Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18486 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18486 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 1499/2020) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (P.IVA: P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria e impresa associata dell’ARAGIONE_SOCIALE costituita con atto pubblico del 31 ottobre 2006, rep. n. 43.494, racc. n. 7.597, e RAGIONE_SOCIALE (P.IVA: P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , in proprio e nella qualità di impresa associata dell’A.RAGIONE_SOCIALE, rappresentate e difese, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliate in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrenti –
contro
Università degli Studi di BARI ‘Aldo INDIRIZZO‘ (C.F.: P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , rappresentata e difesa, in forza di determina n. 358 del 7 febbraio 2020, giusta procura in calce al controricorso, dagli Avv.ti
R.G.N. 1499/20
C.C. 27/05/2025
Appalto –
Servizi –
Rimborso spese
– Risarcimento danni
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio digitale eletto presso gli indirizzi PEC dei difensori;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 1347/2019, pubblicata il 12 giugno 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 maggio 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse delle ricorrenti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con decreto ingiuntivo n. 1464/2008 il Tribunale di Bari intimava all’Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’ il pagamento -in favore della RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale capogruppo mandataria e associata dell’RAGIONE_SOCIALE nonché dell’associata RAGIONE_SOCIALE, quali società vincitrici del bando indetto dall’Università per la gestione tecnico -amministrativa della Cittadella Mediterranea della Scienza -della complessiva somma di euro 9.899,53, in corrispondenza delle due fatture n. 282 del 2 luglio 2007 e n. 11 dell’11 luglio 2007, emesse dalle società a titolo di rivalsa delle spese anticipate.
Proponeva opposizione l’Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’, la quale contestava la spettanza della somma richiesta in sede monitoria e, in via riconvenzionale, chiedeva il risarcimento dei danni nella misura di euro 19.047,82, oltre accessori.
Si costituivano in giudizio la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, le quali contestavano le deduzioni avversarie, chiedendo il rigetto dell’opposizione e della spiegata riconvenzionale, con la conferma del provvedimento monitorio opposto.
Nel corso del giudizio era assunta la prova orale ammessa.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 3764/2015, depositata il 10 settembre 2015, ritenuta la risoluzione del contratto concluso tra le parti per mutuo dissenso, rigettava l’opposizione nonché la proposta domanda riconvenzionale, confermando il decreto ingiuntivo opposto.
2. -Con atto di citazione notificato il 2 novembre 2015, l’Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’ proponeva appello avverso la pronuncia di prime cure, lamentando: 1) l’omessa e/o insufficiente motivazione, a fronte delle allegazioni difensive, circa la ritenuta fondatezza della pretesa creditoria avversaria; 2) l’omessa motivazione sul rigetto della domanda riconvenzionale di risarcimento danni.
Si costituivano in giudizio la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, le quali instavano, in rito, per la declaratoria di inammissibilità del gravame per mancanza di specificità dei motivi e, nel merito, per il rigetto dell’appello, con la conseguente conferma della sentenza impugnata.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Bari, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva l’impugnazione e, per l’effetto, in totale riforma della pronuncia impugnata, revocava il decreto ingiuntivo opposto e accoglieva la spiegata
riconvenzionale di risarcimento danni, condannando le società al pagamento, in favore dell’Università, della somma di euro 16.010,60, oltre rivalutazione monetaria e interessi.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che l’eccezione di inammissibilità dell’appello doveva essere disattesa, alla luce della sentenza delle Sezioni unite n. 27199/2017; b ) che dalla disamina delle fatture allegate al ricorso monitorio -la cui causale doveva essere ricondotta, per la fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE, al rimborso delle spese per l’acquisto di un bancone bar, per la realizzazione del relativo impianto elettrico, per la realizzazione di un ponteggio metallico e per la realizzazione di due porte a bussola con maniglioni antipanico nonché di alcuni pannelli in materiale plastico e, con riferimento alla fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE, al rimborso delle spese per la realizzazione di due cubi in plex, per l’acquisto di attrezzature mobili, per l’installazione di un impianto telefonico con centralino ADSL, per l’acquisto di materiale vario di ferramenta si evinceva che le spese, da un lato, rientravano tra quelle previste da ll’art. 12 del capitolato speciale -che prevedeva che i locali fossero consegnati al concessionario completi di ogni impianto e attrezzatura necessaria all’erogazione dei servizi, salvo l’arredamento e le attrezzature del punto ristoro bar e le macchine e attrezzature dell’ufficio e, dall’altro, esulando dalla predetta previsione, ove inquadrabili come miglioria, necessitavano di previa autorizzazione; c ) che dal verbale di verifica del primo semestre, relativo al periodo 6 novembre 2006 – 31 luglio 2007, redatto in contraddittorio, emergevano diversi inadempimenti a carico
dell’A.T.I. e, in particolare: – ad uno dei numeri telefonici indicati per richiedere informazioni non rispondeva nessuno da oltre un mese; – il servizio bar non era stato realizzato, né si riusciva a prendere visione dei materiali acquistati per l’allestimento, chiusi in un deposito di cui la legale rappresentante dell’A.RAGIONE_SOCIALE non possedeva le chiavi; l’impianto botanico esterno versava in uno stato di abbandono; – molti arredi, tra cui gli exhibit , risultavano non manutenuti e in uno stato di completo abbandono; – le bandiere erano illeggibili e irrimediabilmente deteriorate; – un vaso risultava distrutto; -due servizi igienici erano guasti, maleodoranti e inutilizzabili; – oltre a varie altre contestazioni; d ) che, con riferimento alla mancanza del certificato di prevenzione antincendi, l’Università, con raccomandata dell’11 ottobre 2007, aveva affermato che il padiglione era accessibile ad un numero limitato di visitatori (inferiori a 100), così definito in sede di progettazione, in funzione delle dimensioni delle vie di esodo, il che rendeva non necessario il rilascio della predetta certificazione; e ) che, in ragione della mancata ripresa dell’attività e della necessità di garantire l’esecuzione di alcuni progetti, con nota del 14 novembre 2007, era stata disposta, con effetto immediato, la rescissione del contratto del 25 ottobre 2006, con il contestuale affidamento temporaneo della gestione ad altre imprese, in attesa dell’avvio di una nuova gara; f ) che il grave inadempimento dell’A.T.I. affidataria del servizio era rilevabile dai seguenti comportamenti: – non aveva reso operativa appieno la gestione (a distanza di sei mesi il servizio bar non risultava attivato); – aveva interrotto il servizio senza congruo preavviso, determinando la chiusura di una mostra nel mezzo del suo svolgimento; – non
aveva riversato all’Università il 5% degli incassi, così come previsto in contratto; -aveva trascurato la manutenzione dell’immobile nel suo complesso (interno ed esterno), contravvenendo agli obblighi generali di custodia; -aveva addotto, a fondamento della sospensione del servizio, la mancanza della certificazione antincendi quale mero pretesto, atteso che, come emergeva dalla documentazione in atti, la stessa non era necessaria; g ) che, pertanto, la rescissione dell’appalto effettuata dall’Università a ppariva giustificata, a fronte di un inadempimento particolarmente qualificato, stante che era stata provata, sia a mezzo dei testimoni escussi, sia all’esito dell’esibizione documentale, la necessità di assicurare lo svolgimento di altre mostre al fine di non perdere contributi pubblici e collaborazioni esterne, sicché la risoluzione era addebitabile al comportamento dell’A.T.I.; h ) che, alla luce dell’ excursus delineato, alcuna somma era dovuta in forza delle fatture poste a base del procedimento monitorio, poiché le spese ivi riportate riguardavano beni utili ad assicurare l’avvio del servizio e comunque spese ordinarie da porsi a carico dell’aggiudicatario, mentre alcune voci riguardavano minuteria da ferramenta o materiali di consumo e, ove si fosse trattato di somme spese per l’acquisto di beni il cui esborso non doveva porsi a carico dell’aggiudicatario dell’appalto, emergeva comunque l’assoluta mancanza di autorizzazione, in violazione dell’art. 10 del capitolato e della normativa in materia di contabilità pubblica; i ) che la sentenza di primo grado non aveva emesso alcuna pronuncia sulla domanda riconvenzionale risarcitoria, mentre dalla documentazione fotografica si evinceva lo stato di abbandono
della struttura, come comprovato altresì dalle fatture esibite riferibili al ripristino dei pennoni e delle bandiere nonché alla pulizia straordinaria della struttura, senza che l’A.T.I. avesse provato la propria estraneità ai danni lamentati, né che gli stessi fossero dipesi da terzi o fossero preesistenti; l ) che dovevano essere riconosciute le voci risarcitorie di euro 4.217,00, quale quota del 5% sugli incassi realizzati dal gestore per l’integrazione del fondo di gestione, di euro 10.353,60 per il danneggiamento dei pennoni e delle bandiere e di euro 1.440,00 per la pulizia straordinaria della struttura.
-Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito, con controricorso, l’intimata Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’.
-Le ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Preliminarmente si rileva che l’eccezione inerente alla nullità della notifica del ricorso di legittimità, come sollevata dalla controricorrente, non merita disamina per intervenuto raggiungimento dello scopo della notifica ex art. 156, terzo comma, c.p.c., posto che la controricorrente medesima si è tempestivamente costituita in giudizio e si è difesa su tutte le censure sollevate.
-Tanto premesso, con il primo motivo le ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 342 c.p.c. nonché dell’art. 6, terzo comma, del
T.F.U.E. (Trattato di Lisbona ratificato e reso esecutivo con legge n. 130/2008), per avere la Corte di merito ritenuto ammissibile l’appello, benché i motivi proposti fossero aspecifici, in ragione del mero richiamo all’insufficiente provvedimento del giudice di primo grado, senza l’indicazione delle modifiche che si intendevano apportare alla sentenza impugnata.
Osservano gli istanti che la Corte d’appello si sarebbe sul punto limitata a richiamare la pronuncia di Cass. Sezioni unite n. 27199/2017.
2.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, l’atto introduttivo del giudizio d’appello conteneva una congrua indicazione delle ragioni dell’impugnazione della sentenza impugnata di prime cure, quanto -per un verso -alla omessa e/o insufficiente motivazione del rigetto dell’opposizione, a fronte delle censure sollevate in ordine alla non spettanza del rimborso delle spese rivendicate, e -per altro verso -alla carenza di alcuna argomentazione dedicata al rigetto della domanda riconvenzionale di risarcimento danni.
E tanto in linea con l’orientamento evocato dalla sentenza d’appello (la cui massima è stata riportata nella nota 1 della sentenza), secondo cui gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83/2012, conv. con modif. dalla legge n. 134/2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme
sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 36481 del 13/12/2022; Sez. 6-3, Ordinanza n. 13535 del 30/05/2018; Sez. U, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017).
3. -Con il secondo motivo le ricorrenti prospettano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c. nonché la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale dichiarato risolto il contratto tra le parti per grave inadempimento delle società odierne ricorrenti, sebbene la questione non fosse stata oggetto di domanda, né fosse stata mai posta.
Per l’effetto, obiettano gli istanti che, a seguito della mancata consegna delle certificazioni di sicurezza e antincendio degli immobili in questione e, quindi, del rilevante inadempimento dell’Università, le società ricorrenti avevano inviato una formale diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c. il 4 luglio 2007, assegnando termine di 15 giorni e avvertendo che, in difetto, il contratto si sarebbe risolto di diritto.
In tale missiva sarebbe stata ribadita la sospensione cautelare dell’esecuzione del contratto, come preannunciata nel telegramma del 2 luglio 2006, in ragione dell’impossibilità di tenere aperta al pubblico la struttura in difetto delle predette certificazioni.
Sennonché, aggiungono le ricorrenti che, con nota del 14 novembre 2007, seguiva comunicazione dell’Università circa la
rescissione del contratto, sicché risultava confermato che l’Università non aveva mai chiesto, né prima né in corso di causa, che fosse pronunciata la risoluzione.
3.1. -Il mezzo di critica è infondato.
E ciò perché la Corte d’appello si è limitata, alla luce degli addebiti verificati a carico dell’A.T.I. appaltatrice del servizio di gestione tecnico-ammnistrativa della Cittadella Mediterranea della Scienza, a verificare che la rescissione dell’appalto effettuata in autotutela dall’Università fosse giustificata, a fronte di un inadempimento particolarmente qualificato, stante che era stata provata, sia a mezzo dei testimoni escussi, sia all’esito dell’esibizione documentale, la necessità di assicurare lo svolgimento di altre mostre al fine di non perdere contributi pubblici e collaborazioni esterne.
Da ciò è stato desunto che la risoluzione fosse addebitabile al comportamento dell’A.T.I., quale accertamento propedeutico all’accoglimento della domanda di risarcimento danni.
Segnatamente, la Corte di merito ha valorizzato i fatti risultanti dal verbale di verifica del primo semestre, relativo al periodo 6 novembre 2006 -31 luglio 2007, redatto in contraddittorio, da cui emergevano diversi inadempimenti a carico dell’A.T.I. e, in particolare: – ad uno dei numeri telefonici indicati per richiedere informazioni non rispondeva nessuno da oltre un mese; – il servizio bar non era stato realizzato, né si riusciva a prendere visione dei materiali acquistati per l’allestimento, chiusi in un deposito di cui la legale rappresentante dell’RAGIONE_SOCIALE non possedeva le chiavi; -l’impianto botanico esterno versava in uno stato di abbandono; – molti
arredi, tra cui gli exhibit , risultavano non manutenuti e in uno stato di completo abbandono; – le bandiere erano illeggibili e irrimediabilmente deteriorate; – un vaso risultava distrutto; – due servizi igienici erano guasti, maleodoranti e inutilizzabili; – oltre a varie altre contestazioni.
Inoltre, la Corte territoriale ha escluso che la committente fosse tenuta a procurare il certificato di prevenzione antincendi, in quanto, come affermato dall’Università nella raccomandata dell’11 ottobre 2007, il padiglione era accessibile ad un numero limitato di visitatori (inferiori a 100), così definito in sede di progettazione, in funzione delle dimensioni delle vie di esodo, il che rendeva non necessario il rilascio della predetta certificazione.
È stato altresì evidenziato che, in ragione della mancata ripresa dell’attività e della necessità di garantire l’esecuzione di alcuni progetti, con nota del 14 novembre 2007, era stata disposta, con effetto immediato, la rescissione del contratto del 25 ottobre 2006, con il contestuale affidamento temporaneo della gestione ad altre imprese, in attesa dell’avvio di una nuova gara.
Per l’effetto, il grave inadempimento dell’A.T.I. affidataria del servizio è stato rilevato dai seguenti comportamenti: – non aveva reso operativa appieno la gestione (a distanza di sei mesi il servizio bar non risultava attivato); – aveva interrotto il servizio senza congruo preavviso, determinando la chiusura di una mostra nel mezzo del suo svolgimento; – non aveva riversato all’Università il 5% degli incassi, così come previsto in contratto; -aveva trascurato la manutenzione dell’immobile nel suo complesso (interno ed esterno), contravvenendo agli obblighi
generali di custodia; – aveva addotto, a fondamento della sospensione del servizio, la mancanza della certificazione antincendi quale mero pretesto, atteso che, come emergeva dalla documentazione in atti, la stessa non era necessaria.
All’esito, la Corte ha affrontato il tema inerente al quantum della domanda risarcitoria, selezionando le voci di cui ha ritenuto integrata la prova.
4. -Con il terzo motivo le ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 340 della legge n. 2248/1865, all. F, e la violazione degli artt. 1454 e 1455 c.c., per avere la Corte distrettuale posto a fondamento della decisione il provvedimento in autotutela di rescissione dal contratto di appalto, benché esso fosse abnorme, in quanto adottato sulla scorta di una norma abrogata, a fronte peraltro di un contratto già risolto all’esito dell’invio senza esito della diffida ad adempiere a cura della appaltatrice.
Deducono gli istanti che, sulla scorta di tale base, il Collegio giudicante avrebbe illegittimamente escluso il rimborso delle spese sostenute per i lavori eseguiti regolarmente dall’appaltatore e avrebbe, invece, illegittimamente riconosciuto una serie di danni del tutto estranea alla previsione normativa, che avrebbe limitato il risarcimento del danno al cosiddetto danno da riappalto.
4.1. -Il motivo è infondato.
4.1.1. -In primis , nessuna domanda è stata proposta nel giudizio di merito ai fini di contestare l’avvenuta rescissione in
autotutela, contestazione che non può essere formulata per la prima volta in questa sede.
4.1.2. -In secondo luogo, la mancanza di un diritto al rimborso delle spese sostenute dall’appaltatrice è stata ampiamente argomentata. Sul punto, la sentenza impugnata ha, infatti, precisato che dalla disamina delle fatture allegate al ricorso monitorio -la cui causale doveva essere ricondotta, per la fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE, al rimborso delle spese per l’acquisto di un bancone bar, per la realizzazione del relativo impianto elettrico, per la realizzazione di un ponteggio metallico e per la realizzazione di due porte a bussola con maniglioni antipanico nonché di alcuni pannelli in materiale plastico e, con riferimento alla fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE, al rimborso delle spese per la realizzazione di due cubi in plex, per l’acquisto di attrezzature mobili, per l’installazione di un impianto telefonico con centralino ADSL, per l’acquisto di materiale vario di ferramenta -si evinceva che le spese, da un lato, rientravano tra quelle previste dall’art. 12 del capitolato speciale -che prevedeva che i locali fossero consegnati al concessionario completi di ogni impianto e attrezzatura necessaria all’erogazione dei servizi, salvo l’arredamento e le attrezzature del punto ristoro bar e le macchine e attrezzature dell’ufficio e, dall’altro, esulando dalla predetta previsione, ove inquadrabili come miglioria, necessitavano di previa autorizzazione, nella fattispecie mancante.
Sicché il giudice di merito ha tratto il convincimento -non sindacabile in questa sede, in quanto fondato su un apprezzamento in fatto -che alcuna somma fosse dovuta in
forza delle fatture poste a base del procedimento monitorio, poiché le spese ivi riportate riguardavano beni utili ad assicurare l’avvio del servizio e comunque spese ordinarie da porsi a carico dell’aggiudicatario, mentre alcune voci riguardavano minuteria da ferramenta o materiali di consumo e, ove si fosse trattato di somme spese per l’acquisto di beni il cui esborso non doveva porsi a carico dell’aggiudicatario dell’appalto, emergeva comunque l’assoluta mancanza di autorizzazione, in violazione dell’art. 10 del capitolato e della normativa in materia di contabilità pubblica.
4.1.3. -In ordine alla tutela risarcitoria riconosciuta, a fronte del danno che la P.A. committente subisce -all’esito dell’esercizio della rescissione in autotutela -nello stipulare un nuovo contratto o nel provvedere mediante l’esecuzione di ufficio, danno che quindi non ricorre in mancanza di un nuovo contratto o dell’esecuzione d’ufficio, resta fermo il diritto dell’appaltante di ottenere il risarcimento del danno ulteriore e diverso secondo le norme comuni (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21407 del 04/11/2005; Sez. 1, Sentenza n. 9359 del 06/09/1995; Sez. 1, Sentenza n. 424 del 09/02/1976; Sez. U, Sentenza n. 2856 del 05/11/1973).
5. -Con il quarto motivo le ricorrenti contestano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la Corte del gravame ritenuto che l’A.RAGIONE_SOCIALE. appaltatrice fosse gravemente inadempiente rispetto ai propri obblighi contrattuali, tanto da giustificare la rescissione del rapporto operata d’imperio dall’Università committente sulla scorta della prova per testi e dell’esibizione documentale e, segnatamente, della produzione fotografica
attestante lo stato di abbandono della struttura e delle fatture riferibili al ripristino dei pennoni delle bandiere e alla pulizia straordinaria della struttura, senza che da tali elementi probatori emergesse effettivamente tale inadempienza.
E ciò senza che i rilievi fotografici -di cui non sarebbe stata accertata la provenienza -e i documenti rilasciati da terzi avessero alcuna valenza probatoria.
5.1. -Il motivo è inammissibile.
E tanto perché la doglianza -che peraltro non riporta il tenore delle deposizioni testimoniali da cui si evincerebbe una diversa ricostruzione dei fatti -si incentra sulla prospettazione di errori subiettivi di valutazione e non già oggettivi di percezione.
Nei termini anzidetti la censura mira, in realtà, ad ottenere una rivalutazione dei fatti di causa, rivalutazione preclusa in sede di legittimità (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. 6-5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Quanto alle fatture provenienti da terzi -attestanti le spese sostenute per il ripristino dei pennoni delle bandiere e per la pulizia straordinaria della struttura -, poste a fondamento della domanda risarcitoria, si rammenta che la fattura proveniente da un terzo estraneo al giudizio, relativa a rapporti tra questo ed una delle parti in causa, va inquadrata fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo in quanto dichiarazione, indirizzata all’altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito , sicché essa è idonea ad offrire elementi probatori, liberamente utilizzabili dal giudice per la formazione del suo convincimento
(Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15037 del 17/07/2015; Sez. 3, Sentenza n. 23788 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 14122 del 27/07/2004; Sez. 3, Sentenza n. 10 del 06/01/1982).
6. -Con il quinto motivo le ricorrenti si dolgono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte d’appello reputato che ricadesse sulla danneggiante la prova della propria estraneità ai danni lamentati o che gli stessi dipendessero da terzi o che fossero preesistenti, così invertendo l’onere probatorio.
Ad avviso degli istanti, sarebbe ricaduto sulla danneggiata l’onere della prova dell’imputazione dei danni all’appaltatrice.
6.1. -Il mezzo di critica è infondato.
Il rilievo del giudice di merito non ha, infatti, determinato alcuna inversione dell’onere della prova, avendo questi semplicemente rilevato che, a fronte dei documenti probatori dell’esistenza del danno e della sua riconducibilità all’A.T.I. appaltatrice, sarebbe stato onere della controparte dimostrare la ricorrenza di fatti impeditivi o estintivi della pretesa.
7. -In conseguenza delle argomentazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido, alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda