Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5597 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5597 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2898 – 2020 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’ avv. NOME COGNOME giusta procura allegata al controricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5081/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, pubblicata il 18/10/2019 e notificata in data 8/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/5/2024 dal consigliere NOME COGNOME
letta la memoria del ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 14 maggio 2003, NOME COGNOME convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sez. di Carinola, il fratello NOME COGNOME proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo da questi ottenuto nei suoi confronti, per l’importo di Euro 98.979,01, a titolo di restituzione della somma di Euro 51.645,69 concessagli in mutuo nel marzo del 1993 e di Euro 2.427,35 per gli interessi pattuiti a scadenza di ciascun semestre.
A fondamento dell’opposizione, per quel che qui ancora rileva, NOME COGNOME dedusse di aver restituito tutta la somma dovuta alle scadenze pattuite, effettuando l’ultimo pagamento in data 31 dicembre 1994 e a tal fine produsse alcune quietanze di pagamento che, tuttavia, NOME COGNOME contestò , tra l’altro, come non relative al credito azionato.
Con sentenza 1293/2015 il Tribunale di Napoli (dinnanzi a cui la trattazione della causa era stata trasferita in seguito all’accorpamento degli uffici giudiziari e alla soppressione della sez. di Carinola) accolse l’opposizione, ritenendo che le quietanze prodotte non potessero che essere riferibili all’estinzione del mutuo e non al pagamento di compensi lavorativi, che NOME aveva pure percepito da NOME per aver lavorato alle sue dipendenze, gestendo per lui un autolavaggio.
Con sentenza n. 5081 del 2019, la Corte d’Appello in accoglimento dell ‘ impugnazione del creditore NOME COGNOME e in riforma dell’impugnata sentenza, respinse l’opposizione. Ritenne, infatti, che le quietanze -accertate in primo grado come provenienti
da NOME -non risultassero certamente riferibili al rapporto di mutuo dedotto in lite in mancanza di «qualsivoglia riferimento o corrispondenza alla somma indicata nel contratto di mutuo e ai termini di adempimento convenuti»; in diritto, rimarcò quindi che il pagamento integra un fatto estintivo la cui prova incombe al debitore che lo eccepisca e che l’onere della prova torna a gravare sul creditore soltanto quando questi, a fronte della comprovata esistenza di un pagamento avente efficace estintiva di un determinato credito, controdeduca l’imputazione del pagamento ad un credito diverso .
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo a cinque motivi a cui NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 4 e al n. 5 del comma primo dell’articolo 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME ha lamentato che la Corte d’appello non abbia valutato l’inammissibilità dell’appello per l’eccessiva genericità dei motivi, in violazione dell’articolo 342 cod. proc. civ. comma I n. 2; in particolare, avrebbe proceduto ad una rivalutazione delle quietanze prodotte pur in mancanza di una critica compiutamente formulata sul punto.
1.1. Il motivo è infondato. Dal contenuto dell’atto di appello, direttamente esaminabile da questa Corte perché è stato denunciato un error in procedendo , risulta che alla Corte territoriale è stata proprio devoluta la questione del riesame delle testimonianze raccolte e delle quietanze (vi sono dedicate le pag. 3 e 4 dei «motivi» adeguatamente illustrati dalla descrizione dei documenti e dalla illustrazione della loro origine, come riportata nella parte in fatto (pag. 2).
In ogni caso, poiché l’appello ha carattere devolutivo pieno, rivolto cioè al riesame della causa nel merito, il principio della specificità dei motivi di gravame va inteso senza rigori formalistici
quando al giudice di secondo grado sia stato devoluto il riesame della domanda rigettata per difetto di prova; in tal caso, infatti, egli può liberamente valutare ex novo l’intero materiale probatorio acquisito in primo grado, quand’anche l’appellante non abbia analiticamente formulato le sue censure in riferimento a ogni singolo mezzo di prova (cfr. Cass. Sez. 3, n. 12694 del 16/11/1999).
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al numero 5 del comma primo dell’articolo 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha prospettato l’omessa valutazione delle critiche da lui opposte alla ricostruzione delle prove testimoniali proposta dalla parte appellante.
Con il terzo motivo, articolato in riferimento al numero 3, il ricorrente ha lamentato l’omessa ricostruzione delle parti smarrite del fascicolo d’ufficio del primo grado e, in conseguenza, l’avere la Corte d’appello valutato le testimonianze rese non diret tamente, mediante lettura dei verbali.
Con il quarto motivo, quindi, NOME COGNOME ha denunciato, in riferimento al numero 3, un errore di valutazione delle prove testimoniali e delle quietanze prodotte dall’appellato , rispettivamente quanto alla loro attendibilità e alla loro decisività.
Con il quinto motivo, articolato in riferimento ai n. 3 e 5 del comma primo dell’articolo 360 cod. proc. civ., COGNOME COGNOME ha, infine, lamentato l’erronea applicazione del principio di imputazione dei pagamenti, sostenendo che l’imputazione, prospettata dall’appellante COGNOME, dei pagamenti portati dalle quietanze a un rapporto economico diverso da quello dedotto dal debitore implicava l’onere di provare -invece non adempiuto -il credito relativo a quel diverso rapporto economico e, cioè, l’ammontare del preteso credito per il lavoro all’autolavaggio.
5.1. Il quinto motivo, da esaminarsi per primo per logica espositiva, è fondato.
La Corte d’appello ha rimarcato che le quietanze -accertate in primo grado come provenienti dal creditore NOME -non risultano certamente riferibili al rapporto di mutuo dedotto in lite perché prive di «qualsivoglia riferimento o corrispondenza alla somma indicata nel contratto di mutuo e ai termini di adempimento convenuti»; ha escluso, quindi, in diritto, che il debitore NOME avesse offerto la prova dell’avvenuto pagamento, su di lui incombente perché concernente un fatto estintivo, perché risultava la sussistenza di un diverso rapporto obbligatorio tra le parti (la gestione del garage) e l’onere della prova sarebbe torna a gravare sul creditore Vincenzo soltanto se egli, a fronte della comprovata esistenza di un pagamento avente efficace estintiva di un determinato credito, avesse controdedotto l’imputazione del pagamento ad un credito diverso.
È evidente come il principio invocato nella motivazione della sentenza impugnata, effettivamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, sia stato disatteso nella concreta applicazione alla fattispecie, secondo quanto rilevato dal ricorrente: in particolare, la Corte ha ripartito l’onere probatorio senza considerare che -come proprio aveva accertato – la quietanza prodotta dal debitore NOME per provare il pagamento del suo debito in realtà non conteneva alcuna imputazione, né sua, né del creditore.
È invece principio, costantemente ribadito da questa Corte, che quando -come nella specie – il debitore abbia dimostrato di avere corrisposto somme idonee a estinguere il debito, spetta al creditore, che pretenda in giudizio di imputare il pagamento all’estinzione di altro debito, la prova delle condizioni di una diversa imputazione.
Questa ricostruzione si fonda sulla lettura combinata dell’art. 1193 e del successivo art. 1195 cod. civ.; l’art. 1193 dispone, infatti, al comma I, che chi ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona (come proprio riportato in sentenza, nella fattispecie) può
dichiarare, quando paga, quale debito intenda soddisfare; se accade, tuttavia, come nel caso in esame, che il debitore non si avvalga della facoltà così riconosciutagli da questo primo comma, la scelta dell’imputazione, secondo la previsione del successivo art. 1195 cod. civ., può essere effettuata dal creditore che, nello stesso documento di quietanza, può dichiarare d’imputare il pagamento ad uno o più debiti determinati, tra gli altri sussistenti.
Può pure accadere, tuttavia, come proprio accertato dalla Corte d’appello, che la quietanza non contenga alcuna imputazione , perché non effettuata né dal debitore, né dal creditore: in tal caso, saranno risolutivi per individuare l’imputabilità del pagamento i criteri legali dettati in via suppletiva dal secondo comma dell’art. 1193 cod. civ., secondo cui, in mancanza di dichiarazione, «il pagamento deve essere imputato al debito scaduto; tra più debiti scaduti, a quello meno garantito; tra più debiti ugualmente garantiti, al più oneroso per il debitore; tra più debiti ugualmente onerosi, al più antico; se tali criteri non soccorrono, l’imputazione è fatta proporzionalmente ai vari debiti».
Così ricostruito il meccanismo giuridico della imputazione, è evidente allora che il debitore che ha l’onere di provare il fatto estintivo del pagamento possa produrre, a tale scopo, la quietanza da cui risulti l’avvenuto versamento di una somma idonea ad estinguere il debito ; in assenza di alcuna imputazione, né sua, né del creditore, sarà, allora, quest’ultimo, se ha preteso in giudizio di imputare il dedotto pagamento all’estinzione di altro debito, a dover provare la sussistenza delle condizioni per una diversa imputazione, in applicazione di uno dei criteri sussidiari stabiliti dal secondo comma dell’art. 1193 cod. civ. a suo favore o a favore di entrambe le parti; dovrà, cioè, provare -nei limiti delle preclusioni – che esisteva un debito meno garantito di quello dedotto in giudizio ovvero altro debito con le stesse caratteristiche di quest’ultimo per onerosità o data di insorgenza (v. Cass. Sez. 3, n.
6509 del 06/11/1986; Sez. 3, n. 6509 del 06/11/1986; Sez. 2, Sentenza n. 1064 del 19/01/2005; Sez. 3, n. 8066 del 31/03/2007; Sez. 3, n. 14620 del 23/06/2009; Sez. 6 – 2, n. 2672 del 05/02/2013; Sez. 2, n. 450 del 14/01/2020; Sez. 3, n. 31837 del 27/10/2022; in ultimo, Sez. 2, n. 3239 del 2024, non mass.).
Per queste considerazioni, la sentenza impugnata deve essere cassata sul punto della imputazione del dedotto pagamento.
Dall’accoglimento del quinto motivo deriva, in logica conseguenza, l’assorbimento del secondo e del quarto motivo, con cui NOME COGNOME ha censurato la valutazione delle deposizioni testimoniali.
6.1. Infondato è, invece, il terzo motivo, con cui il ricorrente ha lamentato che la Corte d’appello abbia erroneamente ricavato il contenuto delle deposizioni testimoniali dalla motivazione della sentenza di primo grado, rimarcando che non è stata contestata la riproduzione delle dichiarazioni testimoniali in essa contenuta, ma soltanto è stata censurata la valutazione del contenuto di quelle dichiarazioni.
Sul punto, questa Corte ha puntualizzato che la mancata acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado non determina un vizio del procedimento o la nullità della sentenza d’appello , potendo al più integrare il vizio di difetto di motivazione, ove venga specificamente prospettato che da tale fascicolo il giudice d’appello avrebbe potuto o dovuto trarre elementi decisivi per la decisione della causa, non ricavabili aliunde , considerato che, in virtù del principio di «non dispersione (o di acquisizione) della prova», l’efficacia delle prove acquisite non si esaurisce nel singolo grado di giudizio e prescinde dalle successive scelte difensive della parte (cfr. Sez. U, n. 4835 del 16/02/2023).
Ciò posto, allora, così formulata la censura non è accoglibile, in disparte la fondatezza delle conseguenti critiche alla valutazione delle deposizioni testimoniali ; l’esame sulla valutazione, infatti, come detto al precedente punto 6, è invece assorbito.
Il ricorso è perciò accolto limitatamente al quinto motivo, rigettati il primo e il terzo motivo e assorbiti il secondo e il quarto e la sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli , in diversa composizione, perché provveda al riesame dell’impugnazione in applicazione dei principi suesposti.
Decidendo in rinvio, la Corte d’appello statuirà anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettati il primo e il terzo motivo e assorbiti il secondo e il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda