Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26358 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26358 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31857/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore AVV_NOTAIO, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2668/2021 depositata il 17/09/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/05/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il presente giudizio riguarda l’escussione della polizza fideiussoria prestata da NOME a garanzia delle obbligazioni assunte da NOME nei confronti di COGNOME.
In particolare, COGNOME ha commissionato a NOME la realizzazione di 50 Train-set di interiors completi di illuminazione
e per fronteggiare i costi iniziali di produzione, la commissionaria ha chiesto ed ottenuto dalla committente un’anticipazione di € 2.000.000,00. Tale anticipazione veniva garantita con polizza della COFACE con un massimale di € 2.000.000,00.
Il 2 febbraio 2015, pur non avendo COGNOME recuperato neanche parzialmente la prima erogazione, le parti sottoscrivevano un nuovo ordine recante n. 9990071456 mediante il quale COGNOME concedeva un nuovo anticipo dell’ammontare di € 1.000.000,00 a favore di NOME. La Seconda anticipazione è stata garantita da polizza dalla compagnia GABLE .
In tale ordine, veniva espressamente previsto a) che l’importo di € 1.000.000,00 sarebbe stato recuperato nei primi quattro mesi dell’anno successivo e b) che l’anticipo pregresso di € 2.000.000,00 sarebbe stato recuperato con le stesse modalit à previste per il nuovo anticipo; c) COGNOME avrebbe rilasciato liberatoria solo dopo aver recuperato l’integrale somma anticipata.
Nel maggio 2016, la Saira veniva ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria, ex D.L. 347/2003, e
conseguentemente COGNOME otteneva di essere ammessa al passivo di COGNOME per il credito residuo pari ad € 1.634.239,70.
Contestualmente, COGNOME ha escusso la polizza COFACE, con massimale di € 2.000.000,00 per l’intero credito residuo e la compagnia assicurativa ha respinto la richiesta di pagamento ritenendo di essere obbligata a versare la minor somma di € 634.239,70, effettivamente versata a favore di COGNOME solo in data 29 novembre 2017.
NOME quindi conveniva in giudizio NOME al fine di far accertare e dichiarare l’obbligazione di NOME e per l’effetto condannare la stessa al pagamento in favore dell’attrice di € 1.000.000,00.
Il Tribunale di Milano, con la sentenza 1571/2019 rigettava la domanda.
Riteneva che le parti avessero previsto che la ‘prima anticipazione’ sarebbe stata restituita mediante trattenuta su fattura e che il ‘secondo anticipo’ sarebbe stato restituito mediante note di credito; l’imputazione dei pagamenti era stata fatta dalla debitrice al momento dei pagamenti, l à dove ha operato le restituzioni tramite le trattenute sulle fatture; il ricorso alla modalit à di restituzione prevista per il solo primo anticipo costituiva prova indiscutibile dell’imputazione di tali pagamenti a tale credito restitutorio vantato dall’attrice.
La Corte d’appello di Milano, con la sentenza n. 2668 del 17 settembre 2021, ha rigettato l’appello confermando la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE, sulla base di quattro motivi. Ha depositato memoria.
3.1. RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso illustrato da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, parte ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio: le note di credito che la Corte d’Appello ha scomputato dalla Prima Anticipazione (all. 7, pagg. 6 ss. fascicolo di parte di COGNOME di primo grado) richiamano espressamente l’ordine d’acquisto n. 9990071456, relativo alla Seconda Anticipazione, sicch é la Corte ha completamente travisato il compendio probatorio.
4.2. Con il secondo motivo, la ricorrente prospetta la Violazione e falsa applicazione dell’art. 1193 c.c.: la Corte d’Appello di Milano ha errato nella misura in cui ha ritenuto valida ed efficace la comunicazione del 14 marzo 2016 con cui NOME ha effettuato una imputazione tardiva dei pagamenti effettuati sino a quella data, riferendola alla Prima Anticipazione, travisando il compendio probatorio da cui emergeva che la documentazione contabile a supporto di tali pagamenti richiamava espressamente l’ordine relativo alla Seconda Anticipazione.
4.3. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio: La Corte, travisando il dato testuale dell’ordine n. 9990071456, ha erroneamente ritenuto che il termine di esigibilit à delle restituzioni decorresse dopo i primi 4 mesi dell’anno successivo all’erogazione (quindi dal 1° maggio 2016) mentre le parti avevano espressamente chiarito che tali restituzioni andavano effettuate nei primi quattro mesi (quindi tra il 1° gennaio 2016 e il 30 aprile 2016), con conseguente gravissimo errore di calcolo.
4.4. Con il quarto motivo, la società ricorrente denuncia l’ omessa motivazione sul rigetto dell’istanza di nomina del CTU: la Corte d’Appello non ha ravvisato il vizio di omessa motivazione lamentato dall’appellante ritenendo legittimo un rifiuto solo implicito dell’istanza di nomina del CTU che, a detta della Corte d’Appello, sarebbe stata inammissibile perch é non necessaria e con finalit à meramente esplorative.
I quattro motivi di ricorso, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.
Le censure sollevate mirano esclusivamente ad accreditare una ricostruzione della vicenda e, soprattutto, un apprezzamento delle prove raccolte del tutto divergente da quello compiuto dai giudici di merito. E’ noto, infatti, che nel giudizio di legittimità non sono proponibili censure dirette a provocare una nuova valutazione delle risultanze processuali, diversa da quella espressa dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti. Non essendo questa Corte giudice sul fatto, il ricorrente non può pertanto limitarsi a prospettare una lettura delle prove ed una ricostruzione dei fatti diversa da quella compiuta dal giudice di merito, svalutando taluni elementi o valorizzando altri ovvero dando ad essi un diverso significato, senza dedurre specifiche violazioni di legge ovvero incongruenze di motivazione tali da rivelare una difformità evidente della valutazione compiuta dal giudice rispetto al corrispondente modello normativo. Questa Corte ha invero già avuto modo, anche di recente, di osservare che il vizio di motivazione può essere dedotto in sede di legittimità e sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulti dalla sentenza, sia riscontrabile il deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può, invece, consistere in un apprezzamento in senso difforme da quello preteso dalla parte, una volta considerato che l’art. 360, co. 1,, n. 5 c.p.c., non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa.
Del resto la Corte d’appello ha ritenuto provate per tabulas che, ancorché nello stesso nell’ambito dell’unico rapporto contrattuale, sono state emesse due distinte due obbligazioni autonome di garanzia (cfr. pag. 7 sentenza impugnata).
6. Le spese del giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo a favore della controricorrente seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 12.200,00, di cui euro 12.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza