaltatore inerente alla garanzia per i vizi o difformità dell’opera, prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c., ricorre quando il suddetto ha violato le prescrizioni pattuite per l’esecuzione dell’opera o le regole imposte dalla tecnica. Pertanto, in caso di omesso completamento dell’opera (anche se questa, per
la parte eseguita, risulti difettosa o difforme), non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell’appaltatore, per inesatto adempimento, fare ricorso alla disciplina della suindicata garanzia, che richiede necessariamente il totale compimento dell’opera (così Cass. n. 7364/1996, in tal senso, più di recente, v. Cass. n. 13983/2011).
Nella fattispecie in esame l’opera appaltata (consistente in lavori di ristrutturazione di un appartamento) non è stata completata a seguito dell’abbandono dei lavori da parte dell’appaltatore e il committente ha chiesto il risarcimento dei danni sofferti per i vizi e la difformità di cui l’opera, per la parte eseguita, era risultata affetta, oltre che per il mancato completamento della stessa. La Corte d’appello ha perciò errato allorché, discostandosi dagli enunciati principi, ha affermato che anche in questa ipotesi, relativamente ai vizi ed alla difformità afferenti prova dell’opera già eseguita, doveva trovare applicazione la norma di cui all’art. 1667 c.c., con la correlata esigenza per l’attore, contro cui era stata eccepita la decadenza, di dimostrare l’avvenuta tempestiva denunzia dei vizi. Né vale al riguardo il rilievo della Corte d’appello secondo cui è irrilevante la mancata ultimazione dell’opera, non potendo l’appaltatore ‘essere considerato inadempiente avendo il committente stesso rifiutato l’adempimento’, dato che il presupposto per l’applicazione della disciplina speciale è appunto il completamento dell’opera, non rilevando l’addebitabilità del mancato completamento che non può rendere completa l’opera che non lo è, né potendosi ritenere, anche per l’inammissibile equiparazione tra situazioni sostanzialmente diverse, che quando l’appaltatore abbandona i lavori, per ciò stesso consegna l’opera, ancorché incompleta (v. al riguardo, in un caso sovrapponibile a quello in esame, Cass. n. 11950/1990).
2) Il carattere decisivo ed assorbente della riscontrata violazione dei principi di diritto sopra ricordati fa sì che dall’accoglimento del
primo motivo di ricorso derivi l’assorbimento dei restanti motivi, che rispettivamente denunciano:
il secondo motivo ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 1669 e 1667 c.c.’; il motivo, subordinato al primo, è riferito all’affermazione della Corte d’appello secondo cui la responsabilità dell’appaltatore ai sensi dell’art. 1669 c.c., pure invocata dal ricorrente nei gradi di merito, riguarderebbe solo i vizi riscontrati nella costruzione di un immobile e non può trovare applicazione in caso di lavori di appalto relativi alla manutenzione o riparazione di un immobile preesistente;
il terzo motivo ‘nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132, n. 4 c.p.c.’, per avere la Corte di merito affermato apoditticamente che i vizi lamentati non erano occulti, ma palesi;
il quarto motivo ‘violazione ed omessa applicazione degli artt. 2730, 2733 e 2735 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.’, per non essersi la Corte attenuta ai principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la scoperta dei vizi si intende verificata quando il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza obiettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione;
il quinto motivo ‘violazione e omessa applicazione degli artt. 2730, 2733 e 2735 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c.’ perché la Corte d’appello, pur riconoscendo che le opere commissionate all’impresa non vennero completate, sostiene che dalle prove testimoniali emerge che non vennero ultimate per l’opposizione del committente, ponendosi così in contrasto con quanto dichiarato dallo stesso COGNOME in una lettera del 23 novembre 2006 diretta al ricorrente;
il sesto, in via gradata per il caso del rigetto del precedente motivo, ‘violazione e omessa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1208, 1210, 1212, 1216, 1217 e 1665 c.c.’, in quanto il rifiuto del
committente di ricevere la prestazione dell’appaltatore, ove pure sussistente, non libera il debitore dall’obbligo di esecuzione dell’obbligazione.
La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Lecce, che provvederà pure in relazione alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione.
Così deciso in Roma in data 12 novembre 2024, nella camera di